Le Mani di Z di Akab è un fumetto che si interroga su quanto sia corretto definire soltanto “problemi” quelli mentali. Con un respiro da italietta di metà anni ’80 e tante riflessioni sulla labilità linguistica di concetti come “anormalità” e “pazzia”

Il nono fumetto di Progetto Stigma, con la solita complicità guerrigliera di Eris Edizioni, già nel suo numero nasconde tutta una serie di significati. È il quadrato della trinità, il numero del Cristianesimo che si moltiplica per se stesso. Le muse della mitologia greca sono nove, ciascuna a rappresentare un’arte differente. Di questa quantità sono anche gli elementi del corpo umano. Le Mani di Z, titolo del fumetto in oggetto, ne descrive e raffigura ciascuna di esse sia dal suo titolo che nel suo contenuto. Probabilmente è tutta una casualità, contando i sei anni di gestazione che stanno dietro a questa storia, ma come tutte le cose fortuite se collegate con il contesto a ogni persona rivelano facce e sfaccettature differenti, spesso erronee ma non per questo meno affascinanti.

L’importanza significativa di questo volume per il gruppo di artiste e artisti si espande ancor di più quando si legge che a firmarlo è la persona che ha ipotizzato e creato il collettivo: Akab, questa volta in solitaria (a differenza di Iron Kobra Rubens, sempre di Stigma, in cui era accompagnato dalle chine di Officina Infernale, Cammello e Spugna). Ed è la rilevanza di un ultimo sguardo sul mondo – da parte di quello che è sempre stato definito “l’uomo nella stanza dei bottoni” dalle sue stesse compagne e dai suoi stessi compagni – forse l’unica cosa che conta ora, dovunque esso si trovi in questo momento.

mani di z

Nelle strade, nelle piazze, nei palazzi, i bambini, madri a casa, operai

Non ho scelto di aprire questo paragrafo citando i Negazione soltanto per allacciarmi con il tema centrale del fumetto in modo paraculo e edgy. Il pezzo è dello stesso anno in cui sono ambientate le vicende di Le Mani di Z, il 1984, e ne racchiude in modo molto simile la visione di quel che stava accadendo nel nostro paese in quel periodo. Gli anni ’80 per la mente collettiva della società italiana hanno avuto un impatto che ha dei lasciti molto sentiti e sensibili ancora oggi. L’eredità di quell’epoca quella smania di progresso tirato avanti con un provincialismo ottuso, il falso benessere nazional-popolare che condannava (e continua tutt’ora) le devianze isolandole ma contemporaneamente imbottendole di status symbol alle quali non avrebbero potuto mai ambire.

Il fumetto di Akab, su questo fronte, non scende a mezzi termini nell’inquadrare in modo molto preciso e rapido le colpe precise che ha la società nel peggioramento e nel deterioramento di quei soggetti considerati non-conformi poiché malati di mente. Il protagonista della storia parla molto poco, si interfaccia con il mondo in modo frammentario e schematico per poi far scoprire a chi legge un suo mondo frammentario e composito. Si fa narcotizzare dalla televisione e dalla musica più popolare e trasversale (elementi di cui il fumetto è infarcito) per non dover fare i conti con i traumi che lo hanno portato a essere come è, in un gioco perverso in cui quello stesso sistema che lo ha reso un emarginato gli fornisce anche l’unica sostanza capace di allontanarlo da quei pensieri alimentati da esso.

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Di socialità, società e di vita di insieme parla ogni pagina dell’albo, compresa la finta sceneggiatura scritta a quattro mani dal padre e dallo zio di Z. Un arricchimento meta-testuale e annidato che va ancor di più a scalfire e mettere in discussioni le lacune delle definizioni che si associano ai disturbi della mente, alle devianze, alle disfunzioni rispetto a una non meglio precisata norma e normalità. Uno stigma (perdonate il gioco di parole) che è innescato e alimentato in modo arbitrario dall’alto, e che il più debole subisce e passa in eredità a chi lo segue.

Le Mani di Z, va detto, è una storia auto-biografica, come Akab ci ha tenuto a precisare nella struggente post-fazione presente a fine volume. Partendo da un episodio accadutogli in giovane età, proprio nel 1984, l’autore si è immaginato la quotidianità di quella persona problematica che si è trovato davanti durante una commissione per la madre. Una suggestione di suggestioni, un’ipotesi di dove la mente altrui potrebbe arrivare ipotizzando. Un ragionamento che parte dallo spavento di aver realizzato che il disagio che vedeva in quell’uomo non era soltanto di quella persona, ma anche personale dell’allora bambino e di conseguenza responsabilità di un’intera parte di pianeta.

 

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Perdersi dentro, perdersi fuori

Come già abbondantemente descritto sopra, Le Mani di Z è un fumetto che tratta l’incongruenza interna che sta alla base della definizione di dissociata o dissociata. Viene messa in dubbio una normalità e posta in contrapposizione con la stranezza e le possibilità della mente umana di immaginare sistemi di difesa che ci portino il più lontano possibile da noi stesse e noi stessi pur rimanendo in prossimità di quelle cose con cui veniamo ammansite e ammansiti quotidianamente.

Il tratto aguzzo ma dettagliato nel descrivere le espressioni facciali di Akab si prende le dovute pause per inquadrare volti e gesti. Viene intesa in modo netto e percepibile ogni singola intenzionalità dovuta alla comunicazione non verbale di ogni personaggio in modo inequivocabile. Il bianco e nero e la struttura delle vignette in gabbie del più classico dei 3×2, poi, impongono in chi legge una struttura da classico del fumetto popolare italiano d’epoca che si adatta bene con le suggestioni suggerite dal periodo chiamato in causa ma che, al contempo, creano grande contrasto con la scelta del tratto e il modo in cui sono gestiti ritmo e soggetti.

Per l’ultima volta, Akab ci regala un altro dei suoi lucidi spaccati dei nostri tempi e del passato più prossimo. Una lettura lucida e tremendamente sentita che colpisce per la sua schiettezza. Una ricerca in ieri di quel che non funziona di oggi e viceversa, un dialogo tra periodi che sono tremendamente simili nella loro differenza e che non possono essere considerati in nessun modo distanti. Una messa in discussione continua dei dettami della società dell’eccellenza e della sanità mentale. Una celebrazione della pazzia, qualunque cosa voglia significare questa parola

 

Luca Parri
Nato a Torino, nel 1991, Luca studia scienze della comunicazione come conseguenza della sua ossessione nei confronti delle possibilità che offrono i mezzi di comunicazione e ha lavorato come grafico e consulente marketing (lavoro che ha fatto crescere esponenzialmente la sua ossessivo-compulsività per le cose simmetriche e precise). Lo studio gli ha permesso di concretizzare la sua passione per i differenti linguaggi dei media, sperimentando con mano l'analisi linguistica e semiotica; il lavoro gli ha dato la possibilità di provare a inserire la teoria nel pratico. Studio e lavoro, insieme, lo hanno portato a scrivere di, tra gli altri argomenti, grafica pubblicitaria, marketing, comunicazione e comunicazione visiva collegata al videogioco.