Il secondo ciclo Welcome to the Blumhouse su Prime Video

La Blumhouse Productions è tornata su Amazon Prime Video senza essersene realmente mai andata, portando sulla piattaforma streaming di casa Bezos il secondo ciclo di quattro film di Welcome to the Blumhouse. Abbiamo già avuto modo di gettare uno sguardo a Bingo Hell, prodotto a uso e consumo del piccolo schermo nell’epoca dei cataloghi filmografici online.

Questa volta è invece il turno di The Manor, scritto e diretto da Axelle Carolyn che pare andare a confermare brutalmente la tendenza che sta dietro questi film, ritagliati lungo i bordi per lasciare fuori qualsivoglia dimensione di respiro da grande schermo.

The Manor viaggia nel mondo della terza età

Produzioni piccole non tanto nel budget (cavallo di battaglia della Blumhouse), bensì nell’impostazione artistica che si fa tratto esilissimo nella messa in scena più che essenziale e soprattutto nella proposizione degli script, pitch abbozzati e mai realmente sviluppati. Il tratto è una linea retta, di immediata presa, dalle svolte praticamente inesistenti e tutto in funzione del tenue twist che arriva inevitabilmente nel finale.

Quando c’è un minimo di ragionamento è affidato a sfumature nello sfondo, come lo sono quelle di The Manor che si approccia al mondo della terza età per costituire il suo impianto drammaturgico. Seguiamo da vicino Judith (Barbara Hershey), energica nonna e madre di 70 anni appena compiuti che in seguito a una improvvisa crisi viene ricoverata dalla figlia in una casa di riposo. Se è vero che «kids keep us young» come afferma la stessa Judith, all’interno di questo luogo di malattie senili e rapido logorio mentale ci sono pochi spunti con i quali mantenersi aggrappati alla vita.

The Manor

The Father di Florian Zeller insegna

Qualcosa pervade però in modo maligno le lugubri e perennemente in penombra stanze di questo posto, qualcosa che è imbrigliato nei denti stretti dei malati che provano a comunicare dalla nebbia del loro animo. O, forse, è tutto solamente un’allucinazione partorita dalla testa di Judith, costretta in uno stato di reclusione che non aveva mai sperimentato prima?

È qui evidente il modo in cui il film della Carolyn voglia andare a sfruttare il volano della senilità per confondere le acque, per depistare (nelle intenzioni) lo spettatore offrendo alternative e punti di fuga da una realtà che forse non è più tale.

Peccato che The Manor arrivi a diversi mesi di distanza da una raffinata opera come lo è il The Father di Florian Zeller, adattamento dell’omonima piece teatrale dello stesso Zeller e vincitore del premio Oscar alla sceneggiatura e del Miglior attore (meritato ma inaspettato) ad Anthony Hopkins. E che film grandioso è The Father nel lavoro che fa sulla decostruzione di volti e della casa dove il padre affetto da Alzheimer di Hopkins è chiamato a recitare, con spazi mutevoli, sguardi talvolta indecifrabili, piani temporali fusi irrimediabilmente.

The Manor

Tensione pigra e strumenti inadeguati

Non era un horror The Father, perlomeno non nell’accezione prettamente di genere, ma di certo si caricava in spalla un portato sul lavoro della degradazione mentale che The Manor non sfiora mai, nemmeno per un istante. L’abbiamo detto in apertura, non è aspirazione di questo ciclo di film porsi alla statura cinematografica, ma The Manor latita tutto il tempo dell’attenzione al dettaglio, del rendere incerta la percezione dei passi che compie Judith.

La formula adottata è la più semplice, pigra, tra ripetute visioni della protagonista (sono tali?) che dovrebbero fare da collante e fibra nervosa del film. Ciò che manca maggiormente è anche il senso di asfissia, di una a condizione di costrizione che renda un’anonima casa di riposo luogo di minaccia e che rifletta questo sulla protagonista, la cui recitazione sicuramente non aiuta nel processo di percezione.

Insomma, The Manor prova a mettere mano a un setting non particolarmente originale e lo fa oltretutto senza possedere gli adeguati strumenti per manovrare i fili di una tensione da compitino accademico. Da cestone dell’usato del mercato domenicale.

Alessio Zuccari
Laureato in Arti e Scienze dello Spettacolo all'Università Sapienza di Roma, al momento prosegue lo studio accademico del mirabolante mondo del cinema. Nel fare equilibrismo tra film, videogiochi e serie TV, si interessa pure attivamente alla sfera della critica cinematografica facendo da caporedattore per la webzine studentesca DassCinemag e autore all'interno delle redazioni di IGN Italia e StayNerd. Crede in poche cose, una di quelle è la Forza. This is the way.