Il gioco di caccia che convincerebbe anche gli animalisti

Di recente il videogioco è sempre più sotto attacco, rivelandosi un bersaglio perfetto per giustificare azioni violente nel mondo, tralasciando le decine di studi che confutano l’opinione comune che vede i videogiochi come strumenti che, detto papale papale, rincoglioniscono le giovani menti portandole al degrado.

Ora giustamente vi chiederete? Perché una premessa simile per la recensione di un gioco di caccia, nello specifico theHunter: Call of the Wild?

Uno dei motivi è sicuramente l’argomento trattato: theHunter promette di essere il miglior simulatore di caccia, non volta alla sussistenza umana come accade nei migliori survival e finanche in Red Dead Redemption 2, bensì al puro ludibrio generato dall’uccidere animali innocenti. Un argomento caro a molti, quello della caccia, al punto che potrebbe stupire l’assenza di qualunque condanna esplicita nei confronti della commercializzazione di questo gioco.

theHunter propone infatti la possibilità di immergersi nel paradiso del cacciatore, offrendo al giocatore enormi parchi pieni zeppi di animali pronti ad essere trasformati da bestie libere a splendidi trofei da mettere in salotto, possibilmente rispettando le regole base dell’interior design. Possiamo scegliere ad esempio l’Hirschfelden, una splendida riserva nel cuore della Germania, oppure il sempreverde bosco americano, fino ad arrivare ai safari africani. Le location disponibili offrono inoltre tantissime novità, grazie ad un supporto post-lancio che ha permesso e permetterà al titolo di ampliare la rosa di animali cacciabili, in modo da rendere la longevità generale ancor più interessante.

Pad e fucile alla mano, theHunter dimostra di sapere indubbiamente il fatto suo: una volta scelto e personalizzato (poco e male) il nostro avatar e selezionata l’area per noi più intrigante, verremo buttati in una simulazione indubbiamente di buon livello e inaspettatamente ricca.

Appena arrivati, avremo al nostro fianco un ranger locale che, via radio, ci istruirà sulle basi dello sport, oltre a darci suggerimenti e missioni da compiere nelle sterminate aree che ci troveremo ad esplorare. Ad aiutarci nel nostro peregrinare abbiamo tuttavia gli avamposti, torri che dominano il paesaggio e che, come accade nella gran parte degli open world, permettono di individuare luoghi d’interesse, oltre ad essere il posto dove potremo acquistare rifornimenti, esche e non solo, essendo upgradibili con i guadagni del nostro bieco lavoro.

La curva di apprendimento del gioco è sicuramente tra i punti di forza dell’esperienza, capace di guidare il giocatore in modo competente e senza sommergerlo di informazioni, anche in virtù di un gameplay abbastanza realistico da annoiare, in certi frangenti. Nonostante l’impostazione da FPS classico, infatti, non saremo delle macchine da guerra pronte a crivellare animali: la caccia è uno sport lento ed operoso, fatto di tracce da seguire, movimenti accorti e competenza. Se vi metterete a correre e a sparare all’impazzata come se foste in DOOM potrebbero passare ore prima di trovarvi davanti ad un animale, figuriamoci ad ucciderlo.

In questo il lavoro di Avalanche Studios (sì, quelli di Just Cause dove però ammazzi i dittatori, il che è diverso) è encomiabile, traducendosi in un prodotto molto più mentale e strategico di quanto possa sembrare, oltre ad una cura attenta rivolta alle armi da fuoco, anch’esse numerose e adatte ad ogni occasione. Per questa ragione una sessione di gioco potrebbe essere davvero lunga e magari non darvi nessuna soddisfazione e avreste ragione, se non fosse per l’offerta di missioni secondarie a disposizione che conferiranno al tutto quel pizzico di varietà d’obbligo in un titolo dal ritmo così lento e compassato. A dir la verità ogni missione è secondaria giacché non esiste alcun tipo di trama nel gioco, tuttavia nell’economia generale queste tasks faranno in modo di rendere le nostre partite più corpose e interessanti, ad esempio individuando un animale leggendario o rintracciando cacciatori scomparsi per salvarli da una possibile morte.

Il sunto di tutto ciò è comunque un’esperienza simulativa di livello che non ha nulla da invidiare ad esponenti più blasonati ed eticamente legittimati, anche al netto di alcuni bug più o meno gravi che sono occorsi durante la nostra prova ma che non scalfiscono la solida struttura ludica offerta che, oltre all’intenso single player, garantisce anche una componente multiplayer che permetterà di organizzare battute di caccia in compagnia e condividere quel pizzico di senso di colpa che accarezzerà il nostro animo, almeno per un po’.

Alla cura per il gameplay si affianca poi un’eccellente lavoro sul fronte grafico ed artistico: a prescindere dalla mappa che sceglierete come setting di gioco, theHunter regala delle ambientazioni spesso mozzafiato, con panorami e viste degne di un’istantanea che mostrano ampiamente la cura riposta nel ricreare ambientazioni virtuali fedeli e comprimarie d’eccellenza. Non sono poi da meno gli animali, tutti animati con dovizia di particolari estetici ma anche comportamentali. Chiude il tutto una colonna sonora non particolarmente originale ma funzionale, che accompagna dolcemente il nostro peregrinare in cerca di una nuova preda di cui vantarsi con gli amici.

Verdetto

Sotto il profilo strettamente ludico, theHunter: Call of the Wild è un simulatore di qualità con poche imperfezioni, capace di offrire un’esperienza di spessore godibile ed appassionante. Qualcuno potrebbe dissentire sulla sua moralità ed eticità, ma per quel che ci riguarda preferiamo non entrare in merito a tutto ciò e restare alla analisi del gioco in quanto tale.

Se questo gioco vi intriga…

Non essendoci una concorrenza agguerrita nei giochi di caccia, ci sono venuti in mente due titoli da consigliare: il primo è Red Dead Redemption 2, che offre un sistema di caccia incredibilmente solido e corposo. Il secondo è Sniper Elite 4, un titolo dai ritmi cadenzati ma estremamente valido, sebbene si tratti di tutt’altro tipo di “prede”.

 

Francesco Paternesi
Pur essendo del 1988, Francesco non ha ricordi della sua vita prima del ’94, anno in cui gli regalarono un NES: da quel giorno i videogiochi sono stati quasi la sua linfa vitale e, crescendo con loro, li vede come il fratello maggiore che non ha mai avuto. Quando non gioca suona il basso elettrico oppure sbraita nel traffico di Roma. Occasionalmente svolge anche quello che le persone a lui non affini chiamano “un lavoro vero”.