A volte la fortuna non è abbastanza.

Il sommo Dio dei Platform quest’anno è stato molto generoso: dopo averci portato in dono un ritorno al passato eccelso come Yooka-Laylee, titolo sviluppato da ex-dipendenti della Rare che fu, ci ha permesso di mettere le mani su un Super Mario Odyssey che ha smazzato lezioni di level design e originalità. Tuttavia i problemi di Super Lucky’s Tale non riguardano solo una concorrenza particolarmente agguerrita, ma anche dei difetti che infrangono le regole base del genere, restituendo un’esperienza monca che comunque avrebbe potuto dire la sua.

Il canovaccio su cui si sviluppa la trama del gioco vede il nostro Lucky, placido e tranquillo, assistere ad un atterraggio d’emergenza della sorella Lyra, di ritorno da un’avventura che le ha permesso di trovare il Libro delle Ere. Questo manufatto prezioso offre la possibilità di viaggiare nel tempo e di riscrivere il passato, un potere che potrebbe attirare molti cattivi tra cui Jinx, perfido felino che insieme ai suoi figli, citiamo testualmente “una famiglia disfunzionale di coccolosi criminali noti come la Cucciolata”, cercano di impossessarsi del libro. A questo punto è Lucky a tirare fuori il coraggio necessario, salvando la sorella e finendo risucchiato nel libro: l’unico modo per uscire sarà sconfiggere Jinx e riportare l’ordine naturale delle cose.

Super Lucky’s Tale si articola in quattro mondi, al cui interno troveremo dei piccoli hub che conterrà i vari livelli, nonché alcuni bonus che si sbloccheranno man mano che raccoglieremo i quadrifogli, i collezionabili che permetteranno alla nostra volpe di avanzare nel gioco. La linearità è una caratteristica del gioco che, tuttavia, viene mitigata da un level design di buona fattura e che mescola le carte proponendo sia livelli tridimensionali che bidimensionali, oltre a minigiochi interessanti come dei rompicapi, labirinti da affrontare all’interno di una biglia non dissimili da quelli che popolano ogni spiaggia italiana con il pannello mobile o livelli da affrontare in corsa continua dove cercheremo di evitare più ostacoli possibile. Oltre a ciò, ogni livello permette di ottenere quattro quadrifogli ottenibili non solo finendo il livello, ma anche raccogliendo 300 monete, prendere le lettere sparse che formeranno il nome Lucky e completando una prova speciale spesso nascosta. Un mix che sulla carta non annoia e che all’atto pratico mostra barlumi di ingegno, portando però il team di sviluppo a sottovalutare aspetti di vitale importanza come una telecamera degna di tale nome e, di conseguenza, dei controlli imprecisi e tediosi. Non avremo infatti la possibilità di orientare la telecamera a nostro piacimento, bensì potremo solo muoverla di una trentina di gradi a destra o a sinistra: un’idea francamente cretina che poteva avere il suo senso nel contesto VR in cui Lucky è nato, dettato per evitare nausee varie ed offrire al giocatore un sistema intuitivo.

Qui però le cose non funzionano e buona parte degli errori che commetteremo saranno proprio deputati a questa scelta più che discutibile, il che in un platform che offre una sfida medio-bassa lascia parecchio amaro in bocca. A peggiorare le cose c’è poi un sistema di controllo che non permette di essere adeguatamente precisi, tra salti che non andranno a buon fine per colpa della già citata telecamera monca e nemici che ci colpiranno semplicemente perché verranno missati con una facilità enorme, specie se volanti. Alla lista degli aspetti negativi si aggiunge poi una delle caratteristiche di Lucky, ovvero la possibilità di scavare nel terreno in stile Bugs Bunny, con un’animazione spesso troppo rapida ed un’emersione paragonabile ad un salto che metterà a dura prova i nostri riflessi e la nostra pazienza soprattutto in alcuni livelli specifici. Chiude il cerchio una buona dose di problemi nelle collisioni e bug che vanno dalla sparizione dell’audio di gioco a livelli nei quali non è possibile proseguire, oltre alla netta impressione che alcuni livelli non abbiano il giusto ammontare di monete utili all’ottenimento del quadrifoglio dedicato, cosa che ci costringerà a rigiocare dei livelli dove avremo già ottenuto collezionabili come le lettere per ottenere la valuta mancante. Un disastro al quale si potrà porre rimedio con qualche patch ma che ha reso la nostra prova una sfida intensa per la nostra pazienza, sfida che comunque è durata una decina di ore e che ci ha visti trionfare e, al tempo stesso, completare tutti gli obiettivi Xbox del gioco, rendendo Super Lucky’s Tale un titolo apprezzabile quanto meno per gli achievements hunters.

Proseguiamo il discorso sul frangente tecnico che, rispetto al gameplay, ha qualcosa di più da dire: Lucky sicuramente non è la mascotte più interessante degli ultimi anni, tuttavia il design generale del gioco è decisamente gradevole. I livelli di gioco sono ben strutturati e sfruttano a dovere una palette colorata e brillante con NPC ben caratterizzati e simpatici, regalando un buon spettacolo visivo che tuttavia non si avvale del 4K di Xbox One S (console su cui abbiamo provato il gioco) e non riesce nemmeno a mantenere 60 fps stabili, mostrando incertezze soprattutto nelle fasi iniziali di ogni livello. Una cosa che non ci spieghiamo visto che il gioco non sembra mostrare un livello tecnico elevatissimo tale da giustificare questi problemi, i quali sembrano non essere presenti su Xbox One X, ma crediamo che un lavoro di ottimizzazione più accurato avrebbe permesso al gioco di girare degnamente su entrambi i sistemi.

Le musiche che accompagnano il gioco sono tutte volte a restituire quel mood sbarazzino e infantile che permea il gioco, carine al punto giusto e di stampo Rare, anche se manca il quid che le renda davvero apprezzabili fino in fondo.

Verdetto

Super Lucky’s Tale aveva tutte le carte in regola per essere un platform di buona fattura, ma gli errori compiuti dal team di sviluppo sono tanto stupidi quanto evitabili. Un’occasione sprecata da Microsoft che avrebbe potuto giocarsi un titolo molto più interessante, se solo avesse ricevuto della cura in più.

Francesco Paternesi
Pur essendo del 1988, Francesco non ha ricordi della sua vita prima del ’94, anno in cui gli regalarono un NES: da quel giorno i videogiochi sono stati quasi la sua linfa vitale e, crescendo con loro, li vede come il fratello maggiore che non ha mai avuto. Quando non gioca suona il basso elettrico oppure sbraita nel traffico di Roma. Occasionalmente svolge anche quello che le persone a lui non affini chiamano “un lavoro vero”.