“Gli esseri umani cercano di uccidersi l’un l’altro dalla notte dei tempi. Adesso, possiamo finalmente finire il lavoro! Con le armi nucleari: problema risolto, saremo tutti polvere.”

Il Comico, Watchmen

La storia della prima bomba A

Gli esseri umani sono capaci di grandi prodezze: sconfiggere nemici invisibili all’occhio grazie a vaccini, raggiungere la Luna e tra qualche anno, chissà, colonizzare Marte. Abbiamo sviluppato oggetti portatili che ci permettono di collegarci in una rete che unisce tutto il mondo (proprio il posto dove state leggendo quest’articolo), chiamare, fare fotografie, dirci dove andare usando un satellite in orbita. Eppure, siamo dominati anche da istinti omicidi. Milioni di anni fa, erano le pietre che spaccavano crani a farla da padrone. Migliaia di anni fa, fu il bronzo con le prime leghe metalliche a lacerare le carni dei nemici, lance, frecce e rozze spade. 500 anni fa fu invece il momento della polvere da sparo. Ah, quanto piace all’Uomo la polvere da sparo! Capace di proiettare un corpo solido a mille metri al secondo. Tutt’ora ne usiamo in abbondanza: pistole, fucili d’assalto fino al pezzo più grande di artiglieria navale. È lei la signora degli scontri attuali del genere umano. Man mano che progrediamo tecnologicamente, noi uomini, oltre agli agi e alle innovazioni, diventiamo sempre più bravi anche a fare le armi. La nostra storia inizia qui, dalla tecnologia e dal suo utilizzo militare. La tecnologia che uccide. Perché a volte pugni, coltelli e proiettili non bastano. Bisogna uccidere più bersagli in una volta. E se neanche le bombe da 500 kg bastano? Allora si trova un’altra via. Prendiamo qualche studio sulla fisica di un certo Albert Einstein, ci aggiungiamo un po’ di inventiva di Fermi e Hoppenheimer, e…

Siamo nel 1939. Gli Stati Uniti sono già preoccupati che la Germania Nazista stia sviluppando qualcosa di teorico, impensabile, qualcosa di inimmaginabile. Non a quell’epoca. A Fort Alamo, le più brillanti menti scientifiche di quei campi lavorano incessantemente al Progetto Manhattan: anche loro sviluppano e provano qualcosa, e la prova riesce. Trinity, il primo test nucleare della storia, è un successo. Gli U.S.A. capiscono di avere per le mani qualcosa di mai visto prima. È il 6 Agosto 1945 quando il B-29 Enola Gay sta sorvolando Hiroshima. Il Superfortress ha avuto vita facile, è arrivato in Giappone senza difficoltà. L’Impero del Sol Levante è in ginocchio, funestato da una guerra protratta contro una macchina bellica potentissima. Rimasto solo dopo la caduta nazi-fascista, combatte ancora. Migliaia di uomini si oppongono agli Stati Uniti, costringendo gli americani ad una sanguinosa e lenta campagna di conquista di ogni singola isola del pacifico. Soli e in difficoltà, i giapponesi combattono ancora. È forse questo a spingere la controparte a fare qualcosa di incredibilmente devastante, o forse è la voglia di dimostrare ai russi di avere in mano la carta più potente. È il 6 Agosto del 1945 e il mondo, per la prima volta, vede la potenza dell’atomo, in tutto il suo orrore. Alle ore 8:14 e 45 secondi, Little Boy esce dalla pancia dell’Enola Gay. Detona a 580 metri dal suolo. All’istante, circa 75.000 vite umane spariscono. Un boato assordante, un nuovo sole splende sulla città giapponese, cancellandola di fatto dalle cartine. Il Giappone non si rende conto di cosa succede, nessuno risponde a Hiroshima, i contatti sono saltati. Eppure i radar avevano individuato solo 3 arei. Nulla di conosciuto all’Umanità avrebbe potuto spazzare via una popolosa città come Hiroshima. Nulla di conosciuto all’Umanità, fino a quel momento. Radiazioni e necrosi uccisero il 20% dei sopravvissuti allo scoppio nelle successive 24 ore. Il Giappone non capiva. Forse neppure Truman, il Presidente degli Stati Uniti d’America di allora, poteva capire appieno. E non capendo la gravità della situazione, il Giappone non si arrese ancora. E il 9 Agosto sarebbe toccato a Kokura. Eppure il destino a volte è beffardo e strano. Quel giorno Kokura godeva della protezione dei Kami, o una buffa benedizione metereologica, dipende dai punti di vista. Dopo aver effettuato diversi voli di ricognizione, il B-29 era a corto di carburante e la coltre di nuvole impediva un chiaro bersaglio per il collimatore del Superfortress. Così fu deciso dall’alto comando che Nagasaki sarebbe stato l’obiettivo di ripiego. Furono paracadutati degli avvisi sulla città. Avvisi destinati al professor Ryokichi Sagane, fisico nucleare che aveva studiato assieme ad alcuni degli sviluppatori della bomba A. Questi avrebbero dovuto avvisare la popolazione. Le autorità militari recuperarono i messaggi, ma non li consegnarono. E l’areo fu ignorato, credendo che fosse un semplice velivolo da ricognizione. Fat Man fu sganciata attorno alle 11:02. Ancora una volta le nuvole evitarono una strage ben peggiore. Infatti Fat Man scoppiò a 470 metri di altezza a quasi 4 km dal punto di esplosione previsto. La bomba cadde nella valle di Urakami, e le colline assorbirono buona parte della deflagrazione. Nonostante questo, all’incirca 80.000 persone perirono nell’esplosione e nelle successive malattie da radiazioni e complicanze dell’ordigno. Il 15 Agosto il Giappone firmò la resa, dopo aver subito ben due attacchi nucleari sul proprio suolo. I primi due attacchi nucleari della storia. E finora gli unici.

“Noi scienziati siamo intelligenti, troppo intelligenti, non siete soddisfatti? Non sono quattro miglia in una sola bomba abbastanza? Gli uomini stanno ancora pensando. Diteci solamente quanto grande la volete!”

Richard P. Feynman, scienziato del Progetto Manhattan

La Bomba A e altri simpatici ordigni di distruzione

Con l’annichilimento di Hiroshima e la distruzione di Nagasaki, il mondo non ci mise molto a capire che era l’atomica la nuova arma su cui puntare. Mentre l’Umanità, appena liberatasi dall’incubo nazi-fascista, tirava un sospiro di sollievo, i potenti dell’epoca già erano dentro la Guerra Fredda e, poco dopo di loro, la popolazione mondiale si rese conto di aver aperto gli occhi dopo un lungo incubo solo per ritrovarsi in un altro. Le tensioni tra Stati Uniti e Unione Sovietica inclusero infatti anche tutti i rispettivi stati alleati. E anche chi non era coinvolto in maniera diretta tremava. Perché? Perché ormai erano tutti consci che un’ulteriore guerra di tali proporzioni non avrebbe portato solamente a movimenti militari classici, ma ad un nuovo impiego di un arsenale bellico nucleare. E con quelle armi in giro, nessuno era al sicuro. Più e più volte si sfiorò la Terza Guerra Mondiale, nonché la prima guerra termonucleare della storia. Per più volte, l’orologio della mezzanotte rischiò di scoccare i suoi funesti rintocchi, e con essi la fine dell’Umanità a noi conosciuta. Durante questo periodo e, purtroppo, tutt’ora la sperimentazione volta a migliorare la tecnologia delle bombe che sfruttano la scissione dell’atomo non si è mai fermata. Infatti, nonostante la gente sia terrorizzata all’idea delle bombe che caddero sul Giappone, al momento, l’Umanità è in possesso di bombe molto più potenti… o dal diverso effetto. Se infatti la classica Bomba A, ovvero la bomba atomica, può raggiungere un potere di “soli” 10 Megatoni, ce ne sono adesso anche di più potenti. Soffermiamoci un attimo sulla parola “Megatone”, molto sentita, magari, ma non chiara a tutti. Il Megatone è un’unità di misura non appartenente al Sistema Internazionale di Misura che indica l’energia emanata da un’esplosione. Un Megatone equivale ad un’energia scaturita dalla deflagrazione di un milione di tonnellate di tritolo. Tornando a noi, possiamo quindi pensare che 10 megatoni, il massimo dell’energia sprigionabile dalla bomba A, sia davvero tanto, ma non è così. Perché al giorno d’oggi esiste anche la famosa Bomba H, ovvero la bomba ad idrogeno che sfrutta la fusione tra i nuclei di deuterio e trizio. Questo giocattolo può arrivare a sprigionare fino a 100 megatoni. Ecco, questo è un fuoco d’artificio che è davvero la fine del mondo. Non ci sono, però, solo bombe che fanno danni con l’esplosione. Esiste infatti anche la bomba al neutrone, progettata per irradiare violentemente l’area del suo effetto uccidendo gli esseri umani con dose letali di radiazioni conseguenti all’esplosione, avvelenandone e distruggendone il DNA. Insomma, tutti morti, con pochi danni ad edifici e strutture. Crudele, vero?

Per farvi un esempio concreto, la bomba più potente mai fatta esplodere dal genere umano è la bomba Zar (Big Ivan, per gli americani), ovvero una bomba all’idrogeno, che dal potenziale teorico di 100 megatoni fu infine fatta esplodere ad una potenza attorno ai “soli” 50 Megatoni. Alle 11:32 del 30 Ottobre 1961 l’URSS testò questa mortale arma a Nord del Circolo Polare Artico. L’ordigno esplose a ben 4.000 metri dal suolo e la palla di fuoco si espanse per ben 8 km. La pressione della deflagrazione fu sei volte quella di Hiroshima. Il fungo atomico raggiunse i 64 km di altezza. Ma le cose più terrificanti furono le seguenti: benché nuvoloso il lampo fu visto a 1.000 km di distanza (fate conto che l’Italia è lunga 1.300km); i testimoni e gli osservatori riferirono di aver percepito abbagliamento e surriscaldamento della pelle a ben 270km dall’esplosione; le imposte di legno e i vetri si danneggiarono fino a 900 km dall’esplosione. La cosa veramente terrificante? La zona di distruzione totale è stimata in una bolla dal raggio di 35km. Una sola bomba Zar basterebbe per cancellare dell’esistenza l’intera Roma e, con essa, ogni suo abitante.

“Ora siamo tutti dei figli di puttana.”

Kenneth Bainbridge a Robert Hoppenheimer dopo il primo test di esplosione nucleare ad Alamogordo

La morte del pianeta

Con la fine della Guerra Fredda, pensavamo di aver scampato il pericolo dell’annichilimento atomico. Eppure siamo ancora qui a parlarne, perché oramai le conoscenze tecniche per costruire tali bombe sono in possesso di chiunque. E queste tecnologie, sommate a quelle derivanti dalla corsa spaziale, hanno creato degli arsenali sufficienti a distruggere il mondo come lo conosciamo. Una guerra nucleare spazzerebbe via ogni essere umano del pianeta? Altamente improbabile, certo, ma il mondo che verrebbe dopo non sarebbe che un pallido e nocivo ricordo di ciò che è. Un’arma fa paura perché uccide, certo, ma un’arma che uccide tutti fa ancora più paura. Forse il reale motivo dietro alla salvezza del genere umano durante la Guerra Fredda fu proprio il M.A.D. (Mutual Assured Destruction), ovvero, in italiano: Distruzione Mutua Assicurata. Questo concetto affonda le radici nel più cinico senso pragmatico. Ogni “giocatore” è conscio che ogni altro giocatore della scacchiera è in possesso di armi nucleari. E quando si dice che basta un bottone per distruggere il mondo è vero, in parte. Bisogna premere bottoni, inserire codici e aspettare che i missili balistici e che i bombardieri arrivino a destinazione. Ma tutti questi mezzi sono facilmente individuabili, soprattutto se lanciati in massa. Quindi cosa succederebbe nella mezz’ora, ora o ore (a seconda della distanza del bersaglio) che passa da lancio a detonazione? Beh, che con tutta sicurezza il giocatore attaccato scaglierebbe anch’egli tutta la sua potenza su di te. Ammesso anche che tu riesca fermarne il 50% degli attacchi, saresti completamente e irreparabilmente danneggiato, se non distrutto del tutto. Ciò significa, in parole spicciole, che un attacco nucleare non conviene a nessuno. Perché non produrrebbe altro che un’ipotetica vittoria di Pirro. E ammesso pure che tu sia vivo per godertela, dato che esistono testate appositamente create per penetrare anche le più formidabili basi sotterranee corazzate. Emblematico, al riguardo, il seguente scambio tra John Kennedy e Nikita Chruscev.

Kennedy: “Abbiamo missili nucleari in grado di distruggervi 30 volte.”

Chruscev: “Abbiamo missili nucleari in grado di distruggervi una sola volta, ed è quello di cui abbiamo bisogno.”

In realtà questi due personaggi fecero molto, per segnare la fine della minaccia nucleare nel secolo scorso. Al giorno d’oggi, invece, si è tornati a temere un nuovo attacco nucleare da parte di quelli che vengono definiti “stati canaglia”, ovvero degli stati pericolosi per l’equilibrio globale. Complice l’avvento di tecnologie sempre più sofisticate, si corre il rischio che qualcuno pensi di poter scatenare una guerra nucleare contando sulle proprie difese anti-missilistiche per sopravvivere. A livello teorico, la maggior parte dei paesi dovrebbe aver abbandonato le armi nucleari e anche i colossi come Russia e Usa dovrebbero aver visto un decrescimento dei propri arsenali atomici. Parlando seriamente, alla fine della fiera, le uniche cose che ci separano dalla devastazione termo-nucleare sono due: il buonsenso e il senno. Speriamo vivamente che l’Umanità non impazzisca mai del tutto.

“Strano gioco. L’unica mossa vincente è non giocare.”

Joshua, Wargames – Giochi di Guerra (1983)

Giochi e film atomici

Come può un potere come quello delle armi atomiche non destare nell’animo umano curiosità, raccapriccio e un sentimento, se così vogliamo definirlo, artistico? Le armi atomiche compaiono ovunque, dai fumetti, al cinema fino ai videogiochi. L’idea che qualcosa possa distruggere tutto e tutti ci terrorizza, ma al contempo ci affascina, come la paura in un film dell’orrore. È un tale potere da non sembrare neppure umano. Un potere divino, quasi. Negli anni l’industria cinematografica ha sfruttato questa tematica in lungo e in largo. Le armi nucleari sono state analizzate sotto ogni punto di vista. Come mezzo per l’ascesa del dominio delle macchine nella saga di Terminator. Come salvezza dell’intero pianeta in Armageddon, per sconfiggere il meteorite “mostro” di Bay. Come arma finale contro gli invasori alieni in Indipendence Day di Emmerich. E come non citare l’inquietante scena del Maggiore Kong che cavalca l’atomica nel Dr. Strangelove di Kubrick, ultimo gesto di ignoranza felice, che farà scattare l’olocausto atomico. In altre decine di film appare l’arma atomica, se non in primo piano come minaccia da evitare, siano esse pellicola action, film di spionaggio o addirittura prodotti per più giovani.

Nel mondo dei videogiochi le armi nucleari sono alla base del successo di molte produzioni, prima fra tutte quella di Fallout, ambientata 300 anni dopo un olocausto atomico in una linea temporale ucronica. L’intera serie videoludica è piena di citazioni, non a caso l’arma in grado di lanciare piccole bombe nucleari si chiama “Fat Man”, vi ricorda qualcosa vero? E in Fallout 3 e 4 è possibile far avvenire delle detonazioni atomiche. Ricordiamo ancora l’effetto che ci fecero le immagini impresse sullo schermo, la prima volta che spazzammo via Megaton. Anche in molti strategici si può arrivare ad utilizzare le bombe nucleari, come in Rise Of Nations o Civilization. Anche lo stupendo Metro 2033 (tratto dai romanzi di Gluchovskij) vede l’Umanità o ciò che ne resta portare avanti la lotta per la sopravvivenza in un mondo post-nucleare. La cosa forse più curiosa è che molti dei libri e dei film ambientati in mondi post-apocalittici a causa di una guerra nucleare sono classificati come fantascientifici, eppure, per molto tempo, l’olocausto nucleare non è stata una remota possibilità, ma una terrificante prospettiva. E lo è tutt’ora.

“Non c’è malvagità nell’Atomo: solo nelle anime degli uomini.”

Adlai Ewing Stevenson II, politico statunitense

La fine della storia

Che altro dire? Le armi nucleari sono, a detta degli esperti la più probabile causa di apocalisse che minaccia il nostro mondo. È ironico, no? Che la più papabile minaccia di estinzione di una specie provenga da un’invenzione della specie stessa. Sarebbe un po’ come scoprire che i dinosauri avessero costruito un marchingegno per attirare un asteroide sul pianeta Terra. Ma d’altronde noi esseri umani siamo capaci di grandi cose. Abbiamo creato cure per la maggior parte dei mali che ci affliggono, eppure abbiamo anche creato armi in grado di incenerire milioni di persone in meno di un secondo. Pensare all’apocalisse nucleare fa paura, molta paura. Non tanto perché sia terrificante immaginare come si può morire nell’immediato. È un discorso cinico, concedetecelo, ma obiettivamente se si viene centrati da un’esplosione atomica come quella della bomba Zar in una devastazione mondiale, non si fa in tempo a capire cosa succede, che si viene inceneriti. Il peggio accade a chi sopravvive. È chi sopravvive che deve fare i conti con i fallout atomici, le piogge radioattive, l’avvelenamento da radiazioni, la ricerca di viveri e provviste. Potresti trovarti a lottare per giorni e giorni, forse mesi, se non anni, per poi morire comunque a causa delle irradiazioni fatali.

Ma il vero motivo per cui un’apocalisse nucleare fa paura non è tanto la natura della fine in sé. Non sono le bombe all’idrogeno, non sono i milioni di morti, non sono i super-incendi. La cosa che ci fa più paura è che l’olocausto atomico è reale e possibile. Questo ci terrorizza. Non sono gli zombie, non sono gli alieni venuti da chissà dove. Siamo noi stessi. Siamo noi stessi che decidiamo di distruggere tutto. La stessa, dannata, Umanità che si punta una pistola nucleare alla tempia e preme il grilletto. Siamo noi stessi quella possibilità, già sfiorata in passato, finora evitata, eppure ancora attuale. Perché lo sappiamo, la storia è maestra, ma gli esseri umani sono pessimi scolari. Questa è una prova che dobbiamo superare ogni giorno, senza mai sbagliare. Pena del fallimento? La fine.