Dopo il David di Donatello per il corto Bismillah; Alessandro Grande debutta alla regia di lungometraggi con Regina, in concorso al Torino Film Festival 

Tra i film in concorso della trentottesima edizione del Torino Film FestivalRegina è il primo lungometraggio del regista Alessandro Grande che vede protagonisti Francesco Montanari Ginevra Francesconi. Un prodotto su cui evidentemente l’industria italiana punta un po’ della sua fiducia, essendo prodotto da Rai Cinema e sostenuto direttamente dalla Regione Calabria attraverso la sua film commission per indicare come quest’opera ne racconti volti forse inediti e spesso taciuti.

regina

Regina ha quindici anni e ama la musica. Tenta di farne una carriera, aiutata dal padre che ha dovuto rinunciare a quel sogno per crescerla dopo la dipartita prematura della madre. Il loro rapporto è quello che ci aspetterebbe da qualunque famiglia di questo tipo: gli istinti di ribellione iniziano a crescere nella ragazza, e il genitore sente che le sta piano piano scivolando via. 

Come ogni adolescente, lei percepisce che al di fuori di ciò che è abituata a vedere c’è altro. Sente che l’entroterra calabrese costringe tutte le persone di circa la sua età in un contesto che non appartiene loro per davvero, che meritano altro. Sta crescendo, ed è piena di dubbi: rischiare di soffocare rimanendo dov’è o accettare le piccole gioie della vita come una gita in barca insieme al padre sapendo di non poterle trovare altrove? Un giorno molto speciale le farà capire cosa la vita ha in serbo per lei.

Un tonfo profondo e pieno colpisce l’imbarcazione che solca le acque del lago vicino a casa e Regina ne molla immediatamente il timone. È spaventata da quel rumore, oltre a essere infreddolita per la stagione fredda ormai ben più che inoltrata. C’è un uomo, sotto la barca: un sommozzatore che non si sa bene cosa stesse facendo sul fondo dello specchio d’acqua in quel periodo dell’anno. “È morto, lascialo lì”, sbotta il padre mentre la ragazzina non riesce a non pensare di poterlo salvare. Nessuno dei due sa, però, che quel momento per entrambi rappresenta l’istante in cui cambia tutto.

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Regina è quindi un film di formazione. È la storia di una giovane donna che si vede costretta contro la sua volontà a rendersi conto di ciò che è la vita. Il peso delle scelte e come esse possano determinare chi siamo, ma anche il dubbio circa il significato stesso del concetto di crescita. È farsi un tatuaggio con la zampa del proprio animale domestico? È uscire con quel ragazzo più grande che sembra capire il mondo ma in realtà non vedo oltre il proprio naso? O forse è espiazione delle colpe, fino ad arrivare a sentirle proprie a tal punto da immergercisi sia letteralmente che da un punto di vista metaforico?

Questo lei non lo sa, ed è una domanda a cui non riesce a darle risposta neanche suo padre che anzi pensa sia molto più importante continuare a dedicarsi a quel sogno che entrambi coltivano da fin troppo tempo. Non lo sa nessuno, a dire la verità, nei dintorni: perché tutti troppo presi da una mentalità che li ha convinti di non essere meritevoli di una possibilità, destinati a proseguire la loro vita in quei luoghi contemporaneamente opprimenti e affascinanti.

La ragazza si sente responsabile di quella morte in un modo in cui non si era mai sentita chiamata in causa per nulla, come se un macigno al di fuori del suo controllo avesse sostituito la chitarra azzurra che è abituata a tenere tra le mani. Vuole rimediare non soltanto a quel che lei ha fatto ma anche a ciò che la sua vittima non è mai riuscito a essere per la sua famiglia: una figura di riferimento retta e responsabile, che non scende a compromessi con un contesto che la costringe a rubare e indebitarsi con la criminalità organizzata per garantire qualche soldo.

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Quella rappresentata da Grande è quindi una storia abbastanza tipica ma coerente, sebbene non esente da imperfezioni formali che ne minano notevolmente il valore. Se tematicamente il film porta interrogativi e argomenti che, per quanto non originali, sono abbastanza coerenti e attuali per come rappresentano il modo in cui quel contesto specifico li affronta, la messa in scena degli stessi in Regina risente di un confine fin troppo televisivo e memore di un’eredità italiana che forse gli sta un po’ stretto.

Tutto è spesso orchestrato in modo lineare, che di per sé non è un problema rispetto alle tematiche tirate in ballo. Lo è, però, se collocato in un contesto in cui un film come Regina  avrebbe potuto permettere a storie del genere di aspirare a qualcosa di più nel cinema italiano ecco che il tutto perde di impatto. Un peccato che trascina in un linguaggio fin troppo visto e abusato tutta la produzione, portando anche quegli elementi più innovativi (su tutti la colorazione e le scelte fotografiche) a perdere molto del loro mordente.

 

Al netto di molte scelte tematiche e narrative interessanti, soprattutto per come raccontano il contesto in cui è ambientato il film, Regina è però un’occasione parzialmente sprecata. Nonostante i tentativi di smarcarsi da sentieri già largamente tracciati dalla fiction italiana di fine anni 2000 e inizio 2010 ne cade vittima quasi senza accorgersene. Proprio come la protagonista questo lungometraggio colpisce qualcosa del suo passato, lo scopre e cerca di ragionarsi e poi finisce per immergersene.

A differenza della ragazzina, però, non riesce a uscire dal lago, a crescere e a cambiare se stesso. Una storia sulla profondità di quel lago che è diventare grandi che però non ne raggiunge affatto la stessa dimensione. Rimanendo sempre troppo sul pelo dell’acqua senza avere il coraggio di esplorarne i fondali. Un film che rimane solo gradevole, e che sarebbe potuto essere decisamente più coraggioso.

Luca Parri
Nato a Torino, nel 1991, Luca studia scienze della comunicazione come conseguenza della sua ossessione nei confronti delle possibilità che offrono i mezzi di comunicazione e ha lavorato come grafico e consulente marketing (lavoro che ha fatto crescere esponenzialmente la sua ossessivo-compulsività per le cose simmetriche e precise). Lo studio gli ha permesso di concretizzare la sua passione per i differenti linguaggi dei media, sperimentando con mano l'analisi linguistica e semiotica; il lavoro gli ha dato la possibilità di provare a inserire la teoria nel pratico. Studio e lavoro, insieme, lo hanno portato a scrivere di, tra gli altri argomenti, grafica pubblicitaria, marketing, comunicazione e comunicazione visiva collegata al videogioco.