Firesprite ci porta nello spazio oscuro con The Persistence

Annunciato più di un anno fa, The Persistence, la cui demo fece capolino da li a poco nello store di PlayStation 4, ci hai subito incuriositi per le sue potenzialità, nonostante si mostrasse come un prodotto ancora da rifinire. Oggi che finalmente lo abbiamo provato in forma completa, non possiamo che rallegrarci per l’ottimo lavoro fatto dal team di Liverpool.

Nello spazio profondo, la nave Persistence, il cui scopo era studiare la natura di un buco nero, si è ritrovata suo malgrado vittima degli effetti infausti del misterioso corpo celeste, che ha trasformato tutto l’equipaggio in una sorta di mutanti zombie, sterminando completamente l’equipaggio e lasciando la nave abbandonata a se stessa e alla deriva. Per qualche ragione però, la coscienza di uno degli ufficiali di bordo è sopravvissuta, Zimri Eder, e sfruttando la tecnologia futuristica di una civiltà apparentemente molto avanzata, è stata trasferita su un nuovo corpo clone. Sola e abbandonata al suo destino, con la sola compagnia della voce amica di un’altra coscienza umana senza corpo e “fusa” con i dispositivi di comunicazione presenti nella struttura, dovrà rimettere in sesto la nave e trovare il modo di tornare a casa.

The Persistence si configura come un fps dai forti connotati survival, ibridato con le meccaniche e una struttura di gioco da roguelike. Armati di un semplice raccoglitore di DNA, muoveremo i primi passi in maniera estremamente cauta, consci del fatto che ogni minaccia nascosta dietro l’angolo può risultare potenzialmente letale. Gli “zombie” presenti, non sono particolarmente svegli e possono essere aggirati facilmente, in modo da piantare loro dei cavi “sparati” dal nostro raccoglitore per prelevare preziose cellule staminali (il cui utilizzo vedremo in seguito), ma quando si accorgono della nostra presenza diventano molto pericolosi. Le creature presenti nella Persistence infatti non hanno particolari problemi di deambulazione e caricano nella nostra posizione velocemente per colpirci quell’unico paio di volte che, almeno inizialmente, basterà per farci morire. Fortunatamente le strategie e i mezzi di difesa non mancheranno, ma appunto, la gestione del tutto giocherà sempre un ruolo fondamentale. Il gameplay infatti è ottimamente studiato e funziona benissimo in tutte le sue componenti. Innanzitutto ci sono da considerare le abilità base: avremo a disposizione uno scudo elettromagnetico, che se attivato come una “parry” durante l’attacco nemico, lo stordirà e ci permetterà di assestare qualche colpo corpo a corpo, oppure di infilzarlo con il nostro raccoglitore in un attimo, c’è poi la materia oscura che ci abilità ben due preziose peculiarità: il teletrasporto, utile per percorrere pochi ma spesso preziosi metri senza essere visti, e la “”sensorialità” che per pochi istanti irradia l’ambiente circostante di una luce verde mostrandoci eventualmente i mutanti presenti in zona.  Attenzione però, sia la materia oscura che lo scudo dipendono dalle loro relative barre (affiancate a quella dell’energia) che nel giro di pochi utilizzi si esauriscono, costringendoci al cooldown.

La parsimonia delle risorse è un valore del gameplay che si estende a tutta la formula di gioco e che si fonde perfettamente con la dimensione roguelike del titolo. Ogni volta che veniamo uccisi dovremmo sempre ripartire da capo, ma non solo,  tutti i moduli che compongono ognuno dei 4 piani della nave spaziale (a tutti gli effetti gli stage del gioco) vengono casualmente riordinati, con annesso respawn dei mutanti, per dare una nuova conformazione al tutto diversa, e creando così una sfida sempre nuova. Certo, il gioco smorza parzialmente le sue caratteristiche procedurali mischiando le carte in tavola in maniera coerente, facendo in modo che l’obiettivo finale sia sempre alla stessa distanza, e che ogni ponte/livello mantenga una sua calibrazione della difficoltà ben definita, ma quello che cambia basta per mantenere una tensione esplorativa sempre costante, non permettendoci mai di arrivare alla piena familiarità con il posto. Anche perché, l’imprevedibilità di ogni partita coinvolge anche il loot. The Persistence come ogni buon roguelike offre moltissimi strumenti per tutti i gusti e tutte le occasioni. Abbiamo pistole più o meno veloci e potenti, arpioni, fucili, granate sonore, granate che esplodono in uno sciame di mini droni a inseguimento, pistole gravitazionali, armi letali che utilizzano la materia oscura, gadget che permettono di essere invisibili, di rallentare il tempo e moltissimi altri. Tutti particolarmente utili in specifiche occasioni e capaci di plasmare il gameplay in base allo stile del giocatore. Io per esempio, adoro il siero Ivy che permette di rendere ogni mutante a prescindere dalla razza, un nostro alleato che ci seguirà e combatterà con noi fino alla sua dipartita. Se pensate però che questa abbondanza di strumenti di morte e difesa renda il gioco una carneficina frenetica in realtà virtuale, beh vi sbagliate di grosso.

Ogni equipaggiamento viene droppato con il contagocce, contiene giusto una manciata piccolissima di utilizzi o munizioni e sostanzialmente, per avere un bel arsenale, dovrete spendere e spandere i fabrichip raccattati nel gioco per comprarne di nuovi ai rispettivi terminali. Attenzione però, ogni volta che morirete perderete tutto, ad eccezione delle valute di gioco. Quindi vi sentirete comunque sempre prede e piuttosto sprovveduti, e solo una grandissima giocata vi permetterà di archiviare un equipaggiamento di tutto rispetto, salvo poi perderlo inesorabilmente al primo passo falso. Preparatevi quindi ad una serie di morti a ripetizione che non mineranno però il divertimento. Sì perché il senso di progressione non mancherà anche ripartendo cento volte dalla stanza di rigenerazione. Al di là del banale effetto novità del riassestamento del livello sempre diverso, molti aspetti del nostro personaggio possono crescere in modo permanente e renderci quindi le cose sempre più facili, o quanto meno divertenti.

Con le cellule staminali trovate in giro o prelevate dai mostri accresceremo le nostre peculiarità fisiche come salute, silenziosità, potenza melee e capacità di generare materia oscura. Con i fabrichip, oltre che comprare le armi, sbloccheremo le potenzialità degli schemi che i nemici più coriacei rilasciano una volta sconfitti, che come da tradizione roguelike si distinguono in comuni speciali ed epici. Ci sono poi dei particolari gettoni piuttosto rari che sbloccano le armi e i gadget in questi shop/terminali e li rendono disponibili sia all’acquisto che al drop causale, nonché permettono di potenziarli sempre di più. Potenziamenti che accrescono il prezzo ma anche l’efficacia non solo di quanto comprate in loco, ma anche dello stesso oggetto droppato nel livello. Se si aggiunge che ogni sezione della nave presenta dei sotto obiettivi secondari che permettono di facilitarvi le cose trovando magari nuovi corpi su cui clonarvi con caratteristiche diverse, scoprire casse rare con oggetti unici all’interno o cambiare anche qualche aspetto sul fronte narrativo (lo scopriete da voi), capirete che l’esplorazione ripetuta di ognuno dei 4 settori della nave, ha il suo perché.

E poi diciamocelo, il vero motivo per cui non stanca è perché tutto funziona molto bene, il gameplay è semplice, ma sempre vario ed appagante, gli approcci con cui affrontare ogni corridoio o stanza sono tantissimi, e spesso variano anche a seconda delle numerose tipologie di nemico. Si va infatti dall’infetto classico a quello armato, dal simil boomer gigantesco alla simil witch piangente e letale (in effetti si nota molta somiglianza a Left 4 Dead per quel che riguarda il bestiario), e ancora letali e implacabili infetti con mazza che vi seguono per tutto il settore, droni mitragliatori, e qualche altra tipologia di mutante che vi lascio il (dis)piacere di scoprire da voi. Nemici diversi che richiedo approcci diversi, più o meno passivi (e lo stealth fa sempre parte delle opzioni), anche a seconda di ciò che avete in tasca. Ovviamente più vi potenziate, meno morite, più armi avrete e più la fantasia per uscire vivi dalle situazioni più disperate verrà meno, rendendo tutto più diretto e semplice. Ma prima di arrivare a quel punto ne passerà parecchio e ve lo sarete meritati.

Per quel che riguarda il comparto tecnico, c’è da dire che The Persistence fa assolutamente il suo lavoro, ma non brilla certo per originalità. La grafica è piuttosto semplice, eppure si vede come il team si è impegnato per riempire di dettagli i mutanti, pur peccando poi sul fronte della caratterizzazione, visto che ogni aberrazione che infesta la Persistence è più o meno derivativa rispetto ad altri giochi a tema horror. Inoltre, sebbene ogni settore della nave provi a differenziarsi in qualche modo, l’ambiente non brilla certo per un dettaglio invidiabile e l’aspetto asettico di stanze e corridoi, seppur giustificato dal contesto, rende l’estetica del gioco piuttosto ripetitiva e poco stimolante. Fortunatamente, come detto, la grafica fa il suo lavoro: in altre parole, significa che funziona. Il lavoro sull’illuminazione è molto buono, e anche se rende l’esplorazione un po’ troppo fagocitata dalle tenebre con corridoi quasi perennemente bui, è sicuramente propedeutica nel rendere l’esperienza tesa e angosciante, come si conviene ad un’esperienza che vuole essere prima di tutto horror. In questo l’ottimo comparto sonoro non fa che metterci il carico da novanta, con un’audio ambientale di tutto rispetto, composto da urla, cigolii, sospiri e mille sinistri rumori ambientali che contribuiscono a tenervi con i nervi tesi. I jumpscare in tal senso non mancheranno ve lo assicuro, anche perché lo stesso ambiente seppur con espedienti molto semplici, ogni tanto fa il suo per spiazzarvi improvvisamente.

Oltre all’avventura principale, che prevede ben 3 finali alternativi e la rigiocabilità data dalla possibilità di accresce il proprio potenziale e cercare schemi sempre più rari, c’è una modalità sopravvivenza che vi richiede di completare la campagna con sole 10 “vite”, e una simpatica coop in cui un amico dotato di smartphone o tablet può, attraverso una companion app, interagire con lo scenario (rappresentato da una mappa 2D isometrica), e conseguire i propri obiettivi in termini di punteggio, talvolta aiutando il giocatore distraendo i nemici, congelandoli, segnalando oggetti sullo scenario ecc o al contrario ostacolandolo, spegnendo le luci, attirando i nemici verso di esso e tante altre azioni poco simpatiche. Un extra marginale ma sicuramente apprezzabile che rende il gioco ancora più strategico e divertente.

Verdetto

The Persistence entra prepotentemente tra le migliori esperienze per PlayStation VR. Non solo infatti sfrutta molto bene il visore per creare un’esperienza altamente coinvolgente e ansiogena, ma anche creando un ottimo ibrido tra Dead Space e Resident Evil, immerso in una originale struttura roguelike che a conti fatti funziona e si sposa perfettamente con tutte le dinamiche di gioco e con le velleità survival ricercate dagli sviluppatori. Aggiungiamo degli ottimi controlli che per una volta lasciano in disparte i Move per darci un’interfaccia più classica attraverso il Dual Shock, ma sicuramente più funzionale, molte opzioni per venire incontro a chi ha dei disturbi con il visore e una longevità di tutto rispetto, estremamente elastica a seconda dell’abilità e delle esigenze dei giocatori (può finire in 8 ore come durarne decine). Peccato per un comparto tecnico a tratti moscio, animazioni poco convincenti ed una trama che tutto sommato lascia un po’ il tempo che trova. Rimane sicuramente consigliato a tutti gli amanti del genere e assolutamente un acquisto obbligatorio per i possessori di PS VR.

Se The Persistence vi stuzzica…

La migliore altra esperienza horror che potete trovare su VR è sicuramente Resident Evil 7, ecco la nostra recensione. Altrimenti se volete un’avventura di spessore, meno horror ma altrettanto appagante, puntate sicuramente su Farpoint, di cui vi abbiamo parlato in questo articolo.

 

 

 

Davide Salvadori
Cresco e prospero tra pad di ogni tipo, forma e colore, cercando la mia strada. Ho studiato cinema all'università, e sono ormai immerso da diversi anni nel mondo della "critica dell'intrattenimento" a 360 gradi. Amo molto la compagnia di un buon film o fumetto. Stravedo per gli action e apprezzo particolarmente le produzioni nipponiche. Sogno spesso a occhi aperti, e come Godai (Maison Ikkoku), rischio cosi ogni giorno la vita in ridicoli incidenti!