The Dropout: tutto nasce da una goccia di sangue…

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he Dropout è la nuova serie Hulu (piattaforma streaming statunitense a controllo maggioritario Disney e gestita interamente da quest’ultima) riguardante le vicissitudini di Elizabeth Holmes, fondatrice di Theranos. La mini-serie, che si compone di 8 puntate al di sotto dell’ora, è disponibile per l’Italia interamente su Disney+
Abbiamo a che fare con un’offerta squisitamente per adulti, che affronta uno degli episodi di truffa e fallimento più incredibili della storia recente della Silicon Valley. Credo quindi che sia necessaria una prima, inevitabile, parentesi, ossia spiegare con rapidità cosa sia Theranos e chi sia Elizabeth Holmes. Si tratta di fatti di cronaca notissimi, ma che rappresentano de facto uno spoiler: se non volete saperne nulla a prescindere (e non avete aperto neanche una volta un sito web dal 2015 al 2018) saltate il prossimo paragrafo a piè pari.

La “rivoluzione” di Theranos

Elizabeth Holmes, nel 2004, era una neanche ventenne studentessa di Stanford (ingegneria chimica), università che decise di lasciare proprio in quell’anno per fondare Theranos. La “visione” di Holmes era quella di creare un macchinario portatile capace di analizzare campioni di sangue minuscoli (una goccia, poi successivamente più di una) con risultati accurati e abbattimento dei costi. Una macchina del genere, completamente automatizzata e con scarse necessità in termini di quantità dei campioni ematici, avrebbe rappresentato una rivoluzione nel campo della medicina preventiva e dell’assistenza sanitaria mondiale. Holmes brevetta l’idea, propone la stessa e trova il modo di convincere personaggi e investitori sempre più influenti. Un primo punto di divergenza tra serie e realtà – condiviso ad essere onesti anche con la stampa dell’epoca – è la solita idea della self-made woman, cosa che avvenne solo in parte. Elizabeth ha dovuto sgomitare, ha rinunciato ai soldi dell’università, ma ha anche avuto modo di conoscere e intrattenere relazioni privilegiate grazie alla notevole importanza della famiglia Holmes: padre vicepresidente di Enron (una multinazionale gigantesca, andata fallita nel 2001), nonno facoltoso inventore, bisnonno fondatore dell’Università di Cincinnati e via di questo passo. 

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Theranos è stata comunque figlia di un’idea, di per sé, intrigante: un macchinario piccolo e tecnologicamente avanzato, alla portata di tutti. La realtà dietro a questa facciata è stata disvelata molto tardi, dopo che alcuni dei principali colossi del settore farmaceutico e di distribuzione di generi alimentari, oltreché personalità del calibro di Kissinger, Bill Clinton e Schultz, avevano già investito milioni di dollari e una massiccia dose di credibilità. Una realtà nella quale il macchinario Edison non ha mai funzionato – pur arrivando a compiere test ed analisi su persone fisiche – ingannando investitori, pazienti e stampa per più di dieci anni. 

Un cast eccezionale ed un ritmo serratissimo

Tornando alla serie TV e lasciando la descrizione (neanche troppo romanzata) degli eventi più paradossali alle scene filmate, mi preme sottolineare la grande indecisione che si prova nel giudicare e criticare The Dropout. Da un lato c’è l’essenza più pura e “divertente” dello show: una miniserie che affronta l’intreccio con grande semplicità, andando con ordine cronologico e soffermandosi sui personaggi caratterizzandoli, ma senza dilungarsi. Personaggi interpretati da un cast sensazionale (Seyfried per Holmes, Macy per Fuisz, Andrews per Balwani, Fry per Gibbons e davvero tanti altri), ispirato e molto attento a non scadere nella pantomima, pur descrivendo alcuni episodi con un approccio che è sempre molto romanzato e ben poco documentaristico. Anche le scelte registiche, visive e sonore tendono a far immergere lo spettatore in un mondo, quello delle startup e della frode di Holmes, che sembra essere completamente estraneo alla realtà dell’uomo comune. In tal senso quindi, e con notevoli risultati, The Dropout si allontana dalla moda degli ultimi anni, quella dell’iperrealismo e dei mockumentary, scegliendo una strada più “tradizionale” e protesa alla creazione di incredulità, curiosità e spesso anche ilarità

Dall’altro lato c’è però un registro ed un taglio “filosofico” che ho personalmente apprezzato poco. Il punto di The Dropout, che lo ricordo si basa su un noto podcast, è quello di descrivere la follia delle dinamiche patinate della Silicon Valley. Una California che è tanto bella e solare nel clima quanto fredda ed assassina per quel che riguarda la storia della finanza recente, fa da sfondo ad una serie di eventi che la sceneggiatura sembra descrivere quasi come inevitabili. Questa inevitabilità però – nel momento in cui viene offerta dalla trama la possibilità di affondare il colpo e imbastire una filippica sull’avidità della società contemporanea, sull’incoscienza della finanza e del sogno americano a tutti i costi – non viene mai attribuita ad una colpa particolare.

Un’occasione sprecata

Holmes e Balwani sono dei personaggi cattivi, certo, ma la loro cattiveria sembra frutto di una forma mentis (quella a la  Steve Jobs, onnipresente nelle immagini di alcune puntate) che è corruttibile e in parte giustificabile. Anche il loro amore sembra, tutto sommato, fungere sia da volano che da giustificazione alle terribili azioni compiute dal duo. Quando si passa poi alle colpe degli investitori e dei mecenati, la mano del regista è sempre timida: i vari personaggi vengono descritti magari come “vecchi” ed incapaci di capire le nuove generazioni e le nuove tecnologie; altri ancora come ingenuamente impossibilitati a scoprire il velo carismatico di Elizabeth Holmes. Allargando ancora di più il cerchio, se Theranos è sempre rappresentata come frutto di una perversione, di una filosofia produttiva fine a se stessa e deleteria, The Dropout comunque non si sbilancia.

Non che ci si aspettasse la critica feroce al capitalismo estremo, nemmeno la denuncia sociale di Margin Call. Rimane però l’amaro in bocca nel constatare che quanto riesce a fare in termini di puro intrattenimento questo The Dropout non riesce a farlo in termini di riflessione. I dati e i numeri collegati alla vicenda di Theranos emergono, ma vengono inseriti in un contesto quasi fiabesco, dove tutto trasuda denaro e facilità. I personaggi sono sfaccettati nella loro umanità, nella loro debolezza, ma raramente mostrano la cattiveria e l’egoismo che invece dovrebbe caratterizzare soggetti capaci di analizzare il sangue dei malati oncologici con un macchinario non funzionante.

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Infine – ma questo, lo ammetto, è più un desiderio personale che un malus in quanto tale – The Dropout è completamente fuori fuoco per quel che concerne l’aspetto più pericoloso delle vicende narrate: la capacità, nel ventunesimo secolo, di fondare una startup medico-tecnologica basata su una struttura scientifica praticamente nulla. A rifletterci, in un segmento storico di innovazione continua, a distanza di secoli dalla scoperta e adozione del metodo scientifico, sembrerebbe quasi impossibile poter prendere un cubo di plastica, infilarci dentro una tessera sporca di sangue e poi letteralmente inventarsi delle analisi fasulle. Eppure è, in soldoni, quello che è successo con Theranos. Una truffa pericolosissima, capace di irretire medici, scienziati e investitori. Quanto di tutto questo è stato figlio dell’avidità? Quanto di una fiducia cieca al dio della tecnologia di cui parla Gaiman? E quanto, al contrario, è stato figlio di quell’enorme gap che si è creato tra l’uomo di scienza e l’uomo di mercato, pur se entrambi protesi verso lo stesso risultato?

Domande a cui è difficile dare una risposta, ma che The Dropout non prova nemmeno a sollevare. Peccato, anche se rimane una serie che si lascia vedere con grande piacere e che mi sento di consigliare: la storia è appassionante ed è comunque utile per conoscerne i risvolti più sordidi e meschini.