Stavolta non c’è alcun tesoro

Ogniqualvolta si palesa sul mercato un prodotto dedicato ai bambini, non possiamo fare a meno di alzare un sopracciglio. Probabilmente è colpa dell’età, ma anche di un luogo comune che raramente riesce ad essere smentito, ovvero l’impossibilità di creare qualcosa che sia adatto ad un pubblico infantile senza sottovalutare la loro intelligenza. Siamo dell’idea che le cose per bambini, siano esse film o videogiochi, dovrebbero essere più rispettose di esseri che, nonostante le dimensioni, non necessariamente sono incapaci di ragionare. Vedendolo sotto quest’ottica, I Puffi 3: Viaggio nella Foresta Segreta è un film che riesce nell’impresa solo a metà, offrendo degli spunti narrativi interessanti ma sviluppati in maniera banale e, pur strappando qualche risata, non è in grado di evitare gran parte dei cliché dell’animazione degli ultimi anni che ormai cominciano ad annoiare davvero tanto.

La trama di base, per dire, offre allo spettatore un’aria di novità grazie alla presa in considerazione di una domanda che tutti si sono posti almeno una volta nella vita: che cos’è Puffetta? O meglio, qual è il suo ruolo? Un quesito che può lasciare il tempo che trova ma che, una volta posto, lascia effettivamente perplessi, soprattutto se si ragiona in modo puffesco, con ogni abitante di Puffolandia dotato di un compito ben distinto nella comunità, tranne l’unica femminuccia nel branco. Questa annosa domanda dà il via ad un road movie verso luoghi proibiti, ma anche un viaggio personale di Puffetta nello scoprire quale sia il suo principale talento, accompagnata dai puffi più iconici di Peyo, ovvero Tontolone, Forzuto e Quattrocchi.

Non possiamo neanche negare qualche miglioramento sul piano dei fruitori adulti, ovvero il salvagente che andrebbe lanciato ad ogni genitore costretto a sorbirsi cartoni animati in compagnia dei figli, ciò che riesce a rendere i film Pixar godibili anche dagli ultra-maggiorenni: più di una volta il film riesce a strappare una risata grazie ad intuizioni azzeccate, prima fra tutte la coccinella ad alta tecnologia del puffo Quattrocchi capace di scattare foto, riprodurre mappe ed essere incredibilmente espressiva anche in momenti cardine del film.

Per il resto, però, siamo di fronte ad un film estremamente prevedibile e che mostra delle lacune di sceneggiatura o, per meglio dire, momenti in cui sembrava necessario allungare il brodo in concomitanza di un’assenza di idee cui si sopperisce con momenti musicali completamente fuori contesto. E nonostante possa essere utile alle future generazione ascoltare capisaldi della musica italiane come I’m Blue dei mai troppo lodati Eiffel 65, le scene di questo tipo sono stranianti e inutili ai fini della trama, dando appunto l’idea di essere un mero riempitivo per allungare il minutaggio.

C’è comunque del buono nel film, è innegabile, soprattutto sul profilo tecnico: l’abbandono del mix tra CGI e live action ha infatti permesso di lavorare esclusivamente in computer grafica e i risultati sono estremamente positivi, con un’estetica molto più vicina ai lavori di Peyo e un’autentica esplosione di colori su schermo, garantendo nel complesso una qualità visiva davvero notevole. Anche sul piano audio troviamo un ottimo doppiaggio italiano, coadiuvato da alcune voci storiche oltre ad alcune guest star, prima fra tutte Cristina D’Avena, ospite irrinunciabile per la versione italiana del film considerando quanto le sue canzoni abbiano aiutato i Puffi a restare nell’immaginario collettivo.

Verdetto

Tirando le somme questo Viaggio nella Foresta Segreta è un tentativo solo parzialmente fallito di tenere in vita gli strani ometti blu, alti su per giù due mele o poco più. Un film che nonostante le solide fondamenta ed una premessa più che convincente, non riesce assolutamente ad essere all’altezza, depotenziandosi e dimostrandosi la solita operazione commerciale per bambini e nulla più, con buona pace dei poveri genitori o parenti costretti ad un’ora e mezza di pura noia, ma anche di chi è cresciuto da un po’ e vorrebbe tornare bambino per il tempo di una spensierata pellicola.

Francesco Paternesi
Pur essendo del 1988, Francesco non ha ricordi della sua vita prima del ’94, anno in cui gli regalarono un NES: da quel giorno i videogiochi sono stati quasi la sua linfa vitale e, crescendo con loro, li vede come il fratello maggiore che non ha mai avuto. Quando non gioca suona il basso elettrico oppure sbraita nel traffico di Roma. Occasionalmente svolge anche quello che le persone a lui non affini chiamano “un lavoro vero”.