Un omaggio alla scomparsa regina del Tejano, questo vuole essere Selena: La Serie. Ma ci riesce?

Esistono due tipologie di spettatori di fronte a un biopic dedicato a un artista, o a una serie tv biografica a seconda dei casi: i fan, curiosi di vedere se la trasposizione renderà giustizia al loro beniamino, e i profani, che del protagonista non sanno nulla e che sono pronti a saperne di più. In entrambi i casi, il biopic in questione ha un compito preciso: quello di esplorare non solo la vita e le opere del soggetto in questione, ma anche la sua psiche, i suoi sentimenti, tormenti e fragilità. E quasi nulla di tutto ciò, purtroppo, si ritrova in Selena: La Serie.

Novità del catalogo Netflix del 4 dicembre, la serie, composta da nove episodi, vuole essere un tributo a Selena Quintanilla, ben nota negli Stati Uniti e meno in Italia: fu una cantante, soprannominata “la regina del Tejano”, dove quest’ultimo è un genere musicale tipico del sud degli USA (con brani in spagnolo dalle sonorità derivanti dal Messico, Germania e Repubblica Ceca). Il passato remoto è d’obbligo: la vita di Selena finì tragicamente il 31 marzo 1995, quando venne uccisa a soli 23 anni dalla presidentessa del suo stesso fan club ufficiale, dopo una lite dovuta a soldi rubati dall’assassina.

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Un affare di famiglia…

Selena: La Serie esplora quindi gli albori non solo della carriera della cantante (interpretata da Christian Serratos), ma anche della sua stessa vita: iniziò infatti a esibirsi giovanissima, spronata dal padre Abraham (Ricardo Chavira) e sin da subito accompagnata nel percorso artistico dal fratello A.B. (Gabriel Chavarria) e dalla sorella Suzette (Noemi Gonzalez). Quest’ultima, nella versione reale, è produttrice esecutiva della serie, creata da Moisés Zamora e Hiromi Kamata; al contrario di altri film e sceneggiati televisivi visti negli anni, si tratta di una versione autorizzata dalla famiglia di Selena.

Quest’influenza familiare tende tuttavia a emergere più del dovuto nel corso degli episodi, tanto che Selena, paradossalmente per una cantante, non ha quasi mai una sua voce. Il suo personaggio è sempre quasi come filtrato dalla visione altrui: la vediamo con gli occhi del papà, della sorella e del fratello, ma mai come espressione della sé più autentica.

Appare sempre sorridente, bendisposta, incline allo scherzo e alle battute di spirito, persino innamorata, ma il momento di scoprire davvero chi sia, dietro le paillettes incollate sugli abiti e i cambi di colore ai capelli, non arriva mai. La sensazione, addirittura, è quella di conoscere meglio A.B. e Suzette della stessa Selena, costantemente messa su un piedistallo, tanto da dimenticarsi di far davvero luce su di lei.

…e altri problemi di Selena: La Serie

Se questa è una delle pecche di Selena: La Serie, o almeno dei primi nove episodi (una seconda stagione è già nei piani), non è l’unica. Dall’altro lato c’è anche molto, troppo di non detto che riguarda l’identità culturale della protagonista e della sua famiglia. Per esempio: è per metà messicana, ma non parla spagnolo ed è costretta a impararlo per poter cantare tejano, e nessuno si premura di spiegare come mai Abraham, il padre, non le abbia mai insegnato la lingua.

E ancora: si dà quasi per scontato cosa sia il tejano, così come il fatto che Selena sia una mosca bianca in quanto donna che canta quel genere, ma per scoprirne di più bisogna affidarsi a Google. E il fatto che Abraham sia così protettivo con le figlie ma non con A.B., il maschio, altro probabile fattore culturale, non viene mai esplorato a fondo.

Ancora una volta, quindi, siamo di fronte a una mancanza dovuta al filtro attraverso il quale lo spettatore è costretto a guardare la serie: quello della famiglia di Selena, per cui magari quanto elencato finora è talmente ovvio da non sentire la necessità di esplicitarlo. Ed è sinceramente un gran peccato: soprattutto se un artista non è più in vita, come nel caso di Selena, una biografia su schermo (Bohemian Rhapsody, Rocketman per dirne alcuni) deve essere in grado di farla sentire vicina a chi guarda, di dare a tutti, per un attimo, la possibilità di entrare nel suo mondo e di vederlo con i suoi stessi occhi. Ma qui non succede.

Ma la forma è perfetta

Per il resto, comunque, poco da dire: il casting è perfetto, perché i protagonisti sono tutti davvero molto simili alle controparti reali. Christian Serratos nello specifico fa un gran lavoro sulla propria voce parlata (la serie è disponibile solo in inglese o spagnolo con sottotitoli, quindi non è possibile vederla doppiata) per somigliare quanto più a Selena: le parti cantate sono infatti originali, ma ci sono anche molti inserti di video di repertorio dove si sente parlare la Regina del Tejano, il che offre un immediato benchmark per stabilire l’ottimo lavoro della Serratos. Incredibile è poi la piccola Madison Baez, che interpreta Selena da giovane, e canta invece tutte le proprie canzoni con una voce pazzesca per i suoi soli nove anni. Mood anni 80/90, con annessa colonna sonora, perfettamente azzeccato anche e soprattutto negli abiti e nelle capigliature.

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Per quanto dunque a livello formale sia un prodotto di altissima qualità, Selena: La Serie non riesce mai a entrare nel vivo della questione, rendendo così giustizia alla sua protagonista: sulla sua figura aleggia sempre quello che qualcuno chiamerebbe il “velo di Maya”, e che si spera la seconda stagione possa finalmente essere in grado di squarciare.

Martina Ghiringhelli
Nasco in un soleggiato mercoledì a Milano, in contemporanea col trentesimo compleanno di Cristina D’Avena. Coincidenza? Io non credo: le sue canzoni sono un must nella mia macchina, e non è raro vedermi agli incroci mentre canto a squarciagola. Altri fatti random su di me: sono laureata in cinema, sono giornalista pubblicista, ho dei gusti musicali che si prendono tragicamente a pugni tra loro, adoro la cultura giapponese, Mean Girls è il mio credo e soffro ancora di sindrome da stress post-traumatico dopo il finale di Game of Thrones.