Nella musica l’uso di silenzi e pause è parte fondante del linguaggio, pur basandosi sull’emissione di suoni. Eppure senza momenti in cui alcune, se non tutte le note, sono assenti, una canzone non avrebbe la stessa espressività e la stessa carica emotiva. È un togliere che, se fatto per bene, diventa in realtà un valorizzare. La musica è l’esempio evidente, ma in tutte le forme d’arte, anche quelle che non prevedono l’utilizzo dell’udito da parte del fruitore, i momenti che siano di silenzio vero e proprio o di una sua illusione sono necessari per dare un certo ritmo, una certa espressività o un certo significato all’opera. Vorrei qui esplorare questo tema analizzando brevemente il ruolo che gioca il concetto di silenzio in tre opere appartenenti a tre media differenti e che lo usano in maniera molto distinta: La Tartaruga Rossa, Blankets e Dark Souls.

La Tartaruga Rossa (LINK)

Uscito nel 2016 dalle mani di Michaël Dudok de Wit (con tanto di candidatura all’Oscar), la Tartaruga Rossa è un film d’animazione che parla di un anonimo naufrago, che dopo una classicissima tempesta in mare, si ritrova a dover sopravvivere su un’isola deserta. Tuttavia la tipica trama da film d’avventura si interrompe con la comparsa di una misteriosa tartaruga marina rossa, la quale impedisce numerose volte la fuga del naufrago, che, preso dalla frustrazione, uccide l’animale. Ma la mattina seguente al posto della carcassa della tartaruga, il naufrago troverà una bellissima donna della quale si innamorerà e con la quale avrà poi un figlioletto. Durante tutto il film non si sente pronunciare una parola, né si vedono  scritte di alcun tipo, una schiacciante assenza di comunicazione verbale che nonostante, o forse grazie anche alla presenza di suoni naturali come le onde del mare, il vento e simili, produce una sensazione totale di silenzio e isolamento. È la solitudine totale dell’uomo di fronte alla Natura, costretto a sopravvivere grazie alle sue capacità in un ambiente ostile. Più che sulla sopravvivenza in sé, in questo film l’attenzione è centrata sulle emozioni del nostro protagonista che vengono comunicate in modo totalmente silenzioso attraverso le espressioni, gli atteggiamenti e qualche volta persino attraverso viaggi onirici.

Sono emozioni che proprio grazie al silenzio forzato arrivano con una purezza rara, semplice, ma al tempo stesso molto sottile e non sono facili da cogliere ad una prima visione superficiale. Una volta entrati nel mood giusto però, il film sarà capace di coinvolgere in modo molto profondo, mettendoci reale apprensione per le avventure-disavventure del nostro naufrago solitario prima e facendoci davvero affezionare alla silenziosa famigliola poi. La cosa più sorprendente e commovente del film infatti, a parer mio quantomeno, è come nasca l’amore tra il naufrago e la “tartaruga” nel più totale silenzio, senza una parola, in mezzo al nulla più assoluto, qualcosa di davvero lontano dalla concezione di romanticismo e amore della nostra cultura e tradizione che per questo sorprende ed emoziona. La Tartaruga Rossa andando così tanto all’essenziale, in primis rimuovendo la comunicazione verbale come detto, ma anche optando per un tipo di disegno e colorazione molto delicata e molto ispirata all’arte giapponese, punta a svestire le emozioni umane di tutte quelle usanze e tradizioni che sono state accumulate da ogni tipo di cultura nel corso dei secoli, per proporle allo spettatore nello stato più puro, vero e universale possibile. Un silenzio per semplificare.

 

Blankets (LINK)

Innanzitutto è bene specificare che sì, anche in un fumetto si può parlare dell’uso del silenzio, sia perché scene prive di dialoghi ovviamente lo sottintendono, sia perché anche un certo utilizzo delle immagini, a prescindere dall’utilizzo di elementi testuali, può suggerire l’assenza di suoni o quantomeno di parole. Per fare un esempio, mentre ne “L’ultima cena” di Da Vinci il chiasso e la confusione del momento si possono quasi sentire, nel “Viandante sul mare di nebbia” di Friedrich il silenzio che circonda la figura in primo piano immersa nella natura, avvolge anche noi.

Tornando a noi, il celebre graphic novel di Craig Thompson è forse l’opera tra le tre che ho scelto che più è vicina al confronto fatto nell’introduzione con la musica. In Blankets leggiamo dell’infanzia, dell’adolescenza e del primo amore dell’autore, raccontati con schiettezza e senza filtri e rappresentati con un disegno volutamente infantile nel tratto, ma molto ricercato ed espressivo, il cui obiettivo è il raggiungimento di un’armonia che sia una traduzione grafica della musica. Ciò che spesso è evidenziato dall’autore, è il contrasto tra il suo io giovane, silenzioso e riservato, e il contesto sociale, pervaso da una religiosità tossica, che lo circonda e che è spesso caratterizzato dal chiasso degli eventi sociali o dei canti in chiesa, atti a coinvolgere i membri della comunità. Contrasto che viene reso con le decine di onomatopee o di note che vengono dall’ambiente e che sembrano spesso soverchiare il protagonista dal quale non proviene nessun elemento grafico a suggerire suoni o parole, rappresentando così la sua solitudine in mezzo alle altre persone. Questi momenti di silenzio del protagonista sono però perfino più enfatizzati fuori dai contesti sociali, per esempio quando il giovane Thompson passa i pomeriggi col fratello minore a disegnare in salotto, o quando da adolescente brucia i suoi disegni nel giardino di casa ritenendoli blasfemi o ancora quando ormai diciottenne si ritrova finalmente solo con Raina, il suo primo amore, nella sua camera da letto, di notte, mentre fuori nevica.

Tutte situazioni che hanno segnato profondamente la sua crescita. È in questi momenti, infatti, che il narratore/autore riflette su i suoi ricordi o pensieri più intimi e profondi, oppure che si stacca dalla realtà disegnando su quelle pagine scene oniriche e poetiche, per rappresentare visivamente le emozioni che ha provato in quel determinato momento o che quel ricordo gli suscita. I silenzi di Blankets sono quelli che accompagnano la crescita di ognuno di noi, chi più chi meno, dall’infanzia all’età adulta (e molto spesso anche oltre), sono quei silenzi grazie ai quali riusciamo a essere soli con i nostri pensieri, affrontando terribili dubbi, emozioni sconosciute e soprattutto paure, quei silenzi che condivisi con una persona speciale possono creare un’intimità unica e speciale o al contrario segnare la fine di un rapporto, quei silenzi durante i quali si prendono le decisioni più importanti, i silenzi senza i quali nei momenti in cui i suoni ritornano non saremmo noi stessi.

 

 

Dark Souls (LINK)

Cambiamo infine tono in favore di qualcosa di un po’ meno sentimentale e parliamo dello spietato Dark Souls, ancora una volta. Quello che dirò riguardo il titolo che ha fatto la fortuna di Hidetaka Miyazaki e di From Software è in realtà applicabile benissimo anche a tutti i souls, da Demon’s a Dark Souls 3. Ciò che infatti riassume  meglio la narrativa di tutti questi titoli è la famosa citazione di Miyazaki stesso: “un mondo ben costruito, può raccontare la sua storia in silenzio”. Riflettiamo tuttavia su Dark Souls nello specifico e sul significato di questa frase. Nel gioco, come molti di voi sapranno, vestiamo i panni di un non-morto “prescelto”, il quale fugge dalla sua prigione nel mondo degli uomini verso la leggendaria quanto pericolosa Lordran, terra degli Dei, per adempiere al suo destino e ravvivare la Prima Fiamma, energia vitale dell’intero mondo, ormai morente. Ricevute queste e poche altre informazioni, tutte contenute nel video introduttivo iniziale, e superata l’area del tutorial, una volta giunti a Lordran il giocatore si ritroverà libero di muoversi un mondo assai aperto e altrettanto ostile, ma non riceverà nessuna indicazione sul dove andare e cosa fare, privo di ogni tipo di mappa o indicazioni a schermo, cosa affatto comune nel mondo dei videogiochi. Sarà solo parlando più volte con l’unico altro essere umano non ostile nelle vicinanze del Santuario del Legame del Fuoco, la prima area di Lordran che si raggiunge, che si otterranno le prime informazioni sul luogo dove ci siamo ritrovati, sulla strada da prendere e sulle azioni da compiere, che comunque non saranno segnate da nessuna parte e starà perciò a noi tenere in mente queste informazioni e decidere se seguirle o meno. Questa assenza di indicazioni precise e guide per il progresso saranno una costante per tutta la durata del gioco, sarà solo attraverso dialoghi più o meno nascosti con gli npc sparsi per il mondo di gioco e le descrizione degli oggetti raccolti che potremo capire all’incirca cosa ci aspetta più avanti o quantomeno dove e come proseguire.

dark souls

Un silenzio deliberato da parte dei creatori di Dark Souls che permette al giocatore di godere di una libertà unica nel movimento nel mondo di gioco, garantita anche da un level design studiato nei minimi dettagli soprattutto nella prima parte dell’avventura, ma che non si limita a lasciare a se stesso il giocatore in un mondo aperto senza nessuna indicazione, ma che al contrario lo guida attraverso piccoli indizi muti, che però non ci saranno serviti comodamente nella schermata di gioco. Un silenzio del tutto analogo è quello che riguarda la storia del mondo in cui giochiamo, compresa la nostra stessa missione. Abituati a essere sommersi da informazioni e spiegazioni in lunghe cut scenes, giocando a Dark Souls il senso di mistero di un mondo che non dice di sé nulla in modo diretto ed esplicito, eccezion fatta per il video iniziale come detto, colpisce in modo particolare. Le rare cut scenes, infatti, servono quasi sempre ad introdurre una boss fight e non hanno mai dialoghi, la storia di Lordran non è raccontata attraverso sequenze cinematiche spettacolari, bensì tramite le descrizioni degli oggetti, così facilmente dimenticate e ignorate, i dialoghi dei personaggi che sembrano sempre saperne qualcosa più di noi, gli ambienti e le creature stesse, realizzati secondo una precisa estetica e un preciso design legati fortemente al background dell’ambientazione. Così come siamo guidati nel gameplay, siamo guidati anche attraverso la narrativa, un silenzio che vuole comunicare un senso di smarrimento e mistero e che vuole spingere il giocatore ad esplorare sempre oltre per conoscere qualcosa in più sulla sua missione e sul mondo che lo sta uccidendo, andando avanti non perché si conosce cosa ci circonda e ci si aspetta, bensì proprio in virtù della propria ignoranza.  

Simone Artini
Sono nato il 9 Luglio del 1998, ho studiato presso il liceo scientifico "N. Copernico" di Udine presso il quale mi sono diplomato con 94/100. Attualmente frequento l'Università degli Studi di Trieste dove studio Fisica. Nel tempo libero principalmente mi dedico alla lettura di libri e fumetti e suono il basso elettrico da autodidatta.