“La realtà si assottiglia e io mi trovo senza pelle, ogni alito di vento è terribilmente doloroso.”

Recensire, e quindi dare un voto, a un gioco come The Town of Light non è semplice. Il motivo è presto detto: è un titolo eccezionale sotto il punto di vista narrativo, è coraggioso nei temi che tocca e intelligente nel modo in cui li tratta, dipinge uno spaccato di Italia (e di mondo) che nessuno, nel videogioco, aveva mai trattato, e lo fa con rispetto per le vessazioni patite da tantissimi pazienti psichiatrici in passato, ma anche con rispetto per la malattia e per chi ne è affetto, senza spettacolarizzazioni e senza piegare un argomento così delicato a necessità ludiche. Dall’altra parte, però, c’è un comparto tecnico veramente inadeguato, non solo per la povertà di modelli e tessiture, su cui passeremmo tranquillamente sopra data la natura indipendente del titolo, ma soprattutto per tante sbavature più o meno grandi che tradiscono una realizzazione approssimativa. Un peccato, per un titolo che ha ormai un anno sulle spalle (ci troviamo qui a recensire la versione console appena uscita) e che ha ottenuto un buon successo. Nonostante questi problemi che sottolineeremo nelle prossime righe, vi diciamo fin da subito che The Town of Light è un gioco che chiunque dovrebbe giocare, non solo per i temi che tratta, ma anche per capire dove possa arrivare il videogioco come medium, perché fuga i dubbi rimanenti su di esso come più che mezzo di intrattenimento, facendoci vedere come, attraverso il suo proprio linguaggio, si possano raccontare storie importanti come altrimenti sarebbe impossibile. Ma partiamo dall’inizio.

Renèe è un’ex-paziente del manicomio di Volterra, chiuso nel 1978 per via della Legge Basaglia. La storia di Renèe inizia al termine degli anni ’30, quando viene rinchiusa nella struttura su richiesta della madre, ma il giocatore prenderà il controllo di una Renèe oramai adulta, che anni dopo torna nel manicomio (riprodotto fedelmente) oramai abbandonato per cercare di ricostruire la sua stessa storia. The Town of Light è un viaggio nel manicomio, grande cooprotagonista della vicenda, ma anche un viaggio nella malattia di Renèe, nel suo passato, nella società italiana e nella sua percezione “dei matti”, e in ultimo è un viaggio nei metodi di trattamento usati su chi aveva disturbi mentali nella prima metà del secolo, inumani non solo in Italia, ma anche nel resto del mondo, dando all’aspetto “documentaristico” del gioco un respiro che supera i nostri confini nazionali. Come abbiamo già detto in apertura, il grande merito di The Town of Light è quello di trattare un argomento tanto delicato con il rispetto e la cura che merita, evitando sensazionalismi. Sarebbe stato facile mettere in piedi un walking simulator horror nelle stanze di un manicomio in rovina, ma i ragazzi di LKA.it hanno fatto il lavoro diametralmente opposto a quello che ci si aspetterebbe: il manicomio è sempre irradiato dalla luce del sole che entra copiosa dalle finestre, non ci sono jumpscare né elementi sovrannaturali, semplicemente perché la realtà supera di diverse misure la finzione, in questo caso. Il giocatore prova un disagio palpabile in ogni passo che muove all’interno della struttura, e i commenti a volte infantili, a volte sconclusionati della protagonista riescono a trasmettere la sgradevole sensazione di lieve distacco dalla realtà di Renèe, in bilico tra la consapevolezza dei suoi disturbi e il sopravvento che i disturbi stessi spesso prendono, confusa da ricordi che non trovano conferma nei documenti ufficiali, perché scritti ad arte per coprire gli orrori del manicomio, e alienata perché troppo spesso in balia di flashback la scollano dalla realtà. È un viaggio difficile quello che i ragazzi di LKA.it hanno confezionato per noi, ma è anche un viaggio importante, che ci permette di riaprire una pagina orribile della storia, che proprio perché orribile non deve essere dimenticata.

Per quanto riguarda l’aspetto strettamente ludico, in The Town of Light c’è poco da fare, se non camminare e risolvere semplici enigmi, spesso telefonati. Come spesso abbiamo detto in questi casi, è ovvio che tutta l’attenzione degli sviluppatori fosse rivolta a raccontare una storia, ed è quindi fisiologico che gli enigmi siano semplici, per non rompere il ritmo e non frustrare il giocatore. Vicino a queste semplici interazioni troviamo dei collezionabili, entrambi relativi alle memorie di Renèe: oltre a poter visitare dei posti che riporteranno alla mente della protagonista scene del passato, è possibile raccogliere le otto parti del suo diario, che era obbligata a tenere durante i suoi anni in manicomio a scopo terapeutico. Il diario è certamente un elemento importantissimo nell’economia del gioco, perché ci spiega il passato della ragazza prima di essere internata, e i suoi rapporti con le persone del paese in cui viveva. Nonostante queste limitazioni tipiche dei walking simulator, il titolo è piuttosto rigiocabile: in alcuni momenti verrà chiesto al giocatore di rispondere a delle domande, e queste scelte influenzeranno il percorso intrapreso. Dal menu principale è possibile selezionare il capitolo desiderato, per poter facilmente vedere tutte le possibilità offerte senza dover cominciare il gioco ogni volta da capo. Si tratta di una piacevole introduzione all’interno di una tipologia di prodotto che di solito si esaurisce in una sola run, raccontando tutto quello che ha da raccontare.

Passiamo ora alle note dolenti, perché ce ne sono purtroppo. The Town of Light ha un’eccezionale direzione artistica, che vede i suoi picchi nelle scene di intermezzo illustrate, fantastiche, che con semplicità riescono a colpire più volte il giocatore dritto nello stomaco, e nel diario della protagonista, a sua volta tratteggiato magnificamente, con inquietanti illustrazioni che riescono a restituire la sofferenza di Renèe. Purtroppo però le prestazioni su Playstation 4 sono decisamente altalenanti, con scatti frequenti, un pop-up piuttosto fastidioso e anche qualche freeze di pochi secondi. Quello che più ci ha turbati in sede di recensione però è stata la scoperta di un’area della mappa totalmente disadorna, senza muri, dalla quale era possibile “cadere nel vuoto”. Quest’area non era limitata, non ci siamo arrivati tramite un buco in un muro invisibile. Era semplicemente lì, a disposizione del giocatore più avventuroso che non volesse seguire pedissequamente il percorso impostato dagli sviluppatori. Nonostante questo non ci abbia creato problemi nel proseguire nell’avventura (ma molte preoccupazioni sì, nella paura di aver innescato qualche bug irreversibile, dato anche il sistema di salvataggio totalmente automatico), la sensazione sgradevole di gioco lanciato sul mercato senza curarsi troppo di sistemarlo a dovere è stata forte. A questi problemi dobbiamo sommare una realizzazione tecnica decisamente non di primissimo livello, con personaggi modellati maluccio e texture spesso troppo slavate sulle superfici. Problemi a cui si passa tranquillamente sopra, beninteso, data la qualità del racconto, ma che certamente non possono essere taciuti e che, in definitiva, non permettono a questa perla tutta italiana di arrivare ad un voto più alto di quello che trovate a fondo pagina.

Verdetto

The Town of Light è un gioco che soffre di problemi sotto il profilo tecnico, probabilmente per l’inesperienza e le dimensioni del team di sviluppo. D’altra parte però racconta una storia estremamente bella e toccante che vale la pena di vivere, trattando temi delicatissimi con grandissima maestria, anche grazie ad una scrittura di alto livello, senza scadere in “volgari” soluzioni da gioco horror, creando un’eccezionale atmosfera e tanta empatia con la protagonista. L’unica cosa che possiamo consigliarvi, quindi, è di acquistarlo e giocarci. Perché è importante ricordare alcuni frammenti della nostra storia, e perché è giusto supportare uno sviluppatore così coraggioso.