Dopo decine di ore Starfield sembra aver mostrato solo una porzione di quello che ha da offrire, e sono contento così

Da quando è uscito l’accesso anticipato di Stafield non ho sostanzialmente giocato ad altro se non per rilassarmi la sera sul letto con qualcosa di meno impegnativo. Nel frattempo mi sono anche dedicato a seguire il tam-tam online relativo al gioco, rimanendo per lo più basito da come, ancora più del solito, il gioco è stato pesato su una bilancia sulla quale sull’altro piatto non c’era il tentativo di capire cosa volesse fare Bethesda e quale fosse lo scopo ultimo del gioco quanto quello che nella propria testa ci si aspettava da Starfield, o quello che si pensava di aver capito dalla campagna di comunicazione di Bethesda, risolvendosi quindi il più delle volte in paragoni arditi e aspettative improbabili se non dimenticandosi totalmente dell’identità propria del gioco in questione e spesso sperticandosi in peculiari analisi di game design (i game designer di Bethesda ringraziano per i suggerimenti ricevuti, immagino).

Se ci siamo un po’ dimenticati come ci si approccia a un’opera con l’umiltà di capire cosa l’opera stessa volesse dirci e non cosa abbiamo noi deciso l’opera dovesse dire è certamente un po’ colpa nostra – di noi che scriviamo gli articoli sul web – e un po’ colpa di strategie di marketing spesso, se non ingannevoli, almeno paracule. C’è però anche una disaffezione diffusa verso le produzioni Tripla A, effettivamente spesso troppo simili a loro stesse, che trovo anche giustificato nella maggior parte dei casi. Ma Stafield non riesco proprio a capire come lo si possa far rientrare in questa problematicità dell’industria AAA.

Chiaramente alla base di Starfield c’è l’RPG à la Bethesda, ma mi sembra ovvio e anche un po’ pochino per parlare di Starfield come gioco sostanzialmente uguale a Skyrim o Fallout 4. Perché in realtà nella grandissima quantità di meccaniche che Stafield mette sul tavolo c’è qualcosa che nessun gioco ha mai fatto su questa scala, e che era dichiaratamente lo scopo del gioco: far rivivere l’esperienza della scoperta spaziale.

Se guardiamo indietro non c’è una space opera al livello di Stafield. Forse Mass Effect ha avuto intenti in alcuni aspetti simili, ma la direzione era quella del modo di intendere l’RPG di Bioware che, sommato ai limiti tecnici dell’epoca, risultava in un gioco molto più limitato. Gli altri accostamenti improbabili sono stati fatti con vari space sim, che però sono appunto space sim e non RPG e quindi hanno a loro volta uno scopo diverso. Qui non si intende fare un’analisi qualitativa dei diversi titoli a cui è stato paragonato Starfield, quanto sottolineare come sia necessario prendere atto di come tutti questi giochi non abbiano nulla a che fare con Starfield, e quindi capire che il gioco di Bethesda non vuole essere No Man’s Sky né Elite Dangerous, né tantomeno un X4: Foundations o un Mass Effect.

Cercare la singola meccanica in Starfield che viene esplorata e approfondita meglio in un altro titolo è un po’ sciocco oltre che un po’ disonesto e l’unica cosa che dimostra è una poca capacità di capire quale sia l’intento del gioco.

E l’intento sarebbe facile da capire se si smettesse per un attimo di leggere le cose interpretandole per quello che vorremmo e cercando invece di capire cosa ci sta dicendo Starfield mentre lo giochiamo.

In Starfield si ricerca quel gusto per l’esplorazione dello spazio che è tipica di una certa letteratura sci-fi di ormai decine d’anni fa. Un’esplorazione basata sulla scoperta di altre civiltà, di misteri più antichi dell’uomo, e di pianeti alieni. Una ricostruzione delle società che cerca di capire come l’umanità che conosciamo può essersi evoluta una volta obbligata a muoversi verso le stelle: diverse strutture sociali, diversi credi e diverse culture vengono a crearsi nel momento in cui l’uomo conosce quello di cui non poteva fare esperienza “bloccato” sulla Terra. Una rimodulazione dell’umanità che porta comunque con sé (ancora) le disuguaglianze, gli “errori” e le storture che sembrano definire ogni momento della storia dell’uomo.

Starfield immagina un futuro possibile perché parte dal nostro contemporaneo e ci proietta sì nel futuro, e in un futuro decisamente non prossimo, ma allo stesso tempo il momento in cui esistiamo in Starfield non è un punto di arrivo e c’è ancora tanto da scoprire dopo che l’umanità ha trovato un suo equilibrio tra le stelle.

E proprio sullo scoprire che si incentra Starfield. Scoprire a modo nostro, secondo quello in cui crediamo (o quello che vogliamo interpretare) lo spazio e chi lo abita. Scoprire ed esplorare pianeti, ancorché spesso ovviamente disabitati, per il gusto della scoperta fine a sé stessa. Ma anche scoprire il nostro ruolo nel mondo, decidere come ci relazioneremo con questo. E perché no, più pragmaticamente, scoprire una serie di meccaniche e sistemi di gioco.

E qui veniamo al titolo dell’articolo: dopo quasi un mese sto ancora scoprendo e voglio continuare a scoprire.

Come da tradizione Bethesda Starfield è un gioco che non tiene per mano ma permette fin da subito di essere chi si vuole. Sotto il profilo narrativo possiamo decidere che posizioni prendere, quali fazioni approfondire (o a quali di queste unirci), ma è solo la punta dell’iceberg, perché molto più di qualsiasi altro titolo della software house siamo soverchiati di cose da fare, magari apparentemente fini a loro stesse, ma utili a dare realismo e senso alla nostra permanenza nello spazio. Lo specializzarsi, il voler fare qualcosa, il voler rendere il proprio personaggio qualcuno di ben definito nell’universo di Starfield è l’altro aspetto centrale del gioco, anche ovviamente data la sua natura di RPG, ma è anche legato a doppio filo con la questione della “scoperta”.

Cosa vogliamo scoprire, o meglio ancora cosa vogliamo esplorare? Vogliamo diventare esperti costruttori di navi o mettere su una serie di impianti di estrazione mineraria automatizzati e gestiti da un gruppo di persone che assumiamo per quello scopo?

O magari vogliamo solo camminare su più pianeti possibili per catalogarne la flora e la fauna? O magari ci interessa arruolarci nell’avanguardia e continuare a fare le diverse missioni offerteci dopo la storia principale della fazione e fare i poliziotti spaziali? O i corporativi spaziali? O magari i cowboy, o i pirati?

Oppure possiamo fare tutte queste cose, solo per il gusto di vedere cosa succede e quali possibilità ci sono nello spazio profondo.

Derubricare Starfield a “l’ennesimo gioco Bethesda” è un po’ limitante perché una quantità così ampia di sistemi non c’è mai stata in nessun titolo dello studio. Ampiezza, quindi, sia per estensione spaziale che per estensione meccanica.

Ampiezza anche per quanto riguarda le quest, che sono un netto passo avanti rispetto al passato sia nella scrittura che nelle possibilità di gameplay. Ci sono momenti in Starfield in cui sembra di star (quasi) giocando a Deus Ex e altri momenti in cui sembra di star giocando a un ottimo sparatutto, a seconda di come si decide di affrontare le sfide proposte. Ci sono situazioni di genuino horror, momenti militari o situazioni che strizzano l’occhio al cyberpunk, in un pot-pourri di suggestioni fantascientifiche che pescano dai più disparati sottogeneri letterari della science fiction per amalgamarsi in maniera organica e mostrarci diversi aspetti di un futuro possibile (?).

Il fatto che Starfield prenda sì le mosse da una fantascienza tradizionale, dalla space opera classica, per poi incorporare altri elementi di altri sottogeneri dà un valore aggiunto all’opera su cui non avrei scommesso.

Infatti se Starfield non è sicuramente un gioco “di tematiche” è interessante notare come questo suo pescare da diversi immaginari fantascientifici gli permetta, oltre a una non trascurabile varietà, anche la possibilità di rappresentare diversi modi in cui la fantascienza ha immaginato il futuro, dalle megacorporazioni alle guerre su vasta scala interplanetaria passando per tutto quello che c’è nel mezzo, risultando in un titolo con un bagaglio tematico mai preponderante e sempre solo suggerito ma comunque di spessore.

Tutto questo per suggerire che Starfield è effettivamente molto di più della somma delle sue comunque ottime parti, e che l’esperienza richiede un investimento e una buona predisposizione da parte del giocatore. Perché si tratta di un gioco che fa tante cose e che allo stesso tempo non ha paura di lasciarci in momenti in cui per lungo tempo “non si fa nulla”, a favore della credibilità dell’esperienza e del role-playing, riuscendo a mantenere intatta la sospensione dell’incredulità tanto quando ci si infiltra in un avamposto dai canali di areazione quanto quando si indossa la tuta più resistente e si impugna il fucile più pesante per abbattere una mostruosa minaccia aliena.

Come suggerivo, c’è ancora tanto che non ho visto in Starfield e mi ci vorranno altre decine di ore per poter vedere tutto. Scrivere qualcosa che ha il sapore di prime impressioni a un mese quasi dall’uscita è strano, ma credo sia importante sottolinearlo per rendere l’idea della portata, della dimensione, dell’ultima uscita Bethesda Game Studios. Allo stesso tempo avere la sensazione di aver visto solo una parte di quello che il gioco ha da offrire dopo decine e decine di ore mi predispone nella giusta prospettiva, quella del proverbiale puntino insignificante nella vastità dello spazio sconfinato, e mi sprona a continuare a esplorare per scoprire cosa c’è ancora di esplorato là fuori.

Luca Marinelli Brambilla
Nato a Roma nel 1989, dal 2018 riveste la carica di Direttore Editoriale di Stay Nerd. Laureato in Editoria e Scrittura dopo la triennale in Relazioni Internazionali, decide di preferire i videogiochi e gli anime alla politica. Da questa strana unione nasce il suo interesse per l'analisi di questo tipo di opere in una prospettiva storico-politica. Tra i suoi interessi principali, oltre a quelli già citati, si possono trovare i Gunpla, il tech, la musica progressive, gli orsi e le lontre. Forse gli orsi sono effettivamente il suo interesse principale.