Pubblicato negli USA dalla Hill House, il fumetto scritto da James Tynion IV ha anche vinto l’Eisner come Miglior Nuova Serie

hi bazzica nel mondo del fumetto classico sa perfettamente che il genere horror è stato uno dei primi affrontati e inclusi nella nona arte. C’è un lunga tradizione di mostri, creature lacustri, “cose” non meglio identificate che ben si sposavano a una letteratura di rapido consumo. Emozioni forti per letture fugaci. Nel tempo, però, il pensiero relativo ai comics americani si è orientato sul genere supereroistico o – tutt’al più – graphicnovellistico (la Crusca non ne sarà felice). L’horror si è sistemato in una nicchia, trovando nuove forme e nuovi autori. Joe Hill, nonostante abbia a lungo evitato di sbandierarlo, è il figlio di Stephen King. Ma Joe Hill è soprattutto un talentuoso, vivace e prolifico scrittore horror che ha ben saputo emanciparsi dall’eredità paterna. Ha, tra le altre cose, fondato la Hill House, una linea editoriale DC in cui Gotham, Metropolis e compagnia non c’entrano nulla. Protagonisti, anzi, sono città e personaggi estremamente verosimili, che si muovono però in contesti deviano dalla norma. Creano inquietudine, disastri, orrore – più o meno sottile.

Tutti parlano di The Nice House on the Lake

E hanno ragione. Il fumetto attualmente in corso di pubblicazione (in Italia i primi sei numeri sono usciti in un volume unico con Panini) dovrebbe arrivare ai 12 numeri totali. Eppure, James Tynion IV, uno degli sceneggiatori più apprezzati da critica e pubblico degli ultimi anni, ha già imbastito un bello show macabro. Diceva Stephen King nel suo Danse Macabre, che gli horror più efficaci attingono dalle paure del proprio tempo. Ebbene, il fumetto Hill House mette splendidamente in pratica questa lezione e piazza dieci “giocatori” sulla propria scacchiera. Ognuno di loro è identificato in base al suo ruolo professionale, l’artista, la dottoressa, il giornalista. Qual è l’elemento di contemporaneità? Sono tutti chiusi in una casa, con poco margine di movimento. Là fuori, nel resto del mondo, l’umanità è decimata da fenomeni affatto chiari. Sono chiusi. In casa.

Ad aver “salvato” i dieci amici, invitandoli nella Bella Casetta sul Lago, è stato Walt – il cui punto di vista incrociamo in diversi momenti della storia. Anche la sua provenienza non è immediatamente chiara, così come il motivo per cui è a conoscenza prima degli altri del disastro incombente. I dettagli del come e del perché saranno svelati nel corso degli episodi, e costituiscono la materia prima dell’appassionante lettura, per cui non avrebbe senso rivelarli qua. Ma ci sono alcuni elementi di interesse di cui possiamo parlare senza incappare in orrorifici spoiler.

Com’è difficile raccontare il contemporaneo

James Tynion IV non è certo il primo a raccontare i giorni nostri senza cedere a un’estetica nostalgica, anzi molti autori si cimentano con grande successo in questa impresa. Perché il filtro di un’altra epoca storica spesso è una coperta di Linus per gli animi romantici (e pigri) di chi non vuole confrontarsi con l’attualissima pervasività della comunicazione, che rende – diciamocelo – i misteri, gli intrighi, molto più facili da smontare. Non a caso, molto genere horror si rifugia negli anni Ottanta, dove un ragazzino poteva sparire senza essere rintracciato dal suo iPhone.

In The Nice House on the Lake, invece, la facilità della comunicazione smart è un’attrice importante nel processo orrorifico. In una delle sequenze più angoscianti del fumetto, è proprio il bombardamento mediatico a raccontare la morte in diretta dell’umanità e l’agghiacciante sensazione di essere rimasti gli unici superstiti del pianeta. E questo è tanto più vivido, verosimile e – perciò – spaventoso proprio perché reso con delle disperate richieste di aiuto inviate da persone che da un momento all’altro cessano di vivere. Un po’ come quel senso di inaudito dolore che lasciano gli ultimi messaggi dei passeggeri di un aereo in avaria.

Problemi del primo mondo

Posta come condizione di partenza questo intelligente legame con il contemporaneo, Tynion IV usa The Nice House on the Lake per tracciare un quadro dell’umanità e delle sue paranoie. Anteponendo i ruoli professionali alle identità anagrafiche dei personaggi, in primo luogo mostra lo schiacciamento totale dell’individuo sulla sua funzione economica. Ovvero, siamo principalmente quello che facciamo per vivere, e il nostro valore dipende da questo. Senza denuncia, ma prendendone tristemente atto, è così che ci potrebbero vedere degli occhi “alieni”: pedine del capitalismo, con utilità più o meno intense in una compagine sociale. Tutti i personaggi, la cui umanità più profonda emergerà con (pre)potenza, fanno parte di una specifica classe, e neanche alla portata di tutti noi lettori. Sono l’alta borghesia newyorkese, quella che tramite i vari media il resto del mondo tende ad ammirare, sognare invidiare. Una specie di Friends in salsa horror, se volessimo forzare un po’ la mano.

La domanda che Tynion pone è: che succede, nel concreto quando un gruppo è isolato, e affronta il privilegio di essere sopravvissuto? Quali sono le varie reazioni psicologiche che questa condizione estrema scatena, e quali i limiti di essere “i migliori” durante l’apocalisse? Insomma, nella Casetta sul Lago si affronta la debolezza di un sistema elitario, le cui basi vacillano quando non c’è “un resto” con cui confrontarsi. Sebbene i bisogni primari siano più che soddisfatti, dando anzi largo sfreno a ogni capriccio consumistico, il senso di morte si fa sentire forte e chiaro. Tutto quello per cui lavoriamo, viviamo, tutto quello che celebriamo nel rito capitalista quotidiano diventa una gabbia. Dorata, e terrificante.

L’estetica di The Nice House on the Lake

Trattandosi di un fumetto, non si può prescindere da quello che è l’aspetto dell’immagine e di ciò che comunica. Se dovesse esserci bisogno di un ulteriore motivo per andarsi a leggere The Nice House on the Lake, quello sono i disegni di Alvaro Martinez Bueno e i colori di Jordie Bellaire. Già disegnatore Marvel e DC, Alvaro Martinez Bueno sembra particolarmente a suo agio in una storia in cui è libero di caratterizzare un gran numero di personaggi inediti, che riescono – nella loro “normalità” – a rendere bene personalità e differenze reciproche. Inoltre, il suo tratto rapido, che preferisce un certo gusto per l’espressione alla linea chiara, sembra molto adatto quando bisogna rendere deformazioni e stravolgimenti somatici. Il tutto sembra fluido, credibile, realistico.

Anche l’uso del colore di Bellaire accentua il senso di inquietudine del fumetto. Da intere tavole nei toni del blu a palette bruciate di toni bruni e rossastri, ogni scelta accompagna il crescendo emotivo e orrorifico della storia. Anche il blu, che tendenzialmente associamo ad atmosfere rilassate, qui diventa un sonno forzato, una catalessi presagio di morte. Molto interessante il contrasto tra un racconto che poggia parzialmente il suo quid horror sulla tecnologia, e la mostra così com’è, e due mani piuttosto analogiche. Il che rende The Nice House on the Lake un prodotto nel suo complesso molto caldo e vibrante, a bilanciare l’asetticità di alcuni elementi narrativi.

Francesca Torre
Storica dell'arte, giornalista e appassionata di film e fumetti. Si forma come critica tra Bari, Bologna, Parigi e Roma e - soprattutto - al cinema, dove cerca di passare quanto più tempo possibile. Grande sostenitrice della cultura pop, segue con interesse ogni forma d'arte, nella speranza di individuare nuovi capolavori.