Avremmo voluto che fosse Space Oddity

Nel 1969 David Bowie (che non è morto, è solo tornato a casa) scrisse e incise “Space Oddity”. Bowie, la cui vita era legata saldamente al cinema per mille motivi – tra cui, ovviamente, la pura ammirazione – scrisse la canzone ripensando a 2001: Odissea nello Spazio e, neanche a dirlo, Space Oddity è proprio come quel film: pervasa da una certa amarezza, da una malinconia e da un ansiogeno senso di distacco tra l’uomo e la sua casa, la sua dimensione. Lo spazio, come saprete, andava forte in quegli anni, e lo stesso Bowie era stato sostituito dal suo più celebre e poliedrico alter ego stellare: Ziggy Stardust. Space Oddity è un testo di alienazione, di solitudine, di ricerca di se stessi. È l’ultima grande canzone degli anni ’60 e, di fatto, persino se ne distacca. Mass Effect Andromeda, purtroppo, non è Space Oddity. Ma avremmo voluto che lo fosse, almeno concettualmente. Avremmo voluto che questo primo passo verso la trilogia della famiglia Ryder (i nuovi protagonisti del gioco) fosse come il brano di Bowie: un viaggio nello spazio, quasi mistico e trascendentale, che si distaccasse dalla trilogia originale nel modo giusto, con garbo e rispetto, portandoci a compiere un viaggio che fosse in grado di rivaleggiare con quello intrapreso dal Capitano Shepard. Che ci facesse sentire il peso di un’odissea alla deriva nell’universo, il cui dazio è stato per i personaggi il dover abbandonare la Via Lattea e, dunque, la propria casa. Avremmo voluto che Andomeda fosse la nostra Space Oddity, ma non lo è, non lo è affatto. Perché per quanto la trilogia originale fosse altalenante, a tratti persino compromessa da scelte di sviluppo di rara idiozia (tutta la dinamica relativa alla gestione del finale da parte di Bioware sa ancora oggi di ridicolo), la verità è che l’originale serie di Mass Effect è tra i capisaldi della scorsa generazione videoludica e, in quanto tale, merita ogni riverenza ed attenzione. Ci auspicavamo tutti che questo Andromeda sapesse riprenderne i tratti epici, il carisma narrativo e, come Space Oddity, portarci lontano, verso uno spazio misterioso e oscuro. Così non è stato e, più realisticamente, Andromeda è semplicemente un buon gioco, con tanti difetti.

“And the stars look very different today”

Ma perché Andromeda non è Space Oddity? In primis per motivi meramente relativi ad una scrittura zoppicante. Il gioco infatti non si prende la briga di sublimare quella che è l’attesa del giocatore relativa al tema che dovrebbe reggere l’intera narrazione: il viaggio, il distacco dalle proprie radici e l’annessa fascinazione per la scoperta. Un passo indietro per contestualizzare il tutto, a questo punto, è doveroso: Siamo nel futuro, 634 anni in avanti per la precisione, con un punto zero che va fissato tra Mass Effect 2 e 3. La minaccia dei Geth è stata debellata, ma questo nella Via Lattea, e comunque dopo la decisione di una compagine delle razze che, in autonomia, e non senza difficoltà, ha deciso di tentare la sorte in un altro settore dello spazio, quella di Andromeda. Nasce così “l’Iniziativa Andromeda”, nulla più che una collaborazione tra le ben note razze viste nei primi ME, con lo scopo di raggiungere e colonizzare nuovi sistemi solari. Divise in navi enormi chiamate “Arche”, le razze viaggiano tutte verso la stessa meta, immerse in un lungo sonno criogenico. Lo scopo primario è quello di raggiungere la stazione spaziale Nexus, in cui i popoli si riuniranno e, similmente alla Cittadella, fonderanno un nuovo governo da cui partire per la propria sopravvivenza. Un piano ambizioso, che verrà praticamente subito mandato in pezzi dal brusco risveglio del nostro protagonista: Sara o Scott Ryder, a seconda del sesso che sceglierete di giocare.

I Ryder, che hanno alle spalle un padre che è nientemeno che il “Pioniere” dell’intera spedizione umana, constateranno da subito come il sogno di colonizzare Andromeda sia prossimo ad una fine prematura, che purtroppo le genti del Nexus, morenti e rassegnate, stanno già sperimentando. Le Arche sono arrivate tardi, e quella umana è l’unica superstite di un viaggio lungo e pericoloso. Le altre razze sono disperse, o peggio morte, e questo fa di noi (e degli innumerevoli esseri umani ancora in criostasi) gli unici apparenti sopravvissuti. Sopravvissuti forse prossimi comunque a morire, visto che i pianeti originariamente giudicati abitabili sembrano ormai incapaci di ospitare la vita. Un’anomalia indefinita, chiamata “Il Flagello” ha infatti modificato e spesso distrutto molti dei pianeti di Andromeda, creando condizioni invivibili e ostili su praticamente ogni sfera su cui si potesse costruire una colonia. Al Pioniere umano, dunque, il gravoso compito di trovare una soluzione, di dare una speranza alla sua gente e, eventualmente, di scoprire il destino degli popoli dispersi e il mistero del flagello, dietro cui sembrerebbero annidarsi i Kett, alieni belligeranti e spietati alla ricerca di un’antica tecnologia. Il pioniere, che come capirete ben presto diventeremo noi (a voi scoprire perché), sarà supportato da una squadra di coraggiosi e impavidi compari, nonché dall’ultima I.A. costruita dalle genti della Via Lattea: SAM, un computer incredibilmente intelligente e apparentemente capace di qualunque cosa.

Dire di più di Mass Effect Andromeda sarebbe un peccato mortale, perché ogni rivelazione, ogni intreccio, corrisponderebbe ad uno spoiler che, francamente, non ci va di fare. Quel che però possiamo dirvi è che siamo lontanissimi dall’epicità intavolata dalla prima trilogia, così come non troviamo nelle numerosissime righe di testo quello stesso carisma o anche solo quelle tematiche che avevano contraddistinto il primo trittico di titoli Bioware. Andromeda è, in realtà, un titolo molto lacunoso dal punto di vista narrativo, il che è quasi paradossale se si considera quante centinaia di dialoghi sia possibile intavolare. Diciamo che il gioco parte bene, ci pone dinanzi ad una situazione difficile, ad un certo senso di urgenza. Ci dice che il destino di moltissime razze dipende da noi, e poi pian piano tutto si perde e diventa rarefatto, lasciandoci semplicemente incedere verso un finale abbastanza scontato e prevedibile per cui, a dirla tutta, non è neanche fondamentale investire chissà che impegno. C’è un dualismo in questo Mass Effect che è dato dalla pretesa della storia e dalla sua quasi totale assenza di ritmo, portandoci ad ore di stasi e poi ad un nuovo decollo, come una sorta di montagna russa i cui picchi, comunque, dipendono fondamentalmente da alcune piacevoli trovate, non tanto di gameplay, ma di concept delle missioni che però, anche qui, non portano a nulla.

“Planet Earth is blue, and there’s nothing I can do”

Primo e fondamentale passo falso in tal senso è forse il nodo cruciale della narrazione: la condizione dei pianeti e la presenza del Flagello. Senza svelarvi troppo sappiate che praticamente dal primo pianeta, il nostro Pioniere si ritroverà a fare i conti non solo con i Kett, ma con una misteriosa e antica tecnologia, “i Relictum”. A metà tra le macchine di Matrix e quelle di Metal Gear Solid 4, i Relictum sono i guardiani di un potere antico ma imponente che permetterà al Pioniere di poter modificare lo status climatico dei pianeti visitabili. Questi, per esigenze di trama o per botta di culo, sono gli stessi in cui albergano alcune antiche e complesse strutture sotterranee dette “Cripte”, nei cui resti si nasconde una tecnologia terraformante che può dunque sovvertire il fallimento della missione Andromeda. Orbene, sulla carta c’è un certo fascino in questa idea, e la logica ci farebbe pensare che decidere o meno di modificare un intero pianeta possa avere effetti sul conseguimento del finale di gioco, e invece una delle inspiegabili mancanze di Andromeda è proprio quella di non permettere in alcun modo che una scelta tanto importante influisca o meno sul vostro finale di gioco. Intendiamoci: ovviamente utilizzare il terraforming di un pianeta influisce sull’economia di gioco, ma potrete bellamente ignorare il tutto e concludere lo stesso l’avventura, lasciando che queste cose siano messe insieme al resto delle missioni secondarie da concludere nell’end game.

Questo è solo un esempio di quello che è un problema evidente del gioco: la mancanza di una vera e propria serie di effetti a lungo termine sulla trama. Scegliere di intraprendere una determinata azione invece di un’altra quasi mai corrisponde ad un problema reale negli accadimenti. È tutto più etereo, più indefinito, ed anche di fronte ad azioni immense (come appunto sovvertire il clima di un pianeta) le reazioni dell’universo si aggireranno sempre sul “meh” andante. Qualche personaggio si lamenterà, qualcuno si sentirà offeso, qualcuno vi loderà, ma fondamentalmente tutto procederà su di una strada già battuta e insovvertibile, nonostante il peso “ideale” di avere sulle spalle migliaia e migliaia di umani e alieni, dipendenti dalle nostre azioni. A conti fatti tutto quel peso, quelle necessità, quel bisogno di trovare un posto per la propria gente non sarà mai realmente contestualizzato, e gli effetti saranno sempre di molto minori rispetto alle cause o alle aspettative.

Sempre dal punto di vista della narrazione, la decisione di staccarsi dagli originali Mass Effect avrebbe avuto un senso tutto diverso se a supporto del protagonista ci fosse stato un cast di personaggi di spicco. Una delle bellezze della prima trilogia, al di là dell’arcinoto Capitano Shepard, era proprio il cast di comprimari della Normandy, tra cui alcuni memorabili ceffi come Mordin, Garrus, Thane o la bella Miranda. I personaggi di Andromeda sono invece tutti un passo indietro rispetto ai loro predecessori, ed il tutto è confezionato con un tono più leggero e spesso scanzonato simil-Guardiani della Galassia che, date le circostanze imposte dalla trama, finisce per essere paradossale e ridicolo. Un peccato, perché il nuovo sistema di dialoghi, lontano dalla dicotomia praticamente imposta da Mass Effect 2 e più concentrato sulle risposte emotive, avrebbe potuto contribuire, e non poco, allo svolgersi della trama (e alla sua componente decisionale e gestionale) quanto alla costruzione del background di una ciurma spaziale di tutto rispetto. Cosa che, data la verve praticamente inesistente del cast, è più un’utopia che una possibilità concreta.

“This is Ground Control to Major Tom. You’ve really made the grade”

A fronte di un sistema decisionale praticamente inutile, quel che colpisce e affascina in Mass Effect Andromeda (e che sembra ripreso – e questo è bene – da Dragon Age: Inquisition) è la sensazione di potere. Quell’appagante senso di controllo e gestione che, seppur come detto significhi molto poco in termini narrativi, riesce comunque a regalare soddisfazioni considerevoli dal punto di vista ludico. Occorreranno circa 20 ore prima di trovarsi a proprio agio con ogni aspetto dell’impianto gestionale del gioco, ma una volta prese le redini del Nexus, l’Umanità e le razze tutte resteranno ancorate alle vostre decisioni. Superate le vicende del primo pianeta che visiterete, Eos, il gioco ci metterà per le mani il sistema di “vivibilità” di Andromeda. Ogni pianeta che potrete visitare è in pratica afflitto da non pochi problemi, uno su tutti quello relativo alla condizione climatica/atmosferica imposta dai Relictum. Allo svolgimento delle missioni primarie e secondarie relative al pianeta, quest’ultimo migliorerà la sua vivibilità su una scala da 0 a 100 dove generalmente alla metà corrisponde il livello minimo per la colonizzazione dell’Iniziativa Andromeda. Con l’aumentare della vivibilità il livello dello stesso Nexus salirà (del tutto simile a qualunque livello ruolistico, con tanto di Exp), facendoci così guadagnare uno dei 19 punti totali spendibili nel risveglio della popolazione dormiente, divisi (non troppo equamente) tra scienziati, militari e mercanti.

Ogni categoria ha diverse abilità passive, e l’investimento dei punti ci permette di godere dei loro benefici che vanno dal rifornimento periodico di scorte, a potenziamenti in combattimento, agli ovvi sconti tratti dalle rotte commerciali. Teoricamente il risveglio della popolazione sblocca anche alcune quest secondarie e, in generale, evita che i sovversivi manifestino il loro disappunto attraverso problemi nel Nexus, ma come detto non ci troviamo mai dinanzi a situazioni realmente impattanti sulla storia e, purtroppo, né il miglioramento dei pianeti né la vivibilità generale dei membri dell’Iniziativa influirà sul sistema di gioco. Un peccato, perché bastava semplicemente rendere il sistema più coeso con l’esperienza narrativa per creare uno dei più intriganti tavolieri causa/effetto degli ultimi tempi, dando così tutto un altro peso all’enorme potere che il nostro personaggio ha nella trama. Così com’è, invece, questo meraviglioso senso di potenza, e la possibilità di contribuire al miglioramento dell’abilità di un pianeta, semplicemente, non sono altro che un dileggio soggetto alla testardaggine del giocatore che potrà tranquillamente impegnarsi sul minimo indispensabile richiesto (completabile in circa 40 ore, ma anche meno per i giocatori più sbrigativi), archiviando tutto il resto. Una soluzione che priva l’intero impianto del suo fascino, ed in fondo anche del suo senso, il che è un peccato aberrante, perché l’esplorazione in Mass Effect Andromeda è intrigante e di impatto, ed anzi proprio negli scenari, negli orizzonti, negli insormontabili ostacoli climatici il gioco ci offre il meglio di sé.

Le mappe infatti, pur non essendo enormi, sono grandi quel tanto che basta da giustificare un’esplorazione a bordo di un veicolo, nel nostro caso il futuristico (e fighissimo) Nomad. Ogni pianeta pullula di segreti, di missioni, di stralci evocativi da scoprire. Un peccato che in virtù di quanto detto tutto diventi assolutamente accessorio e, per certi versi, inutile. Il sistema di quest secondarie, inoltre, ci mette il suo per andare contro qualunque voglia del giocatore a completare al meglio la propria missione. Non bastasse la scrittura a tratti indecente, la selezione di obiettivi secondari è immensa ma ludicamente imbarazzante, e si traduce per lo più in un “Parti dal punto A, vai a B, torna ad A, occasionalmente passa per C”. Poca, pochissima roba, spesso tediata da dialoghi del tutto superflui e privi di mordente.

“And I think my spaceship knows which way to go”

E visto che si è parlato di esplorazione, Mass Effect Andromeda propone ben due diverse tipologie di ricognizione: quella spaziale e quella planetaria, dove quest’ultima, come intuibile, è divisa tra esplorazione a bordo di un mezzo o a piedi. Ispirata da quanto visto nella precedente trilogia, l’esplorazione spaziale è ancora una componente importante del gioco, seppur essa sia diventata un tantinello più legnosa e generalmente meno appagante. Laddove in passato potevamo controllare direttamente la nostra nave, in Andromeda saremo vincolati ad un movimento automatico che, in pratica, avverrà (senza possibilità di skip delle animazioni relative al viaggio) alla selezione di uno degli elementi disponibile nel sistema solare che stiamo visitando. Anche lo scan delle zone e dei pianeti è più macchinoso e meccanico, e a conti fatti non è neanche così impattante in termini di risorse ottenibili o segreti. Esplorare le galassie (esteticamente molto belle, e con una sempre efficiente diversificazione dei vari corpi celesti) è insomma solo un vezzo, e potrete anche qui glissare l’esperienza concentrandovi solo sui pianeti su cui è previsto che possiate sbarcare. Per il resto potrete limitarvi ad una scansione approssimativa, limitando il lancio delle ben note sonde di esplorazione solo sui pianeti che il gioco apertamente vi suggerirà.

Per quanto riguarda invece la ricerca di risorse minerarie consistenti, tutto è ora rimandato al Nomad e all’esplorazione diretta del giocatore. Il Nomad, capace davvero di arrivare ovunque, sarà infatti dotato di uno scanner ambientale dedicato alla ricerca mineraria, attivabile previo dislocamento (in punti fissi imposti dalle mappe) di apposite stazioni di ricerca. Attivata la stazione si renderanno disponibili delle zone minerarie, e raggiungendole con il Nomad se ne potrà ottenere i minerali nel sottosuolo. Per quanto riguarda invece le sezioni a piedi, anche qui il nostro Ryder potrà contare su di un apposito scanner (del resto è un esploratore o no?) il cui scopo è quello di analizzare le nuove forme di vita e non presenti sul pianeta. Lo scan è un’attività tutt’alto che superflua, esso infatti rivela segreti, è utile per risolvere alcune missioni e, soprattutto, permette di accumulare i punti che sono necessari per la ricerca e lo sviluppo di armi ed equipaggiamenti nel sistema di crafting.

Completo e ricchissimo, il crafting richiede non poca dimestichezza, ma offre al giocatore il top ottenibile in termini di equipaggiamento. Spendendo i punti ottenuti dallo scan si sbloccano le apposite ricerche, che permettono di aggiungere alla schermata di creazione armi e armature di ogni tipo, con tanto di modificatori che incrementino lo standard delle creazioni. Arrivati poi alla schermata di creazione in sé e per sé, occorrerà spendere risorse minerarie e biologiche (ottenibili, ad esempio, dall’uccisione della fauna ostile) per costruirsi il proprio ninnolo. Il gioco, comunque, attraverso mercanti, ricompense e contenitori vari, offre al giocatore più pigro un buon numero di bocche da fuoco e oggetti, sicché investire o meno nel crafting, come consuetudine Bioware, è tutto rimesso alla voglia di sperimentare del giocatore.

“And I’m floating in a most peculiar way”

Crafting e scan a parte, la vera novità di Andromeda è certamente il jetpack, che, come immaginerete, permette al giocatore dei poderosi balzi in avanti o verso l’alto. Grazie al jetpack l’esplorazione si apre a interessanti velleità platform e, in generale, dando nuovo carisma a quello che altrimenti poteva essere nulla più che un “more of the same” degli originali Mass Effect. In Andromeda, invece, complici le mappe vaste e inospitali, il jetpack permette delle divagazioni tali da rappresentare l’unico aspetto realmente migliorato rispetto al passato e che pertanto non vive il peso della trilogia originale. Esplorare a piedi è sempre fonte di sorprese e contribuisce non poco al senso d’avventura generale offerto dai vari pianeti.

Le condizioni proibitive dei pianeti e le iniziali limitazioni del nostro sistema di supporto vitale rendono ogni conquista una piccola soddisfazione, con il jetpack che è parte integrante di questo affascinante bilanciamento nell’esplorazione. Non solo, esso diventa anche un ottimo strumento per i combattimenti, permettendoci non solo schivate rapidissime, ma anche un riposizionamento rapido o un momento di fuoco dall’alto. Si tratta di un’integrazione che in un certo senso non rivoluziona, ma che ammoderna il gameplay che, diciamocelo, non sarebbe altrimenti capace di tenere il passo di qualunque TPS degno di nota.

“Take your protein pills…”

Pur avendo da tempo abbandonato il cammino del GDR puro, Mass Effect Andromeda offre comunque al giocatore un albero di abilità abbastanza folto e libero, con cui poter costruire in totale autonomia il proprio perfetto Pioniere. In tal senso è anzi plausibile dire che Andromeda offra uno dei migliori compromessi in titoli simili, facendo anche meglio del già citato Dragon Age Inquisition. Come sempre l’incedere dell’avventura comporterà un aumento progressivo di livello per noi e per i nostri compari di scorribande, e con essi un certo numero di punti abilità da poter distribuire. Se per i compagni il discorso è fin troppo sbrigativo, poiché essi vanno ad inquadrarsi in un ruolo preciso da cui non possono in alcun modo virare, per Ryder il discorso è praticamente agli antipodi. Il nostro Pioniere, infatti, non solo può contare su di un numero di abilità notevole, ma anche sulla possibilità di sceglierle da ben tre differenti categorie: Combattimento, Biotica e Tecnologia. La mescolanza di abilità da una categoria all’altra porta poi ad un ulteriore possibilità, ossia quella dei “Profili”. Un Profilo è in pratica una sorta di classe che identifica il nostro Ryder all’interno di una branca specifica o mista, così da poter godere di un set accessorio di abilità passive. I Profili sono originariamente bloccati, e vanno sbloccati semplicemente investendo punti in una delle tre categorie di cui sopra. Più punti si investono, diversi sono i profili che si sbloccano o che addirittura migliorano, contribuendo a costruire il proprio personalissimo alter ego digitale.

Le abilità delle tre categorie, inoltre, hanno esse stesse un ramo di abilità, per un totale di sei livelli, lasciandoci ogni possibilità di procedere nella progressione come più ci aggrada. Il gioco invita anche il giocatore a sperimentare, sia per mezzo dei profili che per mezzo di un comodo ed economico sistema di riassegnazione, disponibile sulla nostra astronave e con cui riconfigurarsi anche solo per il gusto di sperimentare le altre opzioni disponibili. L’unico cruccio è che a fronte di un numero esagerato di abilità attive, i tasti disponibili al loro uso è limitatissimo, sicché se da un lato avrete bisogno di ponderare attentamente come usare i vostri poteri e perché, dall’altro si percepisce ancor più forte la mancanza della ben nota “ruota tattica”, che forse mal si sposerebbe con un gameplay ormai del tutto votato ai proiettili, ma che forse avrebbe potuto dire la sua quanto meno per una rapida assegnazione tattica delle abilità durante i combattimenti più concitati.

“…and put your helmet on”

Ma come si comporta il gioco nella sua componente più sparacchina? Andromeda sostanzialmente continua sulla strada intrapresa già con Mass Effect 2, e poi più decisamente consacratasi con Mass Effect 3. Nelle sezioni di combattimento, insomma, il gioco si comporta come un TPS con coperture dinamiche, senza se e senza ma, annullando ogni velleità strategica e privandosi di quella che era una interessantissima caratteristica condivisa con suo “fratello” Dragon Age, ossia la ruota tattica. Laddove una volta era possibile selezionare da un’ampia gamma di poteri, o perché no controllare le azioni del proprio team, il tutto tenendo il gioco doverosamente in pausa, oggi si è virato verso un’azione diretta e priva di fronzoli, i cui poteri utilizzabili sono ora solo tre. Anche i compagni sono ora del tutto autonomi, e tutto quello che potremo fare sarà chiedere loro di disporsi in una zona precisa dell’area di combattimento, magari per evitare di essere accerchiati dal nemico, magari no. Questo perché Andromeda non è né un gioco difficile né richiede chissà quale tatticismo.

Ipotizzare anche solo un minimo di strategia, insomma, è un qualcosa che farete molto di rado, anche perché i nemici, come i vostri compagni, soffrono tutti dello stesso disagio organizzativo, ed altro non riescono a fare che mettersi (male) dietro la copertura più vicina, tentando occasionalmente di caricare a testa bassa. Il codice dell’I.A. è così idiota che molti nemici non risponderanno neanche al fuoco diretto qualora non siate stati individuati o stiate sparando da una certa distanza, lasciandoci non pochi dubbi sulla qualità della revisione del gameplay attuata da Bioware. Siamo molto al di sotto della competitività dei nemici del recente Inquisition (per cercare un paragone “in casa”) e se considerate anche che il gioco vi fornirà ogni risorsa per pestare il prossimo, capirete come salvo un po’ di problemi ai primissimi livelli, la restante esperienza filerà liscia come l’olio. Ci sono pochi e rari casi in cui le cose si mettono male, ma pensate un po’: sono situazioni del tutto opzionali. Per fortuna il sistema di combattimento in sé, salvo alcune situazioni legnose relative alla telecamera, fa il suo dovere abbastanza bene per cui, nonostante il deficit evidente dell’I.A., sparare è comunque piacevole e divertente.

“Can you hear me, Major Tom?”

Prima di concludere con il profilo tecnico, dedichiamoci un attimo al comparto multiplayer del gioco, la cui verve è ereditata in toto da quanto visto in Mass Effect 3. Ancora una volta il giocatore potrà dunque affrontare alcune missioni coop, incentrate sulla sconfitta di numerose ondate di nemici con un team di quattro persone in totale. Le dinamiche dell’azione sono le medesime offerte dai TPS in single player per cui, in base al vostro gradimento, potrete decidere anche di glissare in toto la compagine multiplayer, dedicandovi ad altro. Diamo comunque atto a Bioware di aver dato al tutto un minimo pretesto narrativo sicché, seppur l’incedere della nostra esperienza multiplayer non sia fondamentale per il buon andazzo della campagna in singolo, esso ci darà persino un minimo di benefici.

Arrivati sul Nexus sbloccheremo quindi le missioni “Apex”, che altro non sono che una serie di missioni cui si dedicano dei team di combattenti scelti, fondamentalmente allo scopo di reperire risorse per la sopravvivenza e poco più. Le missioni Apex, che sono poi anche il fulcro dell’omonima companion app per smartphone, ci metteranno dunque di fronte a mappe chiuse in cui sconfiggere ondate di nemici (praticamente lo standard imposto dalla modalità Orda di Gears of War ormai anni or sono) con occasionali obiettivi ogni 3 ondate, del tipo: tieni un punto della mappa, abbatti un certo tipo di nemici, etc. Le mappe non sono vastissime, e le tipologie di nemici ancor di meno, ma l’azione è frenetica e impegnativa e, in linea di massima, le missioni Apex sono una sfida di tutto rispetto. Ben 25 sono poi le classi selezionabili, anche se la stragrande maggioranza va sbloccata in modo randomico con l’ottenimento di apposite casse di risorse. Queste, acquistabili anche con moneta di gioco, sbloccano personaggi e equipaggiamenti il cui livello di rarità definisce generalmente la loro bontà sul campo.

Le missioni Apex non sono che un companatico, e il loro impatto reale sulla campagna di Ryder è del tutto accessorio, specie arrivati a quel punto della trama in cui il Nexus (e gli abitanti risvegliati) saranno forieri di risorse e varie, ma sono comunque un’ottima occasione per giocare con gli amici e il fatto che possano contare su di un roster abbastanza ampio (con tanto di livelli, abilità e equipaggiamenti annessi) rendono la progressione multiplayer dedicata anche piuttosto stimolante. Il punto è proprio la loro totale inutilità, tanto che è lo stesso gioco a suggerirvi un compromesso, ossia quello di far affrontare le missioni ad una serie di squadre Apex che in un tempo variabile (generalmente da un minimo di 50 minuti ad un massimo di oltre 4 ore) cercherà di portare a casa il risultato, successo o fallimento che sia. Le squadre, da sole, riescono comunque a racimolare nella vostra stiva un buon numero di casse di materie prime così che, se il multiplayer non fa per voi, potrete comunque gestire il comparto Apex senza lasciarlo troppo a prendere la polvere.

“Your circuit’s dead, there’s something wrong”

E veniamo alle note veramente dolenti. Mass Effect Andromeda è affetto da una serie di problematiche tecniche che, partendo dall’arci-criticato comparto animazioni, vanno ad influire anche su altri aspetti estetici del gioco, per un risultato complessivo a tratti un molto deludente. Mettiamo da parte l’umorismo facile sulle animazioni e siamo seri. Bioware non è mai stata una maestra nella modellazione di personaggi e volti, e ha per lo più mascherato una certa mancanza tecnica con la creazione di razze complesse ed affascinanti. Era così per Mass Effect ed è stato così per Dragon Age. È un limite del team, come lo è per Bethesda, e questo è un dato di fatto che può far storcere il naso, come no. Il punto è che Andromeda va ben oltre il difetto occasionale, ed offre una serie di mancanze dal punto di vista dell’animazione che, mettendo da parte qualunque commento sui volti dai tratti lignei, rende i personaggi goffi e sgraziati. Tutti, senza eccezione. Quel che ci lascia forse più perplessi è la generale rozzezza del codice, che andava evidentemente ripulito meglio. Il gioco soffre di sporadici cali di framerate ed è praticamente affetto da un continuo effetto di pop-up, tanto negli ambienti quanto nelle cutscene, quanto nelle texture di abiti e equipaggiamenti. Non solo, la texturizzazione è abbastanza datata e molti modelli, di comprimari e non, visti da vicino (ad esempio durante dialoghi o filmati) mostrano texture superficiali molto rozze e poco nitide.

Anche altri piccoli dettagli generano un po’ di perplessità, come ad esempio lo stravagante effetto che si crea quando ci si avvicina ad un accampamento nemico, con nemici e navicelle all’orizzonte che, evidentemente bisognose di essere “rimesse a posto” per accogliere il giocatore compiono movimenti scattosi degni dei peggiori MMO online free to play. O per esempio l’assoluta assenza di un’interazione ambientale, sicché qualunque sasso, albero o cespuglio non viene minimamente intaccato né dagli scontri né dal pesante incedere del nostro Nomad. Tutto ciò cozza in modo atroce con le potenzialità del Frostbite, che è spesso capace di offrire scorci meravigliosi con, a corredo, un discreto uso dell’effettistica ambientale e particellare. L’idea è quella di un lavoro frettoloso che forse, con un minimo di pulizia in più, e con qualche accorgimento, avrebbe sicuramente messo nelle mani dei giocatori un prodotto forse non impeccabile, ma neanche così grezzo e, per certi versi, datato.

Verdetto

Mass Effect Andromeda è un titolo enorme ed ambizioso che però non riesce a realizzare praticamente nessuno dei suoi sogni. Non si tratta di un passo indietro per la serie, ci mancherebbe. La trilogia originale è chiusa e archiviata e questo, volenti o nolenti, è un nuovo punto di inizio. Il problema è che, proprio per l’occasione di rilancio, per il nome della serie, e per tutta una serie di aspettative narrative ci saremmo aspettati di più. Così com’è Andromeda è un gioco divertente, ma che non rischia di compiere scelte difficili per andare fino in fondo. Abbiamo un tavoliere spaziale enorme, articolato e dalla grande interattività, e proprio per questo è a dir poco straniante constatare che solo una minima parte di quel che possiamo fare (praticamente tutto ciò che è già prestabilito dal gioco) ha una qualche forma di impatto reale sul gioco e sulla sua conclusione. Una serie di mancanze dell’impianto ruolistico (ormai bello che andato) e molte leggerezze (e talune mancanze) del comparto tecnico, mal si sposano con le arguzie relative alla progressione del personaggio e con lo stimolante, seppur imperfetto, sistema di combattimento, rendendo Andromeda un titolo a tratti godibile, a tratti noioso, talvolta appagante, occasionalmente imbarazzante: in linea di massima imperfetto.