Decenni prima del restyling e della rinascita con Michael Bay, i Transformers dominavano gli anni ottanta. Un viaggio tra Occidente e Oriente, alla scoperta dei primi Autobot e Decepticon

L’Universo dei Transformers ha vissuto ere completamente diverse. Tra recente passato, presente e albori il franchise ha subito, nomen omen, trasformazioni che ne hanno rimodulato e riscritto in continuazione l’identità. Un percorso che negli ultimi tredici anni ha conosciuto il remunerativo cinema ipercinetico e ipertrofico griffato Michael Bay, poi stemperato nei toni e nei modi dal meno fortunato retcon Bumblebee.

I Transformers hanno saputo intercettare ed appagare le fantasie di generazioni differenti, amanti di questo mirabolante connubio tra mezzi di trasporto e robottoni.

Michael Bay è riuscito nell’ostico intento di dare nuova linfa ad un franchise che sembrava ormai avviato verso il viale del tramonto e il nuovo millennio ha riscritto ex novo la storia di eroi fatti di metallo e virtù morale. Ma il presente e il passato prossimo hanno contorni e ombre ancora facilmente visibili. Per capire la vera essenza dei Transformers e per comprenderne l’origine bisogna fare un salto nel tempo. Un balzo di trentacinque anni. Nel cuore degli anni ottanta.

Come nascono i Transformers

In realtà questa storia inizia ancora prima ed è il racconto di un incontro commerciale e culturale atipico. Un valzer tra occidente e oriente, in cui a danzare sulle note del consumismo sono Giappone e Stati Uniti.

Nel 1923 tre fratelli polacchi ebrei Herman, Hillel e Henry Hassenfeld fondarono la Hassenfeld Brothers, poi conosciuta come Hasbro. La società di giocattoli divenne famosa grazie alla produzione di Mr. Potato Head. Ma i Transformers poco hanno a che vedere con la patata antropomorfa smontabile che ben conosciamo grazie alla saga di Toy Story.

I prodromi della creazione del brand iniziano a cavallo degli anni settanta, in cui la Hasbro spopola con la messa in commercio dei G.I. Joe, action figures che dovevano essere la risposta maschile alle Barbie della rivale Mattel.

Gli eroi americani, la cui eccessiva impronta militaresca fu ridimensionata dopo la guerra in Vietnam virando più verso il lato adventure, spopolarono e i due terzi delle entrate della Hasbro derivavano dal commercio de G.I. Joe, l’”America’s Movable Fighting Man”.

Ed è qui che inizia l’asse ludico nippoamericano. Nei primi anni ’70 le case produttrici di giocattoli giapponesi vivono un boom economico iniziato nel periodo post bellico. Si gioca e si sogna per dimenticare le atrocità della guerra, che viene ripensata e re immaginata in chiave fantasiosa e infantile. Proprio in quest’ottica la Takara importa nella terra del Sol Levante la linea di giocattoli G.I. Joe. In quel periodo però gli anime con protagonisti i mecha vanno per la maggiore e la Takara apporta delle modifiche alle action figures statunitensi. Il nuovo ibrido robot/umano viene denominato Henshin Cyborg: parti del corpo dei nuovi eroi sono trasparenti e si intravedono parti meccaniche. I bambini giapponesi apprezzano questa trovata ma sono turbati dalle dimensioni eccessive dei giocattoli.

La Takara corre ai ripari e nel 1974 inventa una nuova linea di giocattoli, chiamata Microman. Tra i personaggi di questa nuova creazione c’è anche il futuro Jeeg Robot d’acciaio. Ma questa è un’altra storia.

I Microman invadono i negozi e le case nipponiche e la Takara nel 1980 riduce ancora di più le dimensioni delle action figures umanoidi, riducendoli ad appena tre centimetri. I non più possenti eroi devono affrontare un popolo alieno con le fattezze di insetti e per farlo usufruiscono dell’ausilio di veicoli trasformabili in robottoni. Inizialmente i mezzi erano astratti e fantascientifici, poi assumono le sembianze di mezzi di trasporto reali. Ed è qui che viene creata la serie Diaclone Car Robots. Dove fa la sua comparsa un camion rosso e blu. Che presto diventerà leggenda.

Tra Oriente e Occidente

Si torna in America. I mezzi di trasporto trasformabili in robot arrivano sulle scrivanie dei dirigenti dell’Hasbro. Il progetto Takara piace e si intravede un grosso potenziale anche per il mercato a stelle e strisce. In un’ulteriore scambio commerciale i due colossi dei giocattoli si accordano per dar vita ad un nuovo progetto ibrido. I nuovi action figures vengono denominati Transformers e uniscono due linee della Takara; i CarRobots dei Diaclone e i MicroChange dei Microman. In più la Hasbro attinge anche da altre aziende: ne è un esempio Jetfire, che si ispira a Valkyrie di Macross-Robotech.

transformersRispetto ai giocattoli giapponesi la Hasbro fa una grossa modifica: vengono eliminati i piloti umani. I nuovi robot hanno vita propria e presentano un adesivo che ne indica la fazione. Bastava sfregare questo simbolo per indicare da che parte stava il robot: Autobot e Decepticon.

Come successo nel 1981 alla Mattel con Masters of the Universe, il progetto ludico era incredibile, dettagliato, colorato e dal potenziale immenso. C’era un ma. Quei robot/mezzi di trasporto si muovevano in un mondo indefinito, piatto, senza profondità. Ai Transformers serviva una storia.

Per dare un contesto e una credibilità narrativa ai Transformers, l’Hasbro contatta la Casa delle Idee, gli ideatori numero 1 di storie e mondi. La Marvel.

Il compito di creare quella profondità espositiva che mancava e una trama valida venne affidato a Jim Shooter. Al veterano Dennis O’Neil, sceneggiatore ex DC Comics e autore di numerose storie di Spiderman, viene invece chiesto di dare un nome ai primi Transformers. Il lavoro di O’Neil non piacque però ai piani alti della Hasbro e furono chieste numerose modifiche. O’Neil si rifiuta e i nomi dei 28 Transformers che componevano la serie originale vengono dirottati a Bob Budiansky, sceneggiatore e disegnatore Marvel, che qualche anno prima si dilettava con le copertine di Ghost Rider.

In una settimana Boudiansky crea tutti i nomi e viene portato in trionfo dalla Hasbro, che promuove in toto il suo lavoro.

Negli anni successivi Boudiansky rimaneil creatore numero 1 dei nomi e personalità dei Transformers e ben 250 tra Autobot e Decepticon devono a lui la loro robo-esistenza. Tutti tranne uno. Optimus Prime, che fu ideato da O’Neil, sulla base del suo antenato nipponico.
Oltre ai giocattoli nel maggio 1984 viene lanciato un fumetto, ovviamente distribuito dalla Marvel Comics, formato inizialmente da 4 albi ma presto destinato a diventare una serie regolare.

Il successo del fumetto convince la Marvel ad andare oltre la carta stampata e a proiettarsi nel mondo televisivo. La Marvel Productions con la coproduzione della casa di animazione Sunbow nel settembre 1984 lanciano la serie animata dei Transformers. E fu subito un trionfo.

transformers

Una serie epica

Dal punto di vista narrativo le idee e le trovate di Boundiansky vengono stravolte, per dare ancor più brio alla componente action. L’artista giapponese Shōhei Kohara viene  assunto per creare i primo modelli dei Transformers. Il disegnatore, che lavorava precedentemente proprio alla Takara, umanizza i tratti dei robot per poterli rendere personaggi dotati di carattere e personalità. Le bozze e i primi lavori di Kohara vennero poi modificati da Floro Dery, che viene messo subito a capo del progetto. Le influenze giapponesi che aleggiano sui Transformers sin dall’inizio continuano grazie alla Toei Animation e alla Tokyo Movie Shinsha che si occuparono dell’animazione del cartone.

Inizialmente viene ideata una puntata pilota, composta da tre episodi. La miniserie va in onda per la prima volta il 17 settembre 1984. Nel prologo di quella che diventerà una saga di quasi 100 episodi, si vedono gli Autobot di Optimus Prime e i Decepticon di Megatron fuoriuscire dalla loro metallica terra natia, Cybertron, alla ricerca di nuove fonti di energia.

Le due fazioni terminano infine sulla Terra, dove rimangono sepolti e spenti per oltre quattro milioni di anni. Nel 1984 improvvisamente si risvegliano grazie all’esplosione di un vulcano e i Decepticon iniziano a depredare e saccheggiare le fonti energetiche della Terra. Gli Autobot, aiutati dagli umani Sparkplug e Spike Witwicky cercano a tutti i costi di sventare la minaccia per proteggere la terra. La prima miniserie dei Transformers si conclude con l’apparente morte dei Decepticon, il cui incrociatore spaziale sprofonda nell’Oceano, e con il ritorno a Cybertron degli Autobot.

In italiano le due fazioni vengono denominate Autorobot e Distructor.

Ancor prima di mandare in onda la miniserie pilota, viene commissionata e prodotta una prima stagione di tredici episodi. Creata dalla Marvel e supervisionata da Bryce Malek e Dick Robbins la serie inizia con la rivelazione della mancata morte dei Decepticon, che cercano così di creare un ponte spaziale per portare le risorse terrestri su Cybertron. Gli Autobot vengono aiutati dall’esperto di tecnologia Chip Chase, che si unisce a Spike e Sparkplug per difendere la terra.

Vengono introdotti nuovi personaggi, tra Skyfire, Dinobots e Insecticons e il primo team “combiner”, i Constructicons , che creano il robot gigante, Devastator, che viene introdotto nella serie durante il duello clamoroso tra Optimus Prime e Megatron con cui si conclude la stagione.

Nel 1985, sull’onda dell’entusiasmo, viene lanciata la seconda stagione, contraddistinta da ben 49 episodi. All’aumento di puntate consegue un approccio differente, che persegue una verticalità narrativa, invece della orizzontalità con cui veniva dipanata la trama nella prima stagione. Gli episodi diventano procedurale e sono di fatto un mezzo per lanciare nuove action figures dei Transformers. Ogni puntata infatti vede protagonista un nuovo Autobot e Decepticon. In particolar modo l’episodio Dinobot Island, diviso in due parti, serve per lanciare innumerevoli nuovi personaggi, mutuati dalla linee Takara dei Diaclone. Incomprensioni legali con la Bandai invece rendono impossibile l’inserimento nella serie di Skyfire, che viene così eliminato.

Nel finale di stagione vengono inserite nuove forme combinate:gli Aerialbot, gli Stunticon, i Protectobot e i Combaticon.


Tra la seconda e terza stagione viene ideato un lungometraggio, distribuito nelle sale nel 1986. Ambientato nel 2005, venti anni dopo gli eventi della seconda stagione il film sconvolse l’intera fanbase, narrando la morte di buona parte dei personaggi del cartone, tra cui lo stesso Optimus Prime. Viene così presentato un cast nuovo, capitanato dal giovane Hot Rod Rodimus Prime, il nuovo leader degli Autobot, che affronterà il divoratore di mondi Unicron.

In Italia il film non uscì mai nelle sale e fu trasmesso direttamente sul piccolo schermo su Odeon TV, nel 1986. Quando ormai era già andata in onda la terza stagione, che però inizia proprio dove finisce la pellicola!

Nei trenta episodi che formano il terzo blocco narrativo gli Autobot riprendono il controllo di Cybetron e tentano di portare la pace nel resto della galassia. I Decepticon invece si trovano in esilio a Chaar, sotto la guida di Galvatron. La stagione vede una miriade di piccoli archi narrativi, uniti da episodi interconnessi. Vengono reintrodotti gli alieni Quintessons, visti nel film, minaccia per entrambe le fazioni. Inoltre sono approntate diverse modifiche estetiche, studiate ad hoc dal produttore Nelson Shin e dal nuovo studio animazione gestito dai sudcoreani della Akom.

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Nonostante la grande mole di nuovi spunti e personaggi, il pubblico è ancora scosso e turbato dalla morte improvvisa da Optimus Prime.

La Hasbro così accontenta i propri spettatori, facendo resuscitare il leader degli Autobot nel finale di stagione, in due episodi chiamati appunto “Il ritorno di Optimus Prime”.

I Transformers 1.0 vedono il proprio de Profundis nel 1987, quando vengono mandati in onda tre episodi, che formano la miniserie “The Ribirth”, ambientata nel mondo alieno di Nebulos. In questa cortissima quarta stagione i nebuliani erano in grado di unirsi provvisoriamente ai Transformers e creare un ibrido alieno-robotico.

Come un cerchio che si chiude. Umanoidi e robot si fondono, come negli antenati nipponici, che hanno dato vita a questo scambio di idee tra Occidente e Oriente. In un vortice culturale in cui i robot vegliano su di noi.

Leone Auciello
Secondo la sua pagina Wikipedia mai accettata è nato a Roma, classe 1983. Come Zerocalcare e Coez, ma non sa disegnare né cantare. Dopo aver imparato a scrivere il proprio nome, non si è mai fermato, preferendo i giri di parole a quelli in tondo. Ha studiato Lettere, dopo averne scritte tante, soprattutto a mano, senza mai spedirle. Iscritto all'Ordine dei giornalisti dal 2006, ha collaborato con più di dieci testate giornalistiche. Parlando di cinema, arte, calcio, musica, politica e cinema. Praticamente uno Scanzi che non ci ha mai creduto abbastanza. Pigro come Antonio Cassano, cinico come Mr Pink, autoreferenziale come Magritte, frizzante come una bottiglia d'acqua Guizza. Se cercate un animale fantastico, ora sapete dove trovarlo.