Souls Ex Machina

Anche quando si fanno recensioni da anni, a volte può capitare che un gioco generi molte più perplessità del solito. Titoli che non sono brutti, ma che hanno qualcosa che non torna, anche dopo molte ore di gioco, intrappolati in un limbo tra innovazione, evoluzione e staticità che complica il percorso che porta al giudizio finale.
The Surge ci ha tenuti in un’impasse mentale per diversi giorni a causa della sua natura a tratti incomprensibile, divisa tra il tentativo di innovare un genere giovane come il soulslike ma, allo stesso tempo, mostrando il fianco a diverse critiche di natura tecnica e non solo. Prima di confondere le idee anche a voi, però, cerchiamo di fare il punto della situazione.

The Surge ci farà indossare i panni di Warren, un ingegnere costretto a vivere su una sedia a rotelle e che trova lavoro presso la CREO, un’azienda fantascientifica il cui scopo è salvare il pianeta dalla sua crisi ambientale e aiutare il genere umano nella propria evoluzione e sopravvivenza, grazie anche a biotecnologie e molto altro. Come tutte le storie “belle”, però, anche quella di Warren finisce per complicarsi inesorabilmente, partendo da un traumatico primo giorno di lavoro fino alla piena consapevolezza che ci sia qualcosa di strano. Certo, adesso è dotato di un esoscheletro che lo fa camminare, dall’altra parte però ci sono tutta una serie di macchine ed operai pronti ad ucciderlo senza nessuna apparente ragione e, attraverso un contatto radio, dovrà cercare di salvarsi la pelle tentando di comprendere le cause degli incidenti.

Un incipit molto interessante a parole ma che, nella sua evoluzione, non trova comunque terreno fertile, o meglio, non si impegna proprio a coltivarlo restituendo una trama abbastanza scialba e dimenticabile, nonostante gli argomenti trattati si prestino perfettamente ad una storia sci-fi di buon livello, salvo poi ricevere un trattamento inefficace.

the surge recensione

A fronte di una trama sbilenca, il cuore di The Surge è il suo gameplay, mutuato dai souls-like e già affrontato dallo studio con il loro Lords of the Fallen, ma che torna in una veste decisamente inedita e ricca di idee molto originali già parlando della progressione del personaggio. Il gioco abbandona i livelli in favore della così detta Energia Nucleare, sostanzialmente la fonte di energia che permette al nostro esoscheletro di funzionare. Salire di energia non influirà in alcun modo sulle nostre statistiche, le quali invece si basano su due elementi ben precisi: le Parti e i Chip. Con parti si intendono i pezzi di equipaggiamento che andremo a montare sull’esoscheletro e che ci verranno gentilmente forniti dai nostri nemici, oppure prodotti utilizzando gli Scarti Tecnologici, equivalente moderno delle Anime, nei vari laboratori sparsi nel mondo di gioco. Sono disponibili per braccia, gambe, corpo e testa e offriranno – come di consueto – dei bonus in attacco e in difesa, a patto però di avere abbastanza energia nucleare per alimentarle tutte. I Chip invece sono dei moduli da montare sulla tuta e che daranno perks per quanto riguarda vita e stamina, ad esempio aumentando numero e tipologia di guarigione (immediata o graduale) o miglioramenti per quel che concerne il consumo di energia, ma anche abilità attive e passive che influiscono in combattimento.

Proprio durante i combattimenti sarà possibile ottenere questi miglioramenti, il cui guadagno però si basa, oltre alla fortuna, anche sul mondo in cui lotteremo: quando ci ritroveremo ad agganciare un nemico, infatti, avremo modo di colpirlo non solo in modo classico, ma anche prendendo di mira arti, testa e corpo. Questa meccanica permette innanzitutto di evidenziare eventuali parti prive di armatura e, di conseguenza, più deboli, aiutandoci ad infliggere dei danni bonus e facilitarci il lavoro, ed in secondo luogo mette il giocatore nella condizione di poter notare eventuali parti pregiate da rubare ed utilizzare.

Insomma, le idee valide non mancano di certo, e aiutano a rendere molto più piacevoli e intriganti quelle meccaniche quasi obbligate in titoli simili: basti pensare al farming o alla ricerca di oggetti specifici, a fronte tuttavia di una semplificazione dell’impianto ruolistico che però non può essere considerato un difetto a priori.

the surge recensione

I problemi del gioco sono ben altri e, purtroppo, finiscono per impattare in modo pesante sul gameplay, creando situazioni tediose e difficili da digerire. Partiamo da elementi basilari come la parata, un’azione spesso fondamentale ma che a conti fatti si rivela controproducente, poiché non sarà possibile muoversi durante l’esecuzione della stessa: magari è un problema nostro, ma non nascondiamo che la cosa ci ha parecchio destabilizzato, soprattutto all’idea di non poter costituire una build tank adeguata. Altra pensata già apparsa anche in Lords of the Fallen e che torna prepotentemente è il recupero degli scarti persi in combattimento: quando moriremo, la regola vuole che i nostri scarti siano recuperabili nel luogo di morte e, fin qui, ci siamo. Il problema nasce quando noteremo un countdown che, una volta esaurito, farà sparire per sempre il nostro bottino e farà altresì apparire divinità non meglio specificate in contesti alquanto volgari, magari perché andando di corsa ci siamo fatti uccidere come scemi.
Come se ciò non bastasse, il gioco mostra il fianco anche a critiche di natura tecnica, con animazioni non sempre precise e colpi che non andranno sempre a segno, quasi a voler mostrare una chiusura dei lavori sbrigativa o l’assenza di qualsivoglia beta testing. Il picco di questi problemi si raggiunge con i boss di gioco, dove le regole vengono spesso sovvertite in base a misteri della fede, e che finiscono per rendere il gioco tedioso in diverse occasioni, lasciando il giocatore inerme ma soprattutto incolpevole di quanto accade su schermo. Sempre rimanendo in tema nemici, si resta molto perplessi dalla scarsissima varietà, non solo per quanto riguarda gli umani in esoscheletro ma anche per le bestialità tecnologiche che ci troveremo spesso davanti, sempre troppo uguali e per nulla originali, circostanza che ci lascia stupefatti se si pensa alle tante possibilità che il setting poteva offrire, possibilità che vengono anche a mancare nel level design.

Piuttosto che ispirarsi ad un mondo aperto stile Dark Souls o il sistema a missioni di Ni-Oh, The Surge opta per una macroarea di gioco suddivisa 5 aree ben distinte. Ogni area possiede una singola Med Bay, equivalente dei Falò, dalla quale si dirameranno tutte le strade del livello, con eventuali scorciatoie da sbloccare: l’idea di per sé può anche essere intrigante, tuttavia la struttura dei livelli rimane vittima di una caratterizzazione che spesso lascia il tempo che trova, complicando l’esplorazione al punto da non riuscire quasi più a distinguere le scorciatoie trovate. Va da sé che orientarsi in ambienti spesso troppo simili tra loro non è decisamente il massimo e l’assenza di punti di riferimento porterà solo altra frustrazione ad un gioco già precario. Sotto il profilo della longevità siamo di fronte ad un gioco che, nella prima run, richiede all’incirca 30 ore per essere completato, con un New Game Plus che però non offre particolari spunti di rigiocabilità se non arrivare al potenziamento massimo di chip e poco altro, essendo tra l’altro privo di finali multipli.

Il versante tecnico è anch’esso bifronte: sul lato prestazionale il gioco si è sempre mantenuto stabile e, avendolo testato su PlayStation 4 Pro, abbiamo apprezzato la possibilità di giocare scegliendo tra 1080p a 60 fps oppure in 4K a 30 fps. È pur vero che la qualità grafica non è delle migliori, con ambienti mai troppo dettagliati, effetti particellari che non ci hanno convinto del tutto e animazioni che già abbiamo avuto modo di bocciare in precedenza. Sufficiente infine la colonna sonora, con brani atmosferici di buona fattura ma che mancano di particolare epicità e che si limitano a fare il loro compito come sottofondo musicale e nulla più.

Verdetto:

Giocando a The Surge si ottiene la consapevolezza che il gioco potesse, potenzialmente, ambire a grandi cose, come rivoluzionare un genere ancora giovane ma che offre moltissimi spunti interessanti. Purtroppo una gestione scriteriata ha fatto sì che le numerose idee valide si sgretolassero, donandoci un’esperienza sbilanciata e problematica sotto molti aspetti. I giochi brutti sono altri, sia chiaro, ma il potenziale dell’opera di Deck 13 era comunque promettente e ritrovarsi un titolo del genere tra le mani lascia un disappunto inevitabile. Qualche patch potrà correggere il tiro, forse, ma è indubbio che le cose potevano e dovevano andare meglio.

Francesco Paternesi
Pur essendo del 1988, Francesco non ha ricordi della sua vita prima del ’94, anno in cui gli regalarono un NES: da quel giorno i videogiochi sono stati quasi la sua linfa vitale e, crescendo con loro, li vede come il fratello maggiore che non ha mai avuto. Quando non gioca suona il basso elettrico oppure sbraita nel traffico di Roma. Occasionalmente svolge anche quello che le persone a lui non affini chiamano “un lavoro vero”.