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Avete visto tutti Bandersnatch, vero? Altrimenti non sareste qui. Nonostante i dialoghi sui massimi sistemi del libero arbitrio, infatti, la nostra libertà di scegliere i prodotti da fruire nel tempo libero è sempre più risicata, stretta dai legacci dell’hype del momento e dei trend topic.

Da bravo maestro della distopia, questo Charlie Brooker lo sa benissimo, e non è un caso che inserisca in questo primo esaltato (ma non esaltante) esperimento netflixiano di TV interattiva una discreta porzione di metanarazione.

Oltre il velo del weird, la distopia

Black Mirror è una serie che parla di distopie tecnologiche, che ha sviluppato una sua continuity fatta di easter egg e strumenti in continua evoluzione e di cui Bandersnatch potrebbe essere la puntata zero, quella ambientata nel passato di tutte le altre, anche se qui sembra che la distopia lasci il posto al weird, ad atmosfere che fondono Charles Manson e Philip K. Dick in un vero e proprio fiume citazionistico – dalle teorie del complotto a Alice nel paese delle meraviglie – che rende Bandersnatch la Ready Player One delle serie TV.

Possibile che Brooker sia andato fuori tema, come scrivevano i professori in calce ai nostri saggi brevi delle superiori? Davanti a questa domanda, come da prassi, abbiamo due scelte: possiamo decidere che è così, e considerare Bandersnatch mal riuscito, incompleto, una scopiazzatura di quei librigame che fino a un paio di anni fa nessuno sembrava ricordarsi e che sono improvvisamente ritornati, feticcio di pomeriggi alla Stranger Things ma senza demogorgoni e undicenni con i superpoteri ad allietare le nostre giornate. Oppure possiamo scegliere il no e considerare la distopia tecnologica presentata nella puntata in maniera meta: non è l’universo di Stefan, ad essere compromesso dagli strumenti a sua disposizione, ma il nostro, quello del 2018, quello di noi spettatori che, davanti allo schermo, influenziamo la vita degli attori con la punta del nostro polpastrello.

Bandersnatch

Parliamoci chiaro: dopo un paio d’ore passate a scegliere quali cereali far mangiare a quello sfigato di Stefan e come farlo morire male, il mio desiderio più profondo era solo quello di tornare a fruire di una bella storia, ben scritta, da spettatrice. Per di più, sentendomi troppo cattiva a infierire con le mie scelte su quel poveraccio, non me la sono sentita, per esempio, di fargli uccidere il padre, perdendomi (ho scoperto cercando le mappe su internet) una larga parte di narrazione.

A volte non esiste una strada giusta, né una sbagliata

Esperimento fallito, dunque? No, certo, perché come ogni primo esperimento merita di essere provato e ricordato, ma la domanda è: siamo sicuri di voler partecipare in prima persona a ciò che vediamo?

Eh, direte voi, cavalieri il cui destino è quello di difendere a pad del NES tratto i fasti di un’epoca ormai perduta: ma i librigame esistono da quando eravamo piccoli. Non solo, aggiungo io, ma il primo esempio di narrazione a bivi è nientepopodimenoche Esame dell’opera di Herbert Quain, romanzo del 1941 di Jorge Luis Borges con nove possibili finali, e anche John Fowles nel suo capolavoro post-moderno La donna del tenente francese si appropria di una tripartizione del finale, cosicché il lettore possa scegliere quello che più preferisce.

Certo, sempre di libri si parla, ma se vogliamo cercare esempi celebri di fruizione interattiva, non possiamo dimenticare che già nel 1953 Ray Bradbury si era spinto oltre, immaginando che gli spettatori della tv parete-parete di Fahrenheit 451 potessero intervenire nella narrazione recitando in presa diretta le loro battute, con gli attori in paziente attesa. L’idea di una tv non solo immersiva, ma avvolgente, che ricopra le quattro pareti di una stanza, che vada a sostituire la parola scritta, vi sembra abbastanza distopica?

Vedere un film, guardare il mondo

Ma in fondo avete ragione, perché la sostanziale differenza tra leggere e vedere è il punto in cui Bandersnatch, e il futuro delle serie tv interattive, va a perdere l’equilibrio, cadendo rovinosamente a terra. Siate onesti: quanti di voi riescono a guardare un intero film, un episodio di una serie, senza distrarsi, parlare con la persona vicino, sbirciare le notifiche sul cellulare, andare in bagno, mangiare qualcosa, aprire la porta al corriere, pulire la lettiera del gatto? Non è una colpa, sia chiaro, ma siamo una generazione che usa le serie in streaming come sottofondo, nello stesso modo in cui i nostri nonni accendevano la tv alle sette di mattina per spegnerla solo poche frazioni di secondi prima di addormentarsi. Questa fruizione sbarazzina e superficiale, unico modo per restare al passo con i trend del momento e poter rispondere senza imbarazzo “sì, ne ho visto qualche episodio” nei momenti di ricreazione sociale, è ciò che di più lontano possa esistere dalla concentrazione necessaria per leggere un libro, o videogiocare.

Bandersnatch

Se nel caso di Detroit: Become Human tu, giocatore, sei Kara, Markus, e Connor, se leggendo (che sia o meno un librogame) tutta la tua materia grigia è impegnata a seguire le vicende sul foglio (e, no, non puoi leggere e controllare le notifiche su Instagram contemporaneamente, a meno che tu non sia un camaleonte), quando ci mettiamo davanti a uno schermo, siamo pur sempre dei fruitori passivi, a cui può venir donata la facoltà di scegliere la soundtrack della scena successiva, o di versare del dannatissimo tè sul computer, ma pur sempre degli spettatori di ciò che accade sullo schermo.

Ma se questo è il limite di Bandersnatch, Black Mirror si presenta invece al massimo della sua forma; azzoppato da una sceneggiatura che deve tener conto di troppe variabili e che finisce per annoiare velocemente, è vero, ma sempre in grado di mostrare il nero più nero degli schermi rotti della nostra società, in cui tutto viene trasformato in intrattenimento, in cui scegliere se bruciare o fare a pezzi un corpo è questione di una manciata di secondi che ti lascia complice di un occultamento di cadavere che non comparirà mai nella tua fedina penale, ma che viene registrato negli archivi dati di Netflix, che potrebbe vendere a chiunque, in qualsiasi momento, le tue preferenze riguardo alla gestione dello stress e delle malattie mentali (per non parlare di ciò che preferisci mangiare a colazione).
Perché la distopia è intorno a noi, ma come l’acqua per i pesci di David Foster Wallace, non riusciamo ad accorgercene.

Angela Bernardoni
Toscana emigrata a Torino, impara l'uso della locuzione "solo più" e si diploma in storytelling, realizzando il suo antico sogno di diventare una freelancer come il pifferaio di Hamelin. Si trova a suo agio ovunque ci sia qualcosa da leggere o da scrivere, o un cane da accarezzare. Amante dei dinosauri, divoratrice di mondi immaginari, resta in attesa dello sbarco su Marte, anche se ha paura di volare. Al momento vive a Parma, dove si lamenta del prosciutto troppo dolce e del pane troppo salato.