Realizzato da One-O-One e distribuito da Daedalic, The Suicide Of Rachel Foster  è un “walking simulator” tutto italiano che strizza l’occhio da vicino alle produzioni internazionali più blasonate nel genere. Un viaggio nei ricordi, tra stilemi tipici dell’horror e sperimentazioni videoludiche.

Negli ultimi anni, il dibattito sulla natura strettamente binaria del videogioco è stato acceso e vissuto con trasporto tanto dall’industria quanto dal pubblico. Tra chi asserisce al bisogno intrinseco del (e per il) videogioco di costruire con e restituire a chi gioca un’esperienza in cui sia percepibile un intervento preciso delle sue azioni – quella che viene, spesso erroneamente, chiamata interattività – e chi invece chiede al medium una via alternativa e parallela, la nuova scuola di avventure grafiche (spesso chiamate anche “walking simulator”) ha destato grandi dibattiti. È all’interno di questo filone che si posiziona, in modo netto e percepibile fin dall’inizio, il videogioco italiano The Suicide of Rachel Foster.

Sono ormai quasi dieci anni che questo modo di fare videogiochi ha fatto capolino nel mercato. Dall’uscita di Dear Esther in avanti, infatti, il dibattito circa un cambiamento di rotta rispetto alla norma (percorso già avviato da studi come Quantic Dream e TellTale) si è arricchito di un argomento complesso e sfaccettato: quello che riguarda giochi dal gameplay nel senso classico del termine praticamente nullo, fatti di storie scritte con maestria e capaci di proporre nuovi stimoli interattivi.

Una scuola di pensiero questa che a molti non è andata particolarmente giù ma che altri hanno saputo apprezzare e sostenere, che finalmente si arricchisce anche di un esponente realizzato interamente nel nostro paese. The Suicide Of Rachel Foster di One-O-One pesca a piene mani da ciò che gli illustri predecessori hanno portato nel videogioco, proponendosi come un titolo in grado di essere accostato a quest’ultimi.

Da un lato all’altro della cornetta, per ricordare la verità

The Suicide Of Rachel Foster racconta di un dramma che coinvolge due famiglie: quella della protagonista Nicole e quella di Rachel, sedicenne morta suicida nell’hotel gestito dalla famiglia di Nicole. La figlia dei proprietari dell’albergo torna nello stesso dopo più di un decennio da quegli eventi, pronta a vendere la proprietà e lasciarsi dietro le spalle una serie di episodi che hanno segnato per sempre la sua esistenza, il rapporto con suo padre e sua madre e la sua percezione degli eventi e il come li ricorda. 

In poco tempo, però, Nicole si rende conto che la sua permanenza all’hotel Timberlane è molto più complicata di quanto lei aveva preventivato. Non le è possibile uscire dalla struttura in tempi brevi per via di una tempesta di neve che incombe sulla regione in cui si trova, trovandosi quindi costretta a rimandare la vendita e a passare più tempo di quanto avrebbe voluto immersa dentro un passato con cui sperava di non dover più avere a che fare. L’unico contatto con l’esterno è attraverso un telefono cellulare al cui capo opposto si trova Irving, un agente della FEMA incaricato di occuparsi della faccenda mantenendo il contatto con la ragazza aggiornandola riguardo il bollettino meteo e i contatti con il mondo esterno. 

Si viene a creare quindi un dialogo bilaterale di cui chi gioca ha solo un punto di vista. In modo molto simile a quanto era stato possibile vedere, per rimanere nello stesso tipo di gioco, a Firewatch, The Suicide Of Rachel Foster basa buona parte del suo sviluppo narrativo sul contatto tra Nicole e Irving scandendo i momenti in cui i due si parlano e alternandoli con pause di silenzio nella quale la ragazza scopre dettagli sull’hotel, su chi lo ha abitato e su se stessa ricordando porzioni del suo passato che aveva nascosto ai suoi stessi occhi per proteggersi o perché accecata da una versione che aveva dato per scontata. Quella raccontata è la storia di una figlia che per risentimento verso il padre nega un’evidenza che aveva davanti agli occhi ma che ha voluto tenere lontana da se stessa perché troppo impegnata a covare rancori. 

suicide rachel foster

Non è sufficiente, però, rendere così sfaccettata la vicenda per darle la giusta funzionalità narrativa. Mano a mano che si dipana davanti alla giocatrice o al giocatore, infatti, la storia rivela una mancanza di approfondimento riguardo ai personaggi e al loro ruolo nella cornice più ampia. Alcuni personaggi e alcune loro caratteristiche vengono poste di fronte a chi gioca in modo frammentario e forse erano necessari degli approfondimenti differenti per dare loro il giusto peso e significato. Moltissimi dettagli delle psicologie delle pedine in gioco vengono soltanto sfiorati facendo apparire alcune scelte di protagonista e comprimari un po’ accelerati sul finale. 

Badate bene: il fatto che manchi di approfondimento non significa affatto che il gioco non funzioni o che la sua sceneggiatura sia mal scritta. Il gioco è assolutamente valido e anzi fa ben sperare per le prossime produzioni di One-O-One ma, contemporaneamente, deve far fronte al resto della proposta del genere, specialmente perché si pone proprio la sfida di essere posta sullo stesso piano di questa. Da questo punto di vista The Suicide Of Rachel Foster cede leggermente il passo a un mancato approfondimento di spunti che potevano davvero portare il tutto a un livello molto alto ma che, allo stato attuale, paiono frettolosi e il tutto sembra un piccolo peccato dato il grande potenziale e i temi molto profondi e maturi proposti (in tal senso ho molto apprezzato la raccomandazione di giocare il titolo avendo qualcuno a cui rivolgersi per cercare supporto) che preferisco farvi scoprire e apprezzare in prima persona. 

suicide rachel foster

Con gli occhi e con le orecchie

Se il comparto narrativo racchiude dentro di sé alcuni difetti, quello tecnico invece rappresenta il vero fiore all’occhiello della produzione. Appare abbastanza evidente che One-O-One abbia voluto utilizzare l’estetica, il motore grafico e soprattutto il sonoro per creare una suggestione atmosferica credibile e coesa.

C’è una ricerca davvero notevole nel costruire la tensione in The Suicide Of Rachel Foster che richiama da vicino moltissime opere che fanno della tensione e dell’inquietudine claustrofobica un valore fondante, uno su tutti lo Shining di Stanley Kubrick. Ogni stanza del Timberlane è progettata e arredata con minuzia di dettagli per raccontare un luogo vissuto che porta i segni delle storie avvenute al loro interno, per segnare il passaggio delle persone.

In tema di tensione interviene poi l’audio scelto per il gioco, probabilmente il punto più alto in assoluto raggiunto nel prodotto. Ogni passo di Nicole è accompagnato da scricchiolii, sussurri e piccoli rumori di assestamento gestiti in modo tale da portare chi gioca ad una immersione molto credibile (più volte mi è successo di voltarmi, nelle tre ore necessarie a completare il gioco, pensando che i rumori che sentivo in cuffia provenissero da quel che mi accadeva intorno anziché dal gioco).

I suoni sono gestiti spazialmente e si orientano rispetto a dove si trova la protagonista nello spazio di gioco, avvicinandosi e allontanandosi o provenendo solo dal canale sinistro o da quello destro a seconda della loro posizione rispetto a Nicole. La prova recitativa degli attori e delle attrici che hanno prestato le loro voci per animare i personaggi del gioco, poi, è di livello e contribuisce a rendere efficace la suggestione.

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In definitiva The Suicide Of Rachel Foster è un prodotto che riesce nel suo intento solo parzialmente. Un videogioco che però è comunque valido per come gestisce i temi, sebbene una mancanza di approfondimenti, e per l’uso della tecnica per creare sensazioni, suggestioni e atmosfere.

Un inquietante viaggio nei ricordi che non scade mai nella banalità prevedibile del jumpscare ma che preferisce donare a chi gioca una struttura tensiva basata sull’aspettativa e l’ipotetico. One-O-One confeziona un’opera dal sapore internazionale posizionandosi su un piano che forse aveva bisogno di alcune rifiniture in più per poter essere seriamente competitivo.

Un azzardo che probabilmente necessitava di una dimestichezza diversa e di un po’ meno citazionismo sfrenato che non fa altro che dar da pensare a chi gioca agli eventuali confronti con i materiali a cui ci si ispira. Un titolo certamente da provare, anche solo per supportare la possibilità di avere prodotti di questo tipo anche dal nostro paese.

Luca Parri
Nato a Torino, nel 1991, Luca studia scienze della comunicazione come conseguenza della sua ossessione nei confronti delle possibilità che offrono i mezzi di comunicazione e ha lavorato come grafico e consulente marketing (lavoro che ha fatto crescere esponenzialmente la sua ossessivo-compulsività per le cose simmetriche e precise). Lo studio gli ha permesso di concretizzare la sua passione per i differenti linguaggi dei media, sperimentando con mano l'analisi linguistica e semiotica; il lavoro gli ha dato la possibilità di provare a inserire la teoria nel pratico. Studio e lavoro, insieme, lo hanno portato a scrivere di, tra gli altri argomenti, grafica pubblicitaria, marketing, comunicazione e comunicazione visiva collegata al videogioco.