Dreamcast: tra innovazione e sfortuna

Ah, il Dreamcast! Il canto del cigno di SEGA fu un urlo lancinante, lasciandoci contemporaneamente senza una console che stava ridefinendo il videogioco e senza una delle società sviluppatrici di hardware più influenti della storia. Rimasero però dei giochi, belli, bellissimi, unici. Perdemmo invece una filosofia, quella di SEGA, che all’epoca sembrava quasi fregarsene delle vendite, per seguire la propria strada. Così uscì fuori Shenmue, che costò una quantità di soldi insensata per l’epoca, senza vedere questo grande rientro economico. “Sticazzi, facciamone un secondo, più grande”, dissero in SEGA.

Cercando bene, la storia di SEGA è piena di roba bellissima che ha venduto quattro copie, e non vi so dire se semplicemente non sapevano cosa avrebbe potuto fargli fare i soldi (e stando a molte scelte e all’attenzione che SEGA of Japan prestava alla sua controparte americana, dove l’azienda faceva molti più soldi, propenderei per questa ipotesi) o semplicemente gli piaceva fare mecenatismo. Ma sto divagando, perché la produzione SEGA mi appassiona in modo un po’ morboso probabilmente, così come mi appassionano le chiacchiere e le leggende da forum online in cui si parla di accordi per i processori del Saturn presi su un campo da golf.

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Torniamo all’inizio. Dicevo, Dreamcast stava ridefinendo il videogioco, come lo aveva fatto Playstation mostrando al mondo la grafica tridimensionale, come lo aveva fatto il pad del NES e come, successivamente, farà Xbox 360. Sono pronto ad essere corretto ovviamente, ma a queste quattro macchine farei corrispondere quattro turning point della storia delle console. Le altre però ebbero successo, Dreamcast no. Le introduzioni di SEGA con il suo Dreamcast appaiono oggi scontate, ma fate un passo indietro, nel 1998, ben due anni prima di Playstation 2. Dreamcast aveva un modem, integrato, e ci potevate giocare a Quake 3: Arena. Phantasy Star Online era un MMO, probabilmente il primo della storia per console, e la gente ci gioca ancora oggi. All’epoca la possibilità di giocare sulla TV cose del genere, fino a quel momento esclusive PC, era una cosa mai vista prima, semplicemente era il futuro.

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Sempre sul fronte online, SEGA metteva sul piatto un servizio da cui poter scaricare contenuti, come poi sarà con Xbox Live. Ma parliamo di un periodo in cui ancora ci si preoccupava del millenium bug. Continuando con le peculiarità, era possibile collegare alla console mouse e tastiera, utilizzare il VGA per portare il segnale anche ai monitor a una risoluzione di 480p, aveva una memory card, la VMU, con schermo LCD integrato che si poteva staccare dal pad e portare in giro per giocare, era previsto un controller di movimento simile al WiiMote, mai rilasciato, e infine era possibile utilizzare una versione dedicata di Windows CE sulla console.

A parte il “wow” che bisognerebbe tirare fuori per ognuno di questi spunti, concentriamoci sulla questione Windows CE, perché le conseguenze sono importanti: Microsoft e SEGA erano molto vicine a quei tempi, tanto appunto da portare l’azienda di Redmond a fare il suo primo, timido passo nel mondo console proprio attraverso Dreamcast. Ma c’è un filo rosso più spesso che collega Dreamcast alla prima Xbox, e che lega le due aziende. Il lavoro di Microsoft con la prima Xbox è quello che ha gettato le basi per la successiva 360, che come già accennato è probabilmente la macchina più rivoluzionaria degli ultimi 15 anni. Se pensiamo però a cosa ha di davvero rivoluzionario 360, troviamo tutte cose che in nuce aveva già detto SEGA, proprio mentre intratteneva stretti rapporti con Microsoft. La prima Xbox, per certi versi, è l’evoluzione del Dreamcast.

Il primo, più evidente motivo, sono ovviamente i giochi: SEGA preferì sviluppare solo su console Microsoft, nel post fallimento della sua console, portando lì tutta quella roba che non era riuscita a sviluppare su Dreamcast, con seguiti di roba grossa come Jet Set Radio Future, e l’unico porting mai fatto di Shenmue 2, oltre a una quantità di giochi bellissimi che videro la luce su Xbox in esclusiva, come GunValkyrie, Outrun 2, Panzer Dragoon Orta. Facendo un passo avanti, Microsoft sta facendo convergere tutte le piattaforme su Windows 10, ma già in passato aveva cercato di espandere il suo OS sulle console, proprio con Dreamcast. Inoltre è bene ricordare che Xbox avrebbe dovuto far girare anche i giochi Dreamcast, e ci furono molti incontri per fare in modo che questo avvenisse. Purtroppo poi non se ne fece nulla. Infine, la scheda arcade successiva a Naomi – su cui era basato Dreamcast – era costruita sull’hardware di Xbox, e chiamata Chihiro. Ancora dubbi sull’influenza di Dreamcast sul mercato console?

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Ma quindi, tutta questa meraviglia, perché fallì? Semplicemente, SEGA non poteva permettersi di tenere in piedi la cosa, dopo il disastro registrato con il Saturn. E dire che Dreamcast, in America, vendette in modo decente al lancio. Meno fortunato fu invece il risultato sul mercato giapponese, ma storicamente SEGA ha sempre venduto più negli States, lasciando il mercato “di casa” nelle mani prima di Nintendo, e poi di Sony.

Eppure quello che seppe esprimere la ludoteca Dreamcast fu tutt’altro che di poco conto. Il segno più evidente della “forza” nello sviluppo videoludico venne dato con i giochi sportivi: EA si rifiutò di sviluppare su Dreamcast, a quanto pare perché SEGA andò in causa con 3dfx, responsabile di parte dell’hardware di uno dei due prototipi della console. EA aveva delle quote della società, e così avvenne la rottura. Poco male, avrebbe detto SEGA, avviando la propria serie di ottimi sportivi: quei 2K che sotto altra etichetta esistono ancora, e che nel basket, ad esempio, sono il punto di riferimento. 

A prescindere da questo però, la libreria SEGA Dreamcast può vantare alcune delle cose più incredibili della storia: i primi titoli che vengono in mente non possono essere che i due Shenmue, diretti da uno Yu Suzuki in forma smagliante. A vederli oggi probabilmente pensereste all’ennesimo open world, ma non c’è niente di più sbagliato. I giochi erano ambientati in macro aree, certo, ma quello che faceva paura era come il mondo sembrasse vivo, e non nei termini con i quali pensiamo questa cosa nei giochi attuali: il mondo era davvero vivo. Ogni NPC aveva una sua routine, non di movimento, ma di vita. Usciva sempre dalla stessa casa per andare a lavoro. Bussando alla porta delle case apriva chi effettivamente ci abitava, e poteva essere visto la mattina uscire e la sera tornare. Ognuno aveva i suoi dialoghi, era effettivamente un personaggio definito.

L’interazione con gli ambienti, aprire i cassetti di casa, entrare in sala giochi per giocare a vecchie glorie di SEGA totalmente incluse in Shenmue, ma anche il dover lavorare e il dover pagare l’affitto, tutto nell’opera magna di Suzuki era perfetto e orientato a restituire la sensazione di vivere una vita alternativa. A questo è necessario sommare i quick time event, qui inventati e mai più usati così bene, e il battle system preso da Virtua Fighter, per mettere le ciliegine sulla torta di un’opera che ha preso per le orecchie i videogiochi e li ha sbatacchiati fino a cambiarne i connotati. Aprendo una parentesi, si parla tanto di remaster, di quanto abbiano senso, se siano operazioni commerciali e quanto effettivamente si lavori per svecchiare un titolo. Per Shenmue non è importante tutto questo; l’unica cosa che conta è che, con gli annunciato porting di prossima uscita, finalmente si potrà agevolmente rimettere le mani su uno dei titoli più importanti della storia. Una vera e propria conservazione del patrimonio culturale.

Se Shenmue rimane il momento più alto del Dreamcast, non si tratta certamente dell’unico titolo incredibile distribuito sulla console. Non ho intenzione di scrivere un listone, per quello c’è Google, ma qualcosa bisogna ricordarlo. Jet Set Radio, ad esempio, oltre ad avere una soundtrack spaziale, inventava il cel shading per tratteggiare una Tokyo tra le più belle mai viste. Sempre in ambito colonne sonore spaziali, sempre su Dreamcast Mizuguchi reinventava il gioco musicale con Rez (qui la mia intervista), mentre Space Channel 5 faceva sgranare gli occhi alle masse e Samba de Amigo ci faceva ballare come scemi con le maracas. Ma non solo, perché Capcom proponeva Code Veronica X, Treasure potava nelle case, a sipario già abbassato, quell’Ikaruga che ancora oggi è l’idea platonica di shmup – grazie Suzuki per gli artwork.

Questi sono solo alcuni dei titoli più particolari che mi vengono in mente, ma il sottobosco di produzioni stellari potrebbe continuare all’infinito, iniziando dalle conversioni arcade perfect di praticamente ogni cosa uscisse in sala giochi, dalle tre versioni di Street Fighter III a Guilty Gear X con tanto di colonna sonora su minidisc a forma di logo del gioco, per arrivare in casa SNK con porting da Neo Geo pazzeschi, iniziando da King of Fighters per finire con Garou: Mark of the Wolves e Last Blade 2. Ma anche sparatutto a scorrimento stellari, alcuni addirittura distribuiti anni dopo la fine della produzione della console (l’ultimo un paio d’anni fa). Potremmo parlarne per ore, della roba uscita su Dreamcast, soprattutto se non ci limitassimo soltanto a quello che ha visto la luce in occidente, ma mi fermo qui perché sarebbe un esercizio superfluo.

Quello che è importante capire, quello che vi voglio dire, è che in soli tre anni di vita ufficiale, SEGA è riuscita a coniugare uscite esclusive eccezionali, corredate da funzionalità della console stessa mai viste prima, accostandogli titoli assolutamente sperimentali, come il già citato Rez, senza rinunciare a quella che è sempre stata la vocazione della casa madre per le sale giochi, portando porting su porting realizzati magistralmente di quello che si giocava in sala. Una console completa, quindi, defunta anzitempo per sbagliate valutazioni economiche.

Oggi, nell’epoca delle console mini, un Dreamcast mini è il sogno di tutti. Il perché è semplicissimo: c’è tanta roba, che in pochi hanno giocato. Si torna al discorso della conservazione del patrimonio culturale: molti di questi giochi sono difficili da trovare, e sono molto costosi. Non tutti hanno avuto la fortuna di Rez, che è stato ridistribuito praticamente ovunque, con l’ultima incarnazione in 4K e VR su Playstation 4 e PC. Molte cose importanti che sono uscite su Dreamcast sono morte lì, o hanno avuto qualche strascico su Xbox, ma poi più niente. Avere la possibilità di avere un facile accesso a titoli di così grande spessore sarebbe una fortuna, permetterebbe a chi ha saltato la piccola spirale arancio/blu di SEGA di recuperare tante meraviglie altrimenti impossibili da giocare.

Ben vengano le rimasterizzazioni dei due Shenmue, così come le tante altre riedizioni che SEGA ha distribuito nel corso degli anni. Quello per cui sarebbe bello avere un Dreamcast mini è semplicemente la possibilità di avere in salotto una macchina, connessa a internet, dalla quale poter accedere sempre a una libreria sterminata di titoli, preferibilmente upscalati in alta definizione. Non siamo forse nell’ambito del possibile, ma semplicemente in quello del sogno, il sogno di un giocatore che tiene il Dreamcast e Shenmue esposti in salotto vicino ai libri, come se fosse un tributo dovuto a un’epoca importantissima per la storia dei videogiochi.

Luca Marinelli Brambilla
Nato a Roma nel 1989, dal 2018 riveste la carica di Direttore Editoriale di Stay Nerd. Laureato in Editoria e Scrittura dopo la triennale in Relazioni Internazionali, decide di preferire i videogiochi e gli anime alla politica. Da questa strana unione nasce il suo interesse per l'analisi di questo tipo di opere in una prospettiva storico-politica. Tra i suoi interessi principali, oltre a quelli già citati, si possono trovare i Gunpla, il tech, la musica progressive, gli orsi e le lontre. Forse gli orsi sono effettivamente il suo interesse principale.