Ripercorriamo la storia di Shenmue per capire quale sia stata la sua importanza nella storia videoludica!

Shenmue è stato un capitolo controverso della storia dei videogiochi, che sembra non trovare il proprio posto né nel passato né nel presente. Avanguardista nel 1999, obsoleto nel 2018, come verrà accolto dal pubblico il nuovo capitolo?

Shenmue – Uno sguardo al passato: F.R.E.E. e Project Berkley

Prima di iniziare a lavorare su Shenmue, Yu Suzuki si era fatto le ossa sui videogiochi arcade di Sega, che negli anni ‘80 erano tra i migliori in circolazione. Il geniale game designer era noto per la sua spinta sperimentalistica nel creare videogiochi che avessero un feel realistico e offrissero quel quid in più alla loro esperienza. Hang On è stato il primo gioco di moto ad essere dotato di un cabinato che riproducesse una vera e propria moto da corsa, seguito poi da After Burner e Ferrari 355 Challenge, giocabile in un cabinato dotato di 3 schermi e in grado di ruotare su se stesso per simulare al meglio l’esperienza di guida.

Suzuki è stato anche un pioniere nel campo dello sviluppo in 3D: Virtua Fighter è stato il primo picchiaduro totalmente in 3D, aprendo le porte ai futuri Tekken e Soul Calibur. L’etica lavorativa di Yu Suzuki era imparagonabile: sempre alla ricerca del realismo, dedicava anima e corpo a studiare nei minimi dettagli come riprodurre il movimento della moto o della Ferrari o del corpo umano per infonderli nei propri giochi. È con questo approccio in mente che è nato Shenmue

Prima di stabilire “Shenmue” come nome ufficiale, il progetto ad esso legato era intitolato “Project Berkley”, un nome in codice scelto da Sega-AM2. Per presentare tale progetto, venne realizzato un breve video che ne illustrasse la filosofia per sommi capi. Già dall’inizio del video viene evidenziato come Shenmue fosse qualcosa di mai tentato prima: per descriverlo, Yu Suzuki prende le distanze dal termine “rpg”, che secondo lui non descrive pienamente ciò che Shenmue avrebbe dovuto essere, bensì conia un suo personale acronimo per rappresentarlo: F.R.E.E., che sta per Full Reactive Eyes Entertainment. 

La parole chiave che Yu Suzuki voleva comunicare con questo acronimo sono libertà e realismo: in risposta agli spazi “ristretti” che il gioco arcade gli permetteva di creare, Yu Suzuki desiderava dare vita a un mondo virtuale che non solo fosse realistico nei minimi particolari, ma che fosse al tempo stesso totalmente esplorabile e reattivo all’azione del giocatore. 

Oggi diremmo che Yu Suzuki voleva creare un open world e nessuna di queste idee ci sembrerebbe particolarmente nuova. Negli anni ’90, però, il concetto di open world ancora non era stato pienamente codificato. Non aveva dei suoi canoni o delle caratteristiche precise, dunque ciò di cui Yu Suzuki teorizzava era un territorio totalmente inesplorato, su cui ci si muoveva seguendo le sue intuizioni e null’altro. Il risultato di questa “esplorazione” è stato Shenmue 1.

Shenmue 1: pregi e difetti della creatura di Yu Suzuki

Shenmue 1 (la dicitura è di fatto scorretta in riferimento al primo gioco, ma serve a distinguere i due capitoli dal progetto nel suo insieme), per chi lo giocò alla sua uscita, è stato un’esperienza fuori dal comune, rimasta nel cuore di migliaia di videogiocatori.

La prima rivoluzione introdotta da Yu Suzuki riguarda la vastità degli ambienti esplorabili: ben quattro aree di gioco, pulsanti di vita e di atmosfera, modellate su luoghi realmente esistenti in Giappone, i quartieri dell’area di Yokosuka. Questo segna la prima tacca sulla cintura del realismo: riproporre luoghi reali, seppur rimodellati, distingueva dalla tendenza dominante ad ambientare i videogiochi in mondi frutto di fantasia. Non solo: il mondo di Shenmue è anche una riproduzione fedele di molti usi e costumi tipicamente giapponesi. 

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Tutto in queste aree può essere esplorato: a partire dalla propria casa, i cui cassetti, armadi, credenze, stanze possono essere aperti e perlustrati, arrivando ai numerosi negozi di Dobuita, dai quali è possibile acquistare oggetti utili in gioco. I personaggi non giocanti non sono semplici decorazioni: con ognuno di essi si può interagire e ognuno ha la propria routine giornaliera, così come i negozi seguono i propri orari di apertura e chiusura come nella realtà. Infine, il mondo di Shenmue è in costante mutamento: il tempo atmosferico, le stagioni, l’ora del giorno e le festività influiscono sull’ambiente circostante a tal punto che sembra davvero di trovarsi nel Giappone del 1986 insieme a Ryo e aggirarsi per le strade di Dobuita.  

Tutto questo bendidìo videoludico cala il giocatore nei panni di una specie di turista: non si può contare né sul fast travel né sull’utilizzo di veicoli (anche se in una delle primissime demo, Ryo utilizzava una bicicletta, feature che non è stata poi inserita), tanto meno su una mappa “in gioco”, su segnalini o scie colorate da seguire che indichino la direzione giusta. L’unico modo di procedere è dialogare con gli personaggi e raccogliere indizi su come procedere e dipanare il mistero che avvolge la morte del padre di Ryo. Queste “mancanze” incoraggiano il giocatore a studiare ed esplorare l’ambiente, a crearsi i propri punti di riferimento, a leggere cartelli, ricordarsi strade e scorciatoie.

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La pazienza è fondamentale quando si gioca a Shenmue 1 e il valore dell’attesa assume una sua importanza: per procedere nella storia, a volte viene chiesto di recarsi in un luogo a una certa ora o addirittura direttamente il giorno successivo. E in quel caso che si fa? Si attende, come si farebbe nella vita di tutti i giorni. E non c’è scappatoia che regga. Yu Suzuki ha detto “voglio il realismo” e realismo è stato, a volte anche a costo della godibilità. 

Sono tutte queste caratteristiche che hanno reso Shenmue 1 un prodotto fuori dagli schemi. Non è esente da difetti, anzi proprio queste caratteristiche di lentezza e pacatezza appena elencate possono essere considerate difetti se guardate da un’altra angolazione, ma tutto dipende da come ci si approccia al gioco. Esse fanno parte della precisa visione di Yu Suzuki, che forse in questa sua prima realizzazione si è rivelata poi un po’ troppo estrema.

Non c’è dubbio che Shenmue richieda di essere affrontato con un mindset ben preciso, soprattutto al giorno d’oggi, annullando qualsiasi aspettativa sull’avere un’esperienza adrenalinica o paragonabile ad altri open world. 

Shenmue 2 e l’errata corrige

In Shenmue 2, ci sono state diverse limature, che hanno perfezionato la formula del primo capitolo: è stato introdotto il comando “wait” per attivare prima gli eventi di gioco; è possibile acquistare delle mappe, che seppur poco chiare, danno un minimo di aiuto ai meno avvezzi all’orientiring, permettendo di stabilire dei punti di riferimento con i quattro tasti del controller; i png danno degli aiuti più incisivi per orientarsi, addirittura accompagnando fisicamente Ryo nel luogo richiesto. 

Con questi piccoli aggiustamenti, Shenmue 2 si presenta come una forma evoluta delle già ottime idee presenti in Shenmue 1. Al cuore, il gioco rimane sempre lo stesso, ma a questo giro, con il trasferimento di Ryo in Cina, siamo alle prese con delle mappe più grandi, complesse e ricche visivamente. Il senso di atmosfera metropolitana che si respira nella Hong Kong di Yu Suzuki è maestoso: ogni area ha un suo feeling ben preciso, dalla variopinta ma insidiosa Aberdeen, alle sudicie e pericolose strade di Kowloon, la città murata (di cui Shenmue 2 costituisce una sorta di “documento storico” dato che ad oggi la città è stata demolita) fino a giungere al culmine della storia tra le montagne della pacifica Guilin.

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Il livello di cura del dettaglio di queste nuove aree è altissimo e di grande qualità, sia dal punto di vista grafico sia dal punto di vista “storico” della ricostruzione della Cina di quegli anni. Il pacing della narrazione è più serrato rispetto a Shenmue 1, tra inseguimenti, combattimenti e pedinamenti, ma non mancano quei momenti di quieta esplorazione che hanno reso Shenmue 1 famoso (o famigerato, dipende dai punti di vista).

Soprattutto nell’ultima parte, dopo un climax di tutto rispetto, ricco di azione e adrenalina, Shenmue 2 catapulta il giocatore di nuovo nella tranquillità e pacatezza, quando porta Ryo fino alle pacifiche lande di Guilin. È in quest’ultima parte che Shenmue “sfoga” tutta la sua genialità: le ultime ore di gioco, precedenti all’infame cliffhanger che tutti i fan conoscono,  sono spese a non fare altro che passeggiare e chiacchierare con Shenhua, la leggendaria fanciulla presente sin dal primo gioco in sogni e filmati, fino a raggiungere la sua casa.

A parte qualche breve QTE, in questa sequenza non c’è altro che questo, ma è eseguita in maniera così posata e rilassante da scorrere con una grande naturalezza. Prima dei walking simulator, degli esperimenti alla Gone Home e Dear Esther, la sequenza di Guilin in Shenmue 2 è riuscita a stregare i suoi giocatori con qualcosa di così semplice come passeggiare in mezzo alla natura incontaminata, esplorandone le bellezze in dolce compagnia.

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Nonostante fosse il fiore all’occhiello del neo-nato Dreamcast, la console che avrebbe dovuto risollevare le sorti di SEGA, il destino di Shenmue è quello che conosciamo tutti. Per SEGA, che già arrancava in una profonda crisi economica ben prima dell’arrivo di Shenmue, le vendite non sono state minimamente sufficienti a coprire i costi di produzione. Il Dreamcast è stato ritirato dal mercato dopo soli quattro anni dal suo lancio, a distanza di un anno dal lancio di Shenmue 2.

A ben vedere, i dati di vendita di Shenmue non erano stati affatto negativi, considerando la situazione critica in cui è stato commercializzato: solo negli Stati Uniti ha venduto più di 400.000 copie, sforando il milione di copie nei cinque anni successivi. Di per sè non cifre esorbitanti, certamente non paragonabili alle cifre del più recente GTA 5, ma tutto considerato è stato un risultato più che onesto. Il vero problema è stato il budget che Shenmue ha richiesto, che si aggira intorno ai 70 milioni di dollari per l’intero progetto, una cifra fin troppo alta per le possibilità di Sega; se da un lato non si può dire che l’intera colpa del fallimento del Dreamcast sia di Shenmue, dall’altro non si può nemmeno ignorare che di fatto abbia piantato l’ultimo chiodo alla sua bara. 

Shenmue oggi: uno sguardo al presente

Quando è stata lanciata, nell’agosto 2018, la remastered di Shenmue 1 e 2 è sembrata una mossa naturale. Oltre ai i fan storici, un buon numero di giocatori, di vecchia data e non, erano desiderosi di recuperare i primi due capitoli, per non doversi accontentare delle versioni “movie” per recuperare la trama. Anche perchè, diciamocelo, conoscere la storia di Shenmue senza averla vissuta tramite il gioco stesso è un po’ come recita lo slogan dei Fonzies: “godi solo a metà”.

Gran parte del fascino di Shenmue è legato proprio al suo gameplay inusuale e passa attraverso il camminare insieme a Ryo, cercare indizi, fare proprio il mondo di gioco, imparare a conoscerlo e ad amarlo come si farebbe con una città reale. La storia di Shenmue, per quanto ricca di mistero, allo stato attuale non ha nulla di nuovo da raccontare, anche per stessa ammissione di Yu Suzuki, che sempre nel video di Project Berkley dichiara di aver voluto trasmettere dei temi “universali” che potessero essere compresi da tutti al di là delle barriere linguistiche e culturali. L’originalità di Shenmue sta senza dubbio nel modo in cui tali temi sono stati trasmessi.

Giocare Shenmue e testimoniare la sua originalità negli anni 2000 è una cosa, provarlo adesso con tutte le evoluzioni che il videogioco ha subito negli ultimi 15 anni è un’altra. I fan della serie sono rimasti fedelissimi e portano nel cuore la propria esperienza con Shenmue, il problema risiede nell’avvicinare le nuove generazioni, o comunque chi è abituato ad una versione più evoluta degli open world. 

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Le recensioni negative non sono mancate nemmeno al momento della sua uscita, indicandolo come un gioco noioso e privo di vera attrattiva. In generale queste recensioni davano prova di non averlo compreso fino in fondo. Questo perché Shenmue, per usare un’espressione inglese, richiede un “aquired taste”, un gusto acquisito. Non si tratta di fare discorsi su quanto sia profondo o per pochi eletti, ma si tratta di guardare in faccia la realtà e realizzare che Shenmue era ed è un prodotto particolare e unico nel suo genere.

Ciò non significa cancellare il fatto che sotto diversi punti di vista sia effettivamente invecchiato male, soprattutto Shenmue 1: i comandi e le animazioni sono rigidi e legnosi, così come il doppiaggio inglese è rimasto poco digeribile. Ma più di questi dettagli, a cui serve solo fare un po’ il callo, quello che risulta più difficile è abituarsi al gameplay vero e proprio, alla mancanza di una mappa, di un’interfaccia che indichi chiaramente la prossima tappa da raggiungere, e il dover davvero contare solo e unicamente sulle proprie forze e sul proprio intuito per poter proseguire. È l’aspetto di immersività totale di Shenmue che risulta difficile da digerire per chi prova il gioco per la prima volta ed è completamente digiuno da esperienze simili. 

Tra il vecchio e il nuovo

Nel video di Project Berkley, Suzuki afferma che il suo mantra è: “Gradually, generously and gently”, gradualmente, generosamente e gentilmente. Questo mantra racchiude tutta la filosofia con cui è stato pensato Shenmue nel suo insieme: gradualmente, perché non forza mai nulla, non rivela mai palesemente i propri limiti né la propria natura di artefatto; procede con naturalezza, ti incoraggia nella giusta direzione ma non ti ci spinge a forza. Generosamente, per tutta “l’abbondanza” visiva e interattiva che offre, di cui ho elencato i punti salienti, ma di cui si potrebbe parlare per ore. Gentilmente, perché Shenmue è gentile sull’animo e sulla mente, per i suoi scenari idilliaci, i suoni, le musiche, le atmosfere familiari di alcuni luoghi, le routine che il giocatore stesso si crea. 

Con Shenmue, Yu Suzuki è riuscito ad attenersi al suo mantra, ma rimane il dubbio su come bilanciare il vecchio con il nuovo in Shenmue 3. Il problema di riportare in vita un lavoro intrapreso 15 anni fa è cercare di adattarlo alle novità che hanno preso piede in questi 15 anni, ma anche non snaturare completamente le caratteristiche che hanno reso Shenmue un oggetto di culto per i propri fan.

È una sfida ardua, che potrebbe mettere a repentaglio il futuro dell’intera serie (che, ricordiamo, è composta da più di dieci capitoli, a detta di Yu Suzuki), se le vendite dovessero rimanere a livelli medio-bassi come per 1 e 2. Pur con il gioco in dirittura d’arrivo, sarà possibile dare un giudizio oculato solo dopo aver giocato a Shenmue 3 per intero, perché i trailer e i video di gameplay rilasciati dal 2015 sino ad oggi rendono molto difficile anche solo farsi un’idea di cosa sarà Shenmue 3 (complice una strategia di marketing molto discutibile). 

Una cosa rimane certa: Shenmue o lo si ama, o lo si odia. Rimane un prodotto inimitabile e unico, che è rimasto nel cuore di moltissimi videogiocatori per oltre un decennio, ma che ha anche fatto da apripista per tante idee e concetti che oggi diamo per scontati. 

Martina Raico
Umanista nel cuore, appassionata di videogames sin dalla tenera età, malata di storie e narrazione. Crede nella forza espressiva e comunicativa dei videogiochi, nel loro valore come esperienze e nel loro status di medium con una propria solidità. Junkrat è il suo uomo ideale: magrolino, appassionato di esplosivi e matto come un cavallo.