Genesi di un soldato blu

La storia di Rogue Trooper inizia da ben lontano, precisamente all’interno del magazine inglese 2000 A.D., raccoglitore di tutto ciò che c’era di bello nel fumetto sci-fi britannico dagli anni ’70 in poi. E ricordiamo così, en passant, robina di spicco come Judge Dredd, reso famoso dal film con Silvester Stallone prima e dalla pellicola (Dredd) del 2012 con Karl Urban poi. Ci troviamo invece nel 1981 quando il connubio tra Gerry Finley-Day e l’incommensurabile Dave Gibbons (che con Alan Moore darà poi vita alla miniserie culto Watchmen) porta sulle pagine del magazine la storia di Rogue, un soldato, come molti altri, geneticamente modificato per sopportare la tossica ambientazione devastata dalla guerra nella quale è calato. Il fumetto riprendeva sostanzialmente estetica e vicissitudini di guerre accadute nel mondo reale ma in declinazione fantascientifica; si parla per esempio di un conflitto tra il totalitarismo dei Nordisti e i più civili Sudisti, con rimandi alle uniformi militari degli schieramenti che ricordano da vicino quelle naziste o quelle utilizzate dagli USA durante il conflitto in Vietnam.

Particolarità della serie è sempre stata quella di portare una sottile critica alla condizione in cui i soldati si sono spesso trovati nel corso della storia. I soldati genetici sono tutti identici come aspetto e non gli è consentito nemmeno morire, in quanto la loro coscienza viene racchiusa in un microchip. Dunque, se uno di loro cadesse sul campo di battaglia, potrebbe tranquillamente tornare in vita esportando il suddetto chip situato alla base della nuca, per inserirlo in un nuovo corpo pronto a combattere ancora, condannandolo ad una guerra perpetua.

Proprio per questi spunti la serie ottenne un discreto successo, soprattutto in terra natia, e la naturale conseguenza fu l’approccio al videogame: inizialmente nel 1986 con uno sparatutto con visuale isometrica e grafica monocromatica per ZX Spectrum e Commodore 64, poi nel 1991 con un dimenticato run and gun a scorrimento con sezioni in prima persona su veicoli per Amiga, e infine nel 2006 con uno sparatutto in terza persona per PC, Xbox e PS2, il quale ottenne un ottimo riscontro da parte della critica, ricevendo peraltro nomination alla prestigiosa British Academy.
La storia vedeva Rogue combattere in questa perpetua guerra tra Nort e Southers per accaparrarsi il pianeta Nu-Earth, crocevia utilissimo per gli spostamenti ma reso tossico a causa delle armi impiegate nel conflitto. La squadra di Rogue si trova spazzata via per via un traditore all’interno di essa, e da qui ha inizio la sua diserzione per trovare il colpevole e fargliela pagare a suon di piombo ed esplosioni.
Rogue Trooper Redux è proprio la versione rimasterizzata di quest’ultimo capitolo delle avventure del soldato Rogue, disponibile per PS4, Switch, Xbox One e PC.


A volte ritornano, e ritornano, e ritornano…

I ragazzi di Rebellion, un po’ seguendo il trend del momento su remaster/remake, un po’ ricalcando quello che accade ai i soldati genetici, decidono di riportare alla vita la loro creatura con un certosino “revamp” di modelli e texture, mantenendo però il gameplay nella sua interezza. Il risultato di questo aggiornamento grafico è ballerino: come abbiamo modelli decisamente minuziosi nei particolari come quello del nostro Rogue, talmente curato da riuscirne ad osservare persino i pori della pelle, ci sono texture che sembra quasi siano state tralasciate dall’opera di restauro. Seppur secondarie, la loro resa non troppo riuscita è invece fin troppo notabile rispetto ciò che è stato rimaneggiato dagli sviluppatori. Invariato, purtroppo, è rimasto anche “l’arredamento” dei vari livelli. Si passa a combattere in canyon con coperture di vario tipo, anfratti dove recuperare bonus e fortini con tanto di torri di guardia a basi militari spoglie e fredde, corredate da casse impilate alla rinfusa e dagli immancabili barili esplosivi rossi.

Anche il lato gameplay è quello del 2006: proprio come nell’originale Rogue viene coadiuvato dai sui commilitoni caduti in battaglia, i cui microchip vengono installati nel casco, nel fucile e nello zaino del nostro protagonista. Il soldato Helm ad esempio, inserito all’interno del casco di Rogue, offre il supporto tramite radar con tanto di cono di visione nemico come in Metal Gear ed è in grado di hackerare terminali per sbloccare porte ed attivare congegni. Gunnar all’interno del fucile segnala zone vulnerabili delle truppe nemiche mirando ad esse, come i colpi alla testa o la possibilità di sparare allo zaino alle loro spalle per far esplodere le loro tute antitossina, così come può modificarsi modularmente, innestando un silenziatore per le sezioni più stealth, diventando un fucile a pompa, un lanciarazzi e persino trasformandosi in una torretta automatica da posizionare dove si vuole per tendere agguati alle truppe nemiche. Invece Bagman (eh, omen nomen…) si occuperà di gestire lo zaino tecnologico di Rogue, passando munizioni tramite un piccolo braccio robotico che fuoriesce da esso o sviluppando nuove tecnologie, nuovi tipi di armi, granate e munizioni al costo dei “frammenti”, vera e propria moneta di gioco recuperabile dai cadaveri dei nemici o tramite depositi più o meno nascosti nei livelli. L’atmosfera sparacchina viene spesso mitigata dai brillanti e spiritosi dialoghi dei soldati che ci portiamo dietro, ora divenuti il nostro equipaggiamento.

Parlando dei nemici affrontati durante il gioco ne abbiamo di vario tipo; si va da semplici soldati facilmente eliminabili con pochi colpi mirati, fino a massicci esoscheletri e veicoli che richiedono approcci differenti per essere abbattuti. Si possono utilizzare ad esempio granate statiche che friggono temporaneamente i sistemi, o sedersi a bordo mitragliatrici e cannoni per entrare in modalità in prima persona e sparare a tutto ciò che si muove; si può liberare dalle proprie gabbie la strana fauna del pianeta ed osservare come gli strani esseri facciano scempio dei soldati nemici; o ancora si può utilizzare l’ambiente circostante per muoversi silenziosamente e sorprendere le guardie di ronda, eliminandole in modo quatto.

Ed è proprio in questo approccio che il titolo mostra il fianco: riuscire a muoversi silenziosamente, persino nelle sezioni dove il gioco lo richiede in modo esplicito, è praticamente impossibile a causa di errori di ingenuità del sistema di stealth che esso si porta dietro. Nel malaugurato caso in cui un nemico ci avvisti, qualsiasi soldato all’interno di quella porzione di mappa verrà istantaneamente allertato e conoscerà la nostra posizione, anche se si troverà a distanze ragguardevoli. Persino se uccideremo chi ci avvisterà immediatamente, l’intera base verrà allarmata sparando nella nostra direzione. Chiaro che il gioco non ha la pretesa di essere uno stealth game, ma questa meccanica diventa semplicemente inutile, considerata la difficoltà artificiosa e la frustrazione che subentra nel momento in cui si cercherà di utilizzare questo approccio. È un vero peccato perché sarebbe potuta essere una variazione importante di gameplay, e la varietà non fa mai male.

Messa da parte questa magagna, la componente tattica del gioco risulta comunque divertente, con la possibilità di posizionare mine e Gunnar come torretta automatica, utilizzando ologrammi sbloccabili procedendo nell’avventura, per ingannare cecchini o ronde, creando veri e propri agguati agli avversari, che sembrano in ogni caso essere rimasti agli standard dei primi del 2000 quanto ad intelligenza artificiale, restando spesso imbambolati in attesa di essere falciati dai nostri colpi.

Giocare a difficoltà maggiori non porta i nemici a gestire meglio il campo di battaglia, e come ci si potrebbe aspettare il tutto si riduce ad un maggior numero di colpi necessari a mandarli al tappeto. Resta comunque sfizioso organizzare trappole per sfoltire le file dei Nort, a patto che non si provi l’approccio stealth. Altra pecca riscontrabile è il sistema di copertura, dove bisogna avvicinarsi ad una superficie verticale per far appiattire il nostro Rogue dietro di essa. All’epoca si trattava di una meccanica all’avanguardia, oggi è decisamente troppo imprecisa, lasciando spesso il giocatore allo scoperto mentre tenta di far acquattare il nostro soldato blu dietro ad una barriera.

A risollevare un po’ le sorti di questo Redux è il comparto multiplayer, nel quale oltre al solito deathmatch non troppo riuscito già all’epoca, abbiamo la possibilità di affrontare orde di nemici sempre crescenti in cooperativa con altri giocatori, selezionando due modalità: Assedio, dove dovremo proteggere un nostro compagno per un certo periodo di tempo, e Progressiva, dove ci verrà richiesto di muoverci da un punto A ad un punto B sulla mappa di gioco.

Le opzioni di personalizzazione sono pochine, si può giusto decidere su quale mappa giocare, la difficoltà e il numero di vite disponibili. E anche se queste modalità sono funestate da problemi nel respawning, che non tengono minimamente conto del posizionamento dei nemici e che, soprattutto ai livelli di difficoltà elevati, rischiano di gettarci in un susseguirsi di morti a raffica, si tratta pur sempre di variazioni su tema in grado di offrire qualche ora in piacevole compagnia di giocatori in carne ed ossa.

rogue trooper redux recensione

Verdetto:

I ragazzi di Rebellion hanno cercato di svecchiare Rogue Trooper inserendo dettagli sfiziosi, come la possibilità di zoomare dietro le spalle per migliorare la mira o cambiando modelli di gioco, texture, effetti grafici e di luce al sistema grafico, riuscendo peraltro anche nel loro intento, ma dimenticando completamente tanti altri dettagli altrettanto importanti, che in questo caso risaltano ancora di più per quanto siano rimasti indietro nel tempo. Rogue Trooper Redux resta un gioco del 2006, con tutti i pregi e i molti difetti. Se siete stati fan dell’opera originale però, è un gran bella occasione di rigiocarsi il titolo in full HD.

Gianluca Boi
Recensore seriale, blogger, giocatore di ruolo decennale, hardcore gamer, groupie di Alan Moore. Amante dei Souls, di Castlevania e di Banjo-Kazooie e fanboy di Jet Set Radio. Ha visto Matrix almeno 42 volte, segue il wrestling ed è fissato con lo studio della musica tutta, con una piccola predilezione per gli Ulver, i Fair To Midland e le OST. Nasconde purtroppo un terribile segreto: non sa proprio come leggere gli orologi con le lancette (non scherzo).