“Nuda come la bellezza, grande come Roma

Santa e dissoluta, Roma ama e non perdona

Roma ti divora come un barracuda

Roma nuda, nuda, nuda”

(Piotta – 7 Vizi Capitale)

Urtimamente ar cinema, così come ‘e serie TV, pare c’abbiano er vizio de ambientà tutto nella scena malavitosa romana. È successo quinni che se sente sempre de più parlà romanesco, tanto che pare diventata ‘a cifra stilistica der cinema italiano. Penso a prodotti come Lo chiamavano Jeeg Robot, Non essere cattivo, Romanzo criminale e Suburra, er film, che è stato distribuito ‘n tutto er mondo da Netflix. Nun me fa strano quindi che la prima cosa che Netflix ha voluto produrre ner nostro Ber Paese è stata proprio Suburra, ripijando pure ‘na parte der cast originale der film. Ok, me so fatto prende ‘a mano da tutta ‘sta roba in romanesco, mejo che me ripijo pe’ raccontavve com’è ‘sta serie.

Così come Romanzo Criminale e Gomorra, Suburra prende spunto da fatti reali. Il film era diretto proprio da Sollima, già responsabile delle appena citate serie. Gli eventi raccontati sono ispirati a fatti recenti che conosciamo un po’ tutti, ovvero l’inchiesta su Mafia Capitale. Per chiunque non sa di cosa si parli, oltre a suggerirgli di seguire un po’ di più la vita politica del nostro paese, faccio un riassuntino breve breve: pochi anni fa è emerso come Carminati, ex Banda della Magliana e membro dei NAR (gruppo terrorista di estrema destra), negli Anni di Piombo tirasse le fila di Roma, manovrando nell’ombra tutti i poteri operanti nella città, con collegamenti e rapporti con politici, imprenditori e clero. La mafia esisteva anche a Roma, quindi, ed il Vaso di Pandora venne scoperchiato, investendo con un maxi processo diverse persone a più livelli di potere.

La serie TV parte da questi eventi per raccontare la sua storia, facendola ruotare tutta attorno a tre personaggi principali: Aureliano (Alessandro Borghi), membro della famiglia che “regna” su Ostia, Spadino (Giacomo Ferrara), facente parte di una potente famiglia sinti, e infine Gabriele (Edoardo Valdarnini), figlio di un poliziotto e spacciatore della Roma Bene un po’ per hobby. L’altro lato della medaglia è una corsa di Samurai, il burattinaio della città, che cerca in ogni modo di ottenere i terreni di Ostia per poterci costruire, in accordo con la Mafia, un porto commerciale per fare entrare droga. L’appalto deve chiaramente essere concesso dalla politica, alcuni terreni sono in mano al Vaticano e i restanti appartengono alla famiglia di Aureliano; viene quindi da sé che i fili da tirare per arrivare al risultato sono davvero molti, e allo stesso modo gli interessi in gioco sono numerosi e osteggiati dalle rivalità tra famiglie e tra i diversi poteri.

La vicenda criminale in senso stretto, le macchinazioni, rimangono un po’ sullo sfondo rispetto alla vicenda dei tre protagonisti, e questo è il principale problema di Suburra – La Serie. Tutto sembra sempre un po’ forzato, e a tratti poco credibile. Aureliano è rappresentato sicuramente come una figura problematica, incline alla violenza e in pessimi rapporti con il padre, ma in fondo in fondo di buon cuore, fondamentalmente perché si innamora (?). Spadino dovrebbe essere un po’ la linea comica, il personaggio sopra le righe, e funziona bene fino a qui, ma anche lui ha un problema con la sua famiglia, ovvero la sua omosessualità, di cui nessuno è a conoscenza tanto che all’inizio della serie il ragazzo sta per sposarsi.
Gabriele è il “figlio di una guardia”, e quindi già un personaggio particolare per l’ambiente criminale. A parte questo non è praticamente caratterizzato, nonostante il materiale per lavorare ci sarebbe anche stato. Si tratta del più debole dei tre, anche perché scritto maluccio, ma principalmente perché Valdarnini che lo interpreta recita davvero male, in maniera assai poco credibile, dando un senso di artefatto e finto al personaggio che non sarebbe stonato in una fiction à la Rai Uno. Gli altri due invece, nonostante tutta la serie sembri costruita con il preciso intento di fargli capitare di tutto e di più, in un susseguirsi di drammi anche esasperati, e nonostante siano tratteggiati in modo un po’ troppo forzato, rendono divinamente grazie alle magnifiche performance di Borghi e Ferrara, che riescono a bucare lo schermo in più di un’occasione, restituendoci personaggi a loro modo memorabili.

Il resto del cast è di minor peso, fatta eccezione per Samurai, figura quasi divina che tutto conosce, ubiquo, sempre vestito allo stesso modo, sempre in sella al suo scooter, senza sonno né paura, ed ottimamente interpretato da Francesco Acquaroli. La sensazione è che niente si muova a Roma senza la sua approvazione, o quantomeno senza che lui lo sappia. Questa presenza innaturale e sovrumana di Samurai è legata a doppio filo con la forte sensazione di claustrofobia che permea tutta la serie. I personaggi, tutti, si muovono in un gioco molto più grande di loro, di cui non possono modificare il risultato finale. Non cambierà perché tutto è già deciso da qualcuno di più grande, e questo qualcuno non concede margini di manovra: gli puoi essere amico, o ti puoi far sparare.

Così le pedine sono tutti quelli che si muovono dentro Roma, i nostri protagonisti e coprotagonisti, osservati sempre da un potere più in alto, e l’unica possibilità di scelta che hanno è quella di fottersi o meno a vicenda, di cercare – illudendosi – di arrivare in cima, rimbalzando contro un cielo che è una cupola, e quindi ricadendo al suolo.
L’oppressione dei protagonisti è quella che percepisce anche lo spettatore, ed è probabilmente il più grande merito della serie assieme all’ottima regia e fotografia. D’altra parte però a volte si è calcata troppo la mano: torniamo quindi al discorso di diverse righe fa, quello per il quale spesso sembra di trovarsi di fronte ad una giostra messa in piedi da un carnefice fin troppo sadico per far soffrire i personaggi. Ma il punto è che i personaggi di Suburra dovrebbero soffrire per i giochi di potere di un machiavellico principe, e non per il divertimento di un carnefice.

suburra la serie recensione

Verdetto:

Suburra è una serie piacevole, ma imperfetta: tecnicamente ineccepibile, forte di una regia eccezionale, una fotografia potente senza sfociare in eccessi, complessivamente ben recitata, e con picchi veramente alti. Riesce ad instillare nello spettatore una forte sensazione di claustrofobia e oppressione, dando perfettamente il senso di una macchina criminale che funziona come un orologio dentro al quale non si è ingranaggi, ma al massimo granelli di polvere che possono infastidirli. D’altro canto troviamo uno dei tre protagonisti veramente mal costruito e interpretato, con gli altri due non privi di qualche magagna per colpa di una caratterizzazione in alcuni frangenti troppo forzata e poco credibile, a tratti pretestuosa.
Il consiglio è comunque quello di vederla, perché ne vale la pena sicuramente. A volte alzerete il sopracciglio, ma ci si può passare sopra.

Luca Marinelli Brambilla
Nato a Roma nel 1989, dal 2018 riveste la carica di Direttore Editoriale di Stay Nerd. Laureato in Editoria e Scrittura dopo la triennale in Relazioni Internazionali, decide di preferire i videogiochi e gli anime alla politica. Da questa strana unione nasce il suo interesse per l'analisi di questo tipo di opere in una prospettiva storico-politica. Tra i suoi interessi principali, oltre a quelli già citati, si possono trovare i Gunpla, il tech, la musica progressive, gli orsi e le lontre. Forse gli orsi sono effettivamente il suo interesse principale.