Timore No Tenet

Ripartiamo da dove ci eravamo lasciati. Dalla musica assordante e incantevolmente invasiva à la Dunkirk, sebbene non più affidata alla maestria di Hans Zimmer, ma al nuovo innesto Ludwig Göransson, premio Oscar per Black Panther, fino a un attentato in stile Dark Knight Rises, passando per il sonno che ci ricorda Inception. In circa sessanta secondi abbiamo dinanzi a noi una buona fetta del cinema nolaniano, tanto per farci sentire a casa.
Christopher Nolan ci accarezza, dunque, prima di stordirci con una visione tanto ammaliante quanto incredibilmente complessa. Ma noi l’anima al diavolo londinese gliela vendiamo più che volentieri.

Riavvolgiamo un attimo il nastro

Quanto ci ha fatto sudare, Tenet. Già prima dell’estate, dall’inizio della Fase 2 del Covid-19, tra date d’uscita confermate, smentite, rinviate e chi più ne ha più ne metta, il calvario dell’ultima fatica di Nolan ha tenuto in apprensione fan e cinefili in attesa di capire quando avrebbero potuto vedere uno dei film più attesi dell’anno.

Finalmente il fatidico giorno è arrivato, ma farsi trovare pronti all’appuntamento con una pellicola di Christopher Nolan non è mai semplice, perché il regista inglese alza ormai sempre di più l’asticella, cercando di trasformare l’autorialità dei suoi film in una forma artistica affascinante ma obiettivamente sempre più complessa, che non tutti riescono a decifrare. O meglio, nessuno riesce a farlo in maniera completa ad una prima visione.

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Non era possibile con Inception; scordatevi che sia minimamente così con Tenet. Se pensate di aver compreso nel dettaglio ogni piccolo passaggio del film con Cobb protagonista (il Dom Cobb di DiCaprio, non il Cobb di Following. Stupiti, vero?) allora o siete troppo ingenui oppure non lo avete capito affatto. E se tuttavia Inception, al netto dei significati nascosti, delle sottotrame, di quei continui giochi con le architetture dei singoli personaggi con cui Nolan si è divertito a confonderci, può essere visto – tutto sommato – da qualsiasi tipologia di spettatore e assaporato come intrattenimento, con Tenet questo non è possibile. Diffidate da chi apostrofa Nolan come un cineasta da mero entertainment, perché non esiste una definizione più sbagliata di questa. Con Dunkirk ha fatto un importante salto di qualità, prendendo una deriva folle (ops, audace), unendo le alterazioni temporali e annichilendo di fatto lo spazio-tempo, ma con Tenet fa un ulteriore balzo in avanti (se dopo Tenet ha ancora senso parlare di avanti o indietro nel tempo).

Il più volte citato su queste pagine Massimo Zanichelli ci ricorda che l’alterazione del tempo lineare è lo strumento chiave per la comprensione del cinema di Nolan, avvicinandola all’incombenza della morte. Avevamo altresì fatto notare che questa avviene in una modalità che varia di film in film e di ciò che il regista vuole comunicarci, passando dall’alterazione reversibile di Memento e Following a quella disallineata di The Prestige, finendo con quella circolare di Inception. Dunkirk finora ha rappresentato una sorta di atto inclusivo di questa tendenza, un mettere la clessidra di traverso. Fino a Tenet.
Ora la clessidra viene posta sottosopra, e Nolan esplora l’inversione temporale. Non mi permetterò, sia per mancanza di tempo che soprattutto di specifiche competenze, di parlarvi di scienza, della
teoria dell’azione a distanza di Wheeler e Feynman. Dovrete provare a capirlo da soli una volta in sala, come abbiamo fatto noi giornalisti, sperando che, nonostante il pericoloso precedente di Interstellar, anche i colleghi si limitino a parlare di cinema anziché avventurarsi in critiche fuori dalla loro portata, per un’opera per la quale tra l’altro Nolan si era avvalso dell’esperto di relatività generale Kip Thorne.

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Bisogna quindi provare a concentrarsi sul film Tenet.
Come avrete ormai intuito, la trama – per chi ama perdersi nel cubo di Rubik di Tenet – a questo punto viene meno, ma c’è, per quanto ovviamente complessa e difficile da descrivere.

Il gazzilionario russo Andrei Sator (Kenneth Branagh) ha accesso a un’arma nucleare che potrebbe annientare il pianeta e vuole usarla. A tentare di evitare tutto questo ci pensa il Protagonista senza nome (John David Washington), agente perfettamente addestrato, il quale fa squadra con Neil (Robert Pattinson).
La salvezza del mondo passa attraverso una sola parola:
Tenet, e i due agenti speciali dovranno manipolare il tempo, alterarne il flusso.
Ma il Protagonista, oltre al mondo intero, deve anche salvare anche la moglie di Sator (e suo figlio), ovvero l’autenticatrice di opere d’arte inglese Kat (Elizabeth Debicki), dalla furia del marito. Concetti ancora una volta chiave della poetica nolaniana, che utilizza come sempre l’alterazione temporale per proteggere i protagonisti dal dolore della perdita, e in Tenet questo lo vedremo più volte (senza far spoiler, lo scoprirete da voi).

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Sentire e vedere Tenet

“Non cercare di capirlo. Sentilo”. Così al Protagonista viene spiegato il concetto di inversione temporale attraverso l’utilizzo di un proiettile rovesciato. Allo stesso modo questo è ciò che Nolan sembra voler dire ai suoi spettatori, invitandoli alla visione di Tenet vivendolo e percependolo sulla propria pelle, più che cercare di comprenderlo. Perché tanto, come sempre e stavolta più che mai, non riuscireste a farlo completamente alla prima visione.
Dialoghi flebili e contorti sono scientemente coperti dal sonoro magnifico e invadente di Ludwig Göransson, che quasi distoglie la nostra attenzione dai tanti intrecci che portano poi alla risoluzione della vicenda.

Dicevamo dell’importanza delle architetture di Inception. Ebbene, Tenet non vuole essere da meno e per svelare trame e sottotrame Nolan utilizza la scenografia, e quello che per gli altri è un elemento accessorio qui diventa ancora una volta fondamentale per capirne il significato, per gli spettatori quanto per i protagonisti stessi. In un mondo in cui esiste l’inversione temporale, il foro di un proiettile o una macchina ribaltata possono svelare moltissimo, e non è un caso allora che Nolan voglia al suo fianco il solito irreprensibile Nathan Crowley.
E poi ci sono tutti gli effetti visivi, pazzeschi, che fanno di questo film un’esperienza immersiva totalizzante, mentre rimbalziamo senza nemmeno accorgercene da Tallinn, a Mumbai, a Londra, a Oslo e alla costiera amalfitana, grazie anche al montaggio eccezionale di Jennifer Lame.

Un giro infinito di location per un film multigenere che i più potranno definire
spy movie, ma che in fondo lo è meno di quanto Dunkirk sia esclusivamente un film di guerra.


Se comunque il cast tecnico funziona a menadito, parole d’elogio vanno spese anche per quello artistico.
La
coppia Washington-Pattison dimostra un’alchimia incredibile, avvicinandosi (o forse superando?) all’intesa del duo DiCaprio-Gordon-Levitt. Scaltrezza, determinazione, carisma, fascino, forza, audacia: i due si dividono equamente le principali caratteristiche del protagonista perfetto. Le qualità negative invece risiedono tutte nel villain per eccellenza, per il quale Nolan si affida all’impeccabile Kenneth Branagh, che mette in scena uno dei migliori cattivi del suo cinema.
Poi, come di consuetudine una piccola parte viene riservata a Michael Caine, e ci scioglie il cuore.

Se il cast è importante, lo sono ancor di più i nomi dei protagonisti, come sempre – anche qui – nei lavori del regista britannico. Vi abbiamo già fatto già fatto notare (poche righe fa, ma soprattutto in un vecchio speciale) l’utilizzo del nome Cobb, ladro in Following e ladro di idee in Inception, o come in quest’ultimo i nomi Dom, Robert, Eams, Arianna (o Arthur), Mall, Saito diano vita alla parola Dreams. Qui nella sua palindromica ultima fatica ci troviamo direttamente a che fare con il Quadrato del Sator, la ricorrente iscrizione latina, in forma di quadrato magico, composta dalle parole SATOR, AREPO, TENET, OPERA, ROTAS, che danno appunto vita ad un palindromo. Tenet è la parola centrale, ma anche tutte le altre compaiono all’interno del film, e in cui non a caso Sator è il villain dell’opera e il protagonista non ha un nome.

Come sempre quando c’è di mezzo Nolan potremmo star qui a parlarne per ore, si potrebbe proseguire ancora dissertando sull’importanza della paura, ancora una volta elemento nevralgico di un suo film, ma scegliamo di fermarci qui, farvi metabolizzare ciò che avete letto ma soprattutto ciò che vi apprestate a vedere. E lo faremo anche noi, prima di lanciarci presto in una nuova visione di Tenet (al cinema dal 26 agosto). La seconda di tante, perché per comprendere a fondo le numerose sfumature del cinema di Christopher Nolan serve tempo e tanta passione.

Tiziano Costantini
Nato e cresciuto a Roma, sono il Vice Direttore di Stay Nerd, di cui faccio parte quasi dalla sua fondazione. Sono giornalista pubblicista dal 2009 e mi sono laureato in Lettere moderne nel 2011, resistendo alla tentazione di fare come Brad Pitt e abbandonare tutto a pochi esami dalla fine, per andare a fare l'uomo-sandwich a Los Angeles. È anche il motivo per cui non ho avuto la sua stessa carriera. Ho iniziato a fare della passione per la scrittura una professione già dai tempi dell'Università, passando da riviste online, a lavorare per redazioni ministeriali, fino a qui: Stay Nerd. Da poco tempo mi occupo anche della comunicazione di un Dipartimento ASL. Oltre al cinema e a Scarlett Johansson, amo il calcio, l'Inghilterra, la musica britpop, Christopher Nolan, la malinconia dei film coreani (ma pure la malinconia e basta), i Castelli Romani, Francesco Totti, la pizza e soprattutto la carbonara. I miei film preferiti sono: C'era una volta in America, La dolce vita, Inception, Dunkirk, The Prestige, Time di Kim Ki-Duk, Fight Club, Papillon (quello vero), Arancia Meccanica, Coffee and cigarettes, e adesso smetto sennò non mi fermo più. Nel tempo libero sono il sosia ufficiale di Ryan Gosling, grazie ad una somiglianza che continuano inspiegabilmente a vedere tutti tranne mia madre e le mie ex ragazze. Per fortuna mia moglie sì, ma credo soltanto perché voglia assecondare la mia pazzia.