Alle porte del decimo anniversario di Sword Art Online

Nell’aprile di ben 10 anni fa, il mangaka Reki Kawahara realizzò la prima light novel di quello che sarebbe stato uno dei manga – e successivamente anime – più discussi degli ultimi anni: Sword Art Online.

Parliamo di un un franchise che, piaccia o non piaccia, ha alle spalle ben due serie animate complete, una terza in pieno svolgimento, cinque titoli videoludici (senza contare quelli usciti per dispositivi mobile) e una serie live action in lavorazione acquistata a Febbraio del 2018 da Netflix e sembra dunque destinato a durare ancora per anni.

Eppure, come abbiamo detto, è ancora oggi un prodotto discusso, tanto che sono in molti a non conoscerlo se non per sentito dire. Vediamo insieme di gettare qualche base allora, prima di scoprire se il mondo degli MMORPG, un punto cardine di Sword Art Online, è rappresentato in maniera fedele da Kawahara oppure no.

Sword Art Online: tra mondi virtuali e morti reali

La storia di Sword Art Online – noto anche con l’acronimo SAO – si svolge nel 2022 e ruota attorno alla figura di un giovane adolescente, Kazuto Kirigaya, appassionato di videogiochi e, soprattutto, di MMORPG – dei giochi di ruolo online nei quali ogni giocatore crea il proprio personaggio e lo porta avanti in un mondo condiviso con altri giocatori. Nel mondo di SAO l’avanguardia videoludica è stata raggiunta grazie alla realtà virtuale e al NerveGear, un casco che riesce a interfacciarsi con il cervello del giocatore, che riesce a comandare il proprio personaggio utilizzando solo la forza della propria mente.

Molto “figo” a guardarlo dall’esterno, ma estremamente terrificante se osservato con attenzione… soprattutto se ci si ritrova a vivere ciò che ha vissuto il nostro Kazuto, meglio noto nel mondo di SAO come Kirito lo Spadaccino Nero (fun fact: in inglese il soprannome è stato tradotto in “ The Black Swordsman”, traduzione che ha generato ondate di odio nei confronti di SAO da parte di tutti i fan di Berserk il cui protagonista, Gatsu, viene chiamato anch’egli “Black Swordsman” e il paragone è considerato da molti quasi offensivo; fortunatamente in Italia abbiamo “Spadaccino Nero” vs “Guerriero Nero” quindi possiamo rimettere a posto torce e forconi… forse).

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Tornando a noi, abbiamo dunque un giovane adolescente appassionato di videogiochi, che il 6 Novembre del 2022 inforca il proprio NerveGear per buttarsi nel mondo virtuale di Sword Art Online, ultimo VRMMORPG uscito sul mercato, che si prepara ad accogliere a braccia aperte centinaia di migliaia di giocatori sparsi in tutto il mondo. Tutto molto bello ed entusiasmante, almeno finché, dopo qualche ora, i primi giocatori non provano a uscire dal gioco e scoprono che quel gran burlone dello sviluppatore di Sword Art Online, il folle Akihiko Kayaba, si è “accidentalmente scordato” di inserire il tasto logout condannandoli a restare intrappolati nel gioco a vita, a meno che non riescano a superare tutti i 100 piani e raggiungere la cima del Castello di Aincrad, dove troveranno il Boss finale del gioco che dovranno sconfiggere per poter esser liberi di tornare alle proprie vite.

Una bella esperienza insomma, considerando anche che il corpo tende a deperire se non viene nutrito e di conseguenza tutti i giocatori, intrappolati nella realtà virtuale, vengono ricoverati in massa ed alimentati artificialmente. E non è la parte peggiore della storia: come insegna Matrix, infatti, il corpo non sopravvive senza mente, ergo chi muore in SAO non esce semplicemente dal gioco, ma muore anche nella vita reale. Terrificante, si.

In questo contesto tutt’altro che idilliaco, il nostro Kirito si rimbocca le maniche e parte da solo contro il mondo di Sword Art Online, convinto di poterne superare tutte le avversità grazie alle proprie abilità e al fatto di essere un beater termine che di per sé non esiste e che è composto dall’unione delle due parole beta tester e cheater – in sintesi un giocatore che ha avuto modo di provare il gioco in versione beta, quindi conosce già parte dei contenuti e ha più familiarità con l’ambiente e le meccaniche del titolo, e inoltre utilizza trucchi per ottenere un vantaggio negli scontri.

Ovviamente le cose non andranno come immagina il nostro giovane protagonista, che lungo il suo viaggio farà nuove amicizie, troverà l’amore e arriverà addirittura a farsi una famiglia, provando al tempo stesso sensazioni meno liete nate dal dolore, dalla perdita di una persona cara o dalla morte stessa, una presenza quasi sempre presente nel mondo di SAO, come facilmente immaginabile da tutti coloro che hanno avuto modo anche solo di provare un videogame o un MMORPG.

Sword Art Online rappresenta il mondo degli MMORPG?

Sin dalla prima light novel pubblicata, e ancor più dai primi episodi dell’anime, molti lettori e spettatori di Sword Art Online si sono posti un quesito: l’opera di Kawahara è in grado di fornire una rappresentazione quanto più fedele possibile del mondo degli MMORPG? Premesso che una risposta unica e universale è sempre difficile, se non impossibile, da dare, personalmente oserei dire di si.

A ogni videogiocatore, soprattutto a coloro che hanno provato o giocano regolarmente agli MMORPG, il mondo di SAO risulterà familiare sin dalle prime battute. Vedere ad esempio tutti i partecipanti riuniti nell’area social per iniziare insieme la propria avventura; passeggiare per il mercato incontrando NPC – Non-Player Character ossia personaggi non giocanti e controllati dall’IA di gioco – e altri giocatori; allenarsi per i primi livelli combattendo contro mostri terrificanti e pelosi… noti ai più come semplici cinghiali, sono situazioni ben note a tutti i giocatori e Sword Art Online riesce a rappresentarle molto bene, aggiungendo anche quel tocco in più dato dall’elemento VR, che raggiunge il suo culmine quando l’inganno di Kayaba viene alla luce e tutti i personaggi assumono le sembianze dei rispettivi giocatori.

È in quel momento che crolla il concetto di “gioco” e SAO inizia ad apparire ben più di un semplice mondo virtuale. La maschera della finzione scompare e i giocatori si ritrovano ad affrontare pericoli ben superiori alle loro abilità, con il rischio di perdere la vita da un momento all’altro. Tutti i videogiocatori conoscono la morte, il game over che un tempo ci costava un gettone nelle sale giochi e oggi come oggi ci costa pezzetti d’anima grazie a titoli come il recente Sekiro. E tutti i frequentatori di MMO sanno quanto possa essere semplice, anche a livelli alti, incontrare la propria fine nelle profondità di un dungeon o in uno scontro in PvP. Per i meno affini a questo mondo, vi basti pensare che vi sono serate nelle quale vengono organizzati dei raid ossia esplorazioni di dungeon di alto livello, che possono coinvolgere anche 15-20 persone (se non di più) e portano in posti dove la morte può sopraggiungere anche per l’errore più banale.

Emblematico in questo contesto fu l’episodio, ormai entrato nella storia di World of Warcraft e non solo, che vide protagonista il giocatore noto come Leeroy Jenkins, un nome che nel nostro mondo provoca, giustamente, grasse risate, mentre se si fosse trattato del mondo di Sword Art Online sarebbe stato collegato a un omicidio-suicidio di massa. Una tragedia fondamentalmente visto che il prode Leeroy non ascoltò minimamente il piano stabilito dagli altri giocatori e si lanciò come un toro in carica contro un mucchio di mostri di un dungeon, finendo per provocare la morte di sé stesso e di tutti quelli che erano lì, entrando al tempo stesso nella storia del mondo videoludico (per i più curiosi qui potete trovare il video in questione).

Come detto, in Sword Art Online, un episodio del genere sarebbe stato tutt’altro che simpatico da ricordare e difatti, concetti come la perdita di qualcuno che ci è caro, un amico o il proprio compagno/a di vita, vengono toccati in più di un’occasione nell’opera di Kawahara, soprattutto nel primo arco narrativo.

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Una volta stabilito che la morte in SAO non solo è definitiva ma per giunta colpisce anche il corpo reale, ecco che tutte le meccaniche che caratterizzano un videogioco e un MMORPG assumono una piega completamente diversa. Prendiamo il PvP per esempio, Player vs Player, una modalità nella quale i giocatori si scontrano con altri giocatori fino alla morte, in Sword Art Online è tendenzialmente vietato eppure c’è chi decise scientemente di cimentarsi ugualmente in questa attività, forte del fatto che non vi erano prove tangibili relative alla morte del corpo reale. Terrificante? Beh dipende, alla fin fine stiamo parlando di criminali, esattamente come coloro che delinquono nel mondo reale ed ecco che SAO lo rispecchia ancora una volta. Kawahara è stato in grado non solo di rappresentare in maniera piuttosto fedele il mondo degli MMORPG, ma anche quello in cui viviamo tutti quotidianamente, nel quale la morte è un pericolo concreto e reale, nel quale si stringono amicizie, si incontrano persone nuove, si può incappare in delinquenti ecc.

Ciò che lo rende unico nel suo genere e lo fa distaccare un po’ da ciò che affrontiamo ogni giorno, sono ovviamente gli elementi tipicamente videoludici come i mostri che popolano il mondo al posto degli animali, le statistiche e il livello del proprio personaggio (o meglio di sé stessi) da tenere sempre sott’occhio, la propria barra della vita, il proprio inventario, il proprio equipaggiamento e via dicendo. SAO strizza l’occhio al mondo degli MMORPG in tantissime occasioni eppure, al tempo stesso, si ha la netta sensazione di non essersi allontanati molto dal mondo reale. E forse, l’intento iniziale di Kawahara era proprio questo: creare un piccolo mondo fittizio nel quale far convergere sia quello reale che quello videoludico degli MMO, dando vita a un prodotto che sapesse catturare l’interesse non solo dei divoratori di manga e anime, ma anche dei videogiocatori.

Se sia riuscito o meno nel suo intento solo il pubblico può dirlo. Dal canto mio posso dire di si, non sarà certo l’anime o il manga perfetto sotto ogni punto di vista, ma di certo è qualcosa di unico nel suo genere e in un mondo fatto di storie e copioni che tendono ad assomigliarsi sempre più gli uni con gli altri, non può che essere una piacevole ventata di aria fresca.

Federico Barcella
Romano di nascita, nerd per passione, amante di Final Fantasy, di Batman e dei Cavalieri dello Zodiaco. Parla poco ma ascolta e osserva molto, sente un’affinità smodata con i lupi e spera di rincarnarsi in uno di loro. Cede spesso alle tentazioni della rabbia con picchi che creano terremoti in Cina per l’Effetto Farfalla e odia la piega che sta prendendo l’Universo-Videoludico negli ultimi anni.