Tra i diversi autori che hanno presenziato al Teramo Comix 2017, nella cornice del Campus universitario cittadino, figura Sergio Cabella, importante fumettista italiano che ha collaborato con molte realtà di rilievo come Disney o con la Raimbow di Iginio Straffi per le Winx e per Huntik, poi ancora per la Piemme per la famigerata saga di Geronimo Stilton, e molto altro ancora.
Sergio Cabella, con grande disponibilità, ha risposto cordialmente a tutte le nostre domande.

teramo comix intervista cabella

Partiamo dalle tue origini: c’è stato un evento particolare che ti ha spinto a diventare fumettista o era un’ambizione che hai coltivato segretamente prima di concretizzarla?

No, un evento particolare non c’è stato. Però io sono del ’65 e, come tutti i ragazzini della mia generazione, leggevo un sacco di fumetti Disney e mi divertivo a ricopiarli, a ridisegnarli, anche se non avrei ma immaginato di finire a fare questo mestiere e soprattutto a lavorare per la Disney. Completati gli studi, la passione per i fumetti è ritornata, così mi sono dato un tempo limite di sei mesi in cui mi sono detto: “proviamo.” Mi ci sono messo d’impegno ed è andata bene. Ma l’aggancio è stato occasionale. Lessi un’intervista a Giovan Battista Carpi su un giornale locale ligure, dove parlava della sua storia, del fumetto e annunciava che in quell’autunno – era il ’93 – sarebbero cominciati i corsi ufficiali dell’accademia Disney. Gli insegnanti erano dei professionisti del settore che, al termine, potevano decidere di prenderti a lavorare con loro. Io tentai, almeno per non avere il rimpianto, e grazie al quel giornale finalmente riuscii a trovare la giusta spinta. Contattai la sede Disney a Milano, che allora era in un piccolo appartamento di una traversa vicino al Duomo, mandai alcune tavole di prova e ad ottobre mi presero in Accademia.

Ed hai lavorato vent’anni tra paperi e topi…

Sì, infatti, anche se ho realizzato pure altro, tipo i lavori per la Piemme, sempre nell’ambito dell’umoristico…

Anche i lavori per le Winx e la Ferrero.

Giusto, per le sorprese Kinder, cosa che tra l’altro è stata molto divertente perché mi sono dovuto sforzare per trovare l’idea del giochino. Mi è piaciuto da matti. Poi mi ricordo che quando mia figlia era piccola abbiamo aperto un uovo grande, di Pasqua. E “Crack!”, c’era dentro un mio giochino. Quindi, qualcosina di buono ho fatto…
Anche perché di solito tu vieni pagato, realizzi i progetti e li consegni, porti avanti un certo livello di lavorazione e poi non sai più che destino hanno. Fanno due o tre selezioni, vedono la possibilità di realizzarlo con la plastica e i vari materiali e quando scelgono fanno provare il prodotto ad un gruppo di bambini; pertanto è un processo estremamente complesso e non sai mai se il tuo lavoro arriverà a destinazione. Non te lo dicono. Dunque, quando ho visto il mio gioco, è stata una sorpresa anche per me.

Tornando dalle parti di Topolinia e Paperopoli, qual è il tuo personaggio Disney preferito?

Zio Paperone e Paperino. In particolare mi piacciono molto Paperino Paperotto e le sue avventure. Ho scritto anche cinque o sei sceneggiature e diciamo che faccio parte del “team papero”. Poi ho realizzato anche un X-Mickey, due o tre cose su Minni, non moltissime sui topi ma non mi piacciono particolarmente. È una propensione, i paperi mi divertono di più.

A proposito di storie e di sceneggiature: ti piace più scrivere o disegnare?

Scrivere. Assolutamente. Adoro scrivere. Magari per un disegnatore è un po’ insolito, però forse non sono neanche quello. Diciamo che mi definisco un autore completo, anche se di storie ne ho disegnate tantissime, più di un centinaio ed infatti neanche ricordo il numero esatto. A volte avevo la media di dieci storie l’anno da poche pagine, altre volte avevo delle pause di mesi. Ormai devo dire che non me le ricordo più tutte. Ogni tanto me ne capita tra le mani una di cui non avevo proprio memoria, la vedo e dico: “Ah, ma questa l’avevo disegnata io!”.

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Restando in tema disegni, quali sono i maestri che ti hanno influenzato di più?

Forse Carpi, anche se alla fine il mio stile è diverso. Mi piace molto Cavazzano, l’ho studiato ma non ho un tratto che somiglia al suo, sebbene molti cerchino di avvicinarsi a lui e alla sua matita. Direi più Carpi, perché l’ho conosciuto e per me era un mito. Averlo lì davanti che mi bastonava per me era emozionante. Poi lui mi ha disegnato sopra, ho conservato dei lavori suoi. Aveva già un’eta avanzata quindi con la mano realizzava poco, ma Scarpa e Carpi sono il top. Però non solo: come ho detto, adoro Cavazzano, adoro Freccero, adoro Celoni. Adoro tutti i miei colleghi. Ecco, ho fatto una bella dichiarazione d’amore a tutti.

Penso sia giusto; mi pare un corretto omaggio al loro lavoro.
Parlando d’altro, hai mai pensato di cambiare completamente ambito, tentare altri generi, tipo il fumetto supereroistico?

No, il fumetto supereroistico lo leggo però non è tanto nelle mie corde. Adesso esce per un editore romano piccolo ma molto attivo, Astro Editore, un mio libro a fumetti, che si chiama Dea Bianca. Volevo portarlo, ma ci sono stati alcuni problemi di stampa. Lo presenterò, credo, a Casale Monferrato, poi forse a Candelo, e a Lucca. Si tratta di una storia di carattere più realistico, alla mia maniera, anche se non ci avevamo mai provato prima. Non è del tutto canonica e visto che me la sono scritta e disegnata l’ho fatta un po’ come volevo.

Diciamo che è verosimile…

Sì, dai, sempre realistico, però si rifà un po’ all’esoterismo, ai culti della Dea Madre, quindi una roba leggermente insolita, dove dei maghi agiscono. Esoterismo con la E maiuscola, quindi l’ho usato come materiale di fondo per costruirci sopra una storia.

Sembra intrigante e per partorire un’idea del genere di sicuro ci vuole molta esperienza. A questo proposito, quali consigli daresti a degli esordienti che come te vogliono percorrere la tua stessa strada ed entrare nel mondo Disney?

Senza dubbio frequentare una buona scuola di fumetto. Ad esempio, io insegno alla Scuola Internazionale di Comics, alla sede di Torino. Bisogna imparare le tecniche base, al di là dei generi. Spaccarsi la schiena, faticare. Come tutte le cose, se non ti ci metti seriamente giorno e notte è inutile tentare. Poi, soprattutto, non demordere. Provare magari a contattare qualche autore Disney che abbia pazienza e voglia di seguirti. Se gli fai vedere la tua passione, difficilmente ti dirà di no. I professionisti che hanno voglia di dare un’occhiata alle tue tavole ci sono, basta cercarli. Bisogna farsi seguire da loro, iniziare a mandare materiale in giro e pregare che ti vada bene. Spesso dipende anche dai periodi. A volte hanno bisogno e a volte no. Banalmente, è importante perfino cominciare da soli, iniziare a ricopiare lavori fatti da altri, esercitarsi, se lo senti nelle mani. Di sicuro un’ottima scuola è fondamentale e in giro per il paese abbondano, tra Roma, Torino, Pescara, Milano…

Tornando un attimo a Topolino, quello è un prodotto dedicato soprattutto ai ragazzi, quindi secondo te è importante, quando si scrivono o si disegnano le storie, seguire l’evoluzione dei gusti dei bambini da generazione a generazione? Oppure è necessario rimanere in buona parte conservatori per trasmettere dei valori durevoli e significativi?

Dipende. Sicuramente un aspetto basilare è quello di conservare sempre il carattere dei personaggi. Poi, per quanto riguarda l’attualità, bisogna vedere cosa di essa può rientrare senza cozzare nei canoni, perché ovviamente i protagonisti non possono fare determinate cose. Ma è un discorso che vale un po’ per tutti i fumetti seriali, anche Dylan Dog, per dire. La contemporaneità c’è ad esempio nel linguaggio, che è sempre estremamente curato, nella qualità della scrittura, basata su un italiano medio/alto. Credo già da lì ci sia un valore con cui partire per una buona dose di attualità, filtrando ciò che è necessario e cosa no. Comunque, Topolino e il mondo Disney esistono e continuano ad esistere perché tentano di attualizzare e si attualizzano molto nel corso dei decenni, non raccontano più le stesse storie di trent’anni fa.

Sembra però che sia una tendenza soprattutto italiana. Qui è normale vedere Paperino e Topolino che usano il computer, Facebook… Invece all’estero, soprattutto in America, c’è molta più cristallizzazione dei canoni Disney rispetto a quello che fanno i nostri autori.

Non ti so dire, ma di solito c’è una grande differenza tra produzioni Disney cartacee e multimediali, quindi un certo scarto esiste, però dipende da caso a caso. Ad esempio, mi ricordo che quando Carl Barks, il mito del mito dei miti, venne qui in Italia intorno al ’95, scambiò un paio di chiacchiere con i nostri sceneggiatori, un autore navigato gli disse “Non so più che spunti trovare, mi sembra di aver esaurito le idee” e chiese a Barks, non dico alterato ma un po’ stupito: “Lei da dove le prende?“. Lui rispose: “Dalla realtà, da ciò che mi sta intorno“. Qui dice tutto. La realtà si può coniugare in chiave Disney mantenendosi attuale. Poi ci sono temi e tematiche non pertinenti e non le metti dentro, per quanto siano comunque correnti.
Il mondo Disney ha tante sfaccettature e nel suo complesso l’attualità ci sta, con la dovuta attenzione. Sennò, peraltro, non sopravvivi se non cerchi di parlare alle nuove generazioni.

Ma senza esagerare.

Sì, diciamo non snaturandoti. Non puoi mettere un linguaggio carico di slang giovanile; è bello anche conservare, aggiungere qualcosa, perché comunque ci si cresce su Topolino.

Di sicuro tu lo hai fatto e continuerai a farlo in futuro…

Di sicuro, anche se al momento sto lavorando ad altro.

Ecco, volevamo arrivarci: quali progetti stai seguendo ultimamente e cosa hai in cantiere?

Seguo delle mie idee, tipo Dea Bianca, poi insegno, faccio un po’ di lavori per gli Stati Uniti. Ovviamente quando non sto disegnando Disney, magari durante una telefonata, durante un momento di riposo, mi capita di disegnare la testa di Paperino. Diciamo che ti entra nel cervello, soprattutto se lo fai come l’ho fatto io e tanti altri colleghi. Ti senti marchiato a vita, in senso buono. Sei un disneyano per sempre. Io finché campo, lo sarò. Una storia è una cosa, quando poi ne fai tante, tantissime, per anni e anni diventano davvero una parte di te.
Poi io, avendo scritto parecchie sceneggiature, a volte sono in metro, vivo una situazione e mi viene da pensare cosa farebbe un dato personaggio Disney… Curatemi!

Te li immagini tutti paperizzati, eh?

Beh, tante storie sono nate così. Sei davanti alla TV, leggi il giornale, ti passa davanti una situazione, attivi un’area del cervello, probabilmente marchiata Disney, e ti chiedi : “Ma cosa farebbe Paperino in questa situazione?“. Viene in automatico, soprattutto quando scrivi da tanti anni.
Il disegnatore ha il lavoro preparato, quindi quella parte del cervello l’attiva solo quando è il momento di mettersi all’opera, ma se scrivi è sempre accesa.