Il viaggio non finisce mai. Solo i viaggiatori finiscono.

Quando arrivarono i titoli di coda di Uncharted 4, poco più di un anno fa, le sensazioni che mi pervasero furono diverse. Da un lato la felicità di aver concluso un’avventura bellissima e intensa che, per altro, per motivi di lavoro avevo portato a termine con un rush durato due interi giorni, vissuti al cardiopalma così come il gioco meritava. Dall’altra un senso di amarezza e sconforto, come può farsi strada nella mente di chi perde o lascia andare un vecchio amico, conscio che forse non lo si vedrà mai più. L’amarezza del tempo che passa, delle vite che vanno avanti. Un sentimento che spesso si fa strada attraverso le esperienze indirette, forse meno dolorose, ma non per questo meno significative. Vedere crescere Nathan Drake mi ha ricordato quanto tempo fosse passato (10 anni per la precisione) e quanto quel tempo fosse trascorso in fretta. Cresciuto Nathan, insomma, sono cresciuto anch’io, che nel passaggio all’età adulta, come per Mr. Drake, mi sono perso in saluti, commiati, ricordi. Ho visto in Uncharted 4 forse più di quanto questi volesse realmente dirmi e forse, proprio per questo, alla fine di quella quindicina di ore sentii forte uno schiaffo colpirmi la faccia. Per me Uncharted 4 finiva così, in quello che più che un addio era una celebrazione della vita e del successo di Nathan Drake. Un elogio al tempo che passa bene, e non te lo fa pesare.

Oggi, a poco più di un anno di distanza, Nathan non torna, ma ritorna il brand di Uncharted che mettendo da parte le sorti dei fratelli Drake, decide di guardare altrove, concentrandosi su di un cast completamente femminile composto dalla bella e conturbante Chloe Frazer e dall’inattesa spalla di Nadine Ross, la granitica e scontrosa mercenaria che proprio durante gli eventi di Uncharted 4: Fine di un Ladro aveva dato filo da torcere alla famiglia Drake. Un avviso, viaggiatori, è a questo punto doveroso: a chiunque si aspetti un banale Uncharted in gonnella fatevi da parte, perché Uncharted: L’Eredità Perduta ha un suo fascino ed una sua dignità e compie una scelta forse banale, ma comunque coraggiosa, mettendo alla prova non tanto il giocatore ma la solidità stessa della sua essenza. Il risultato, neanche troppo banalmente, è sorprendente. Il perché, ve lo dirò solo alla fine.

Vighneshvara

Ambientato poco dopo i fatti di Uncharted 4, L’Eredità Perduta sceglie dunque di concentrarsi su quelle che, ad oggi, erano una comprimaria ed un’antagonista. Compiendo una scelta strana che, almeno all’inizio dell’avventura, vi lascerà un po’ spiazzati. Arrivata in India per motivi che, all’inizio, non saranno meglio specificati, Chloe si imbatterà subito in un clima di guerra civile in cui un gruppo di ribelli capitanati da un certo Asav, si scontra quotidianamente con la milizia locale, in quello che è un focolare che parrebbe più acceso che mai. Proprio in India, e proprio nel bel mezzo del conflitto, la Frazer avrà appuntamento con un aggancio sul posto, la cui strada verso l’incontro farà un po’ da tutorial per le meccaniche di base, più almeno un paio di novità. Il contatto, neanche a dirlo, si scoprirà essere Nadine Ross, la burbera ma cazzutissima mercenaria che avevamo avuto il “piacere“ di incontrare nel corso della precedente avventura, e qui arruolata proprio da Chloe con la promessa di dividere a metà un prezioso bottino: la zanna di Ganesh. Un manufatto leggendario, ultimo lascito della civiltà Hoysala, e in qualche formula eredità spirituale del padre di Chloe che aveva passato l’intera vita da archeologo alla sua ricerca. Fatta la conoscenza di Asav, dietro la cui causa di ribellione sembrerebbe nascondersi uno smercio clandestino di manufatti antichi, Chloe e Nadine partiranno alla ricerca della zanna, in quello che è un viaggio che le condurrà nel cuore della giungla indiana e dentro sé stesse.

“Il viaggio non finisce mai. Solo i viaggiatori finiscono. E anche loro possono prolungarsi in memoria, in ricordo, in narrazione. Quando il viaggiatore si è seduto sulla sabbia della spiaggia e ha detto: “Non c’è altro da vedere“, sapeva che non era vero. La fine di un viaggio è solo l’inizio di un altro.”

(José Saramago)

Uncharted: l’Eredità Perduta comincia in modo strano, quasi sottotono. L’incedere è inizialmente lento, e sono certo che passerete i primi minuti di gioco a chiedervi quando farà la sua comparsa Nathan, nascosto magari dietro l’angolo sotto le vesti di amico o momentaneo compare. Non è un peccato, è semplice eredità. Vi sembrerà infatti difficile staccarvi dal pensiero di giocare Uncharted senza il suo eroe, senza il suo beniamino, ma poi, pian piano, tutto cambia, ed anche quello che è un pretesto molto banale (la tipica ricerca, del classico artefatto perduto) compie un giro lento per diventare qualcosa di più: una storia di origini, o se volete di crescita. In tal senso Nathan non avrebbe poi avuto molto altro da raccontarci, salvo l’improvviso ritorno di un altro parente mai citato prima. Chloe e Nadine, invece, sono quasi due personaggi inediti, vissuti sino a ieri con una certa approssimazione, e oggi più che mai pronte per raccontarci qualcosa di loro stesse. Bisognose tanto di un percorso che faccia per loro da introduzione ma anche da evoluzione e crescita, il viaggio imbastito per cercare la zanna di Ganesh diventa quindi più una scoperta di sé stesse che del manufatto in sé. Una scoperta che le ragazze compieranno insieme a noi, proprio durante gli eventi di questo particolarissimo episodio. L’Eredità Perduta compie più o meno gli stessi passi de La Fine di un ladro, e punta ad una certa narrativa, ben nascosta tra le vertiginose strutture nascoste nella giungla, e le scapicollate fughe miste ad esplosioni. Tra le righe di codice di eventi scriptati, tra le sparatorie forsennate vissute in continuo movimento, c’è spazio anche qui per una storia. Con un lascito meno triste, sia chiaro, ma comunque abbastanza sostanzioso da permettere ai personaggi che vivono l’avventura di compiere un passo in avanti. Chloe e Nadine, in tal senso, prendono spessore e profondità. Da avatar atti ad uno scopo semplice, com’era per le loro origini digitali, diventano attrici poligonali in tutto e per tutto. Personaggi che hanno finalmente qualcosa da dire e che vivono, entrambe, un dramma personale legato a doppio filo con il tema del gioco: l’eredità, il rapporto genitoriale, il peso della memoria paterna, e, infine, la redenzione.

Curioso come a tutto ciò sia legata la figura del dio Ganesh, personaggio a dir poco centrale nella narrazione che, come le ragazze, visse un profondo confronto con l’eredità genitoriale. Ganesh, archetipo di molteplici significati e simboli, è tra le varie l’equilibrio perfetto di forza e dolcezza, di tradizione e cambiamento, di coraggio e illuminazione. Aspetti che, quasi semioticamente, si adattano in modo perfetto alla filosofia del gioco, che con coraggio sceglie di staccarsi dalle radici della famiglia Drake per guardare altrove. Come a dire che Uncharted può esistere anche senza Nathan, fintanto che avrà qualcosa da dire, da raccontare, finché sarà tutto sviluppato con cognizione di causa. Una scelta coraggiosa, non c’è dubbio, che molti brand di successo non avrebbero avuto il coraggio di accollarsi, e basti pensare a titoli parimenti iconici giocati “in casa” come God of War che, senza il suo Kratos, non ha avuto il coraggio di andare avanti. Il che non è una critica, s’intende, ma una constatazione e una lode all’evidente coraggio.

Anche in questo Naughty Dog si dimostra di una competenza certosina. Le connessioni tra significanti e significati sono alla portata di tutti, eppure se ne stanno lì, nascoste, occasionalmente richiamate e mai realmente spiegate. Intendiamoci, non si tratta di nulla di rivoluzionario, ma mai come in questa occasione si ha la sensazione che la profondità dei personaggi vada di pari passo con la risoluzione del mistero della leggendaria Zanna di Ganesh. E più si incede nella trama, più scopriamo sulla divinità, più di pari passo capiamo il senso del viaggio delle due improbabili co-protagoniste che, inizialmente mosse per mera avidità, finiranno poi per dirci qualcosa di molto più profondo e concreto. La bontà de L’Eredità Perduta è anche qui. Offrendoci un’avventura fortemente story driven, ma mascherandola all’inizio con una certa e bonaria semplicità sicché, alla fine del giro di giostra, ci troveremo sorprendentemente soddisfatti, complice anche il funzionale incastro con la trama verticale della serie che, in qualche misura, ci spiega anche il perché si sia scelto di parlare di Chloe e Nadine in virtù della più gettonata (e per certi versi desiderata) accoppiata Sam & Sully (chiaro che non dovrete comunque aspettavi chissà quale volo pindarico). Per certi versi, dunque, si riprende quel simbolismo che aveva già caratterizzato la trama di Uncharted 4, così frastagliata, a tratti rilassata, ma così efficace nel dire e non dire, lasciando che sia il giocatore, dal suo piano di lettura, a comprendere o meno quel che davvero il gioco vuol comunicare. Una scampagnata archeologica per alcuni, un piccolo momento di approfondimento per altri, una riunione tra amici per altri ancora.

“Un elefante ha, di norma, due zanne. Anche la mente propone spesso due alternative: quella buona e quella cattiva, l’eccellente e l’espediente, il fatto e la fantasia che la porta fuori strada. Per fare qualsiasi cosa, la mente deve comunque diventare determinata. La testa di elefante del Signore Ganesha ha quindi una sola zanna per cui Egli è chiamato “Ekadantha”, che significa “Colui che ha una sola zanna”, per ricordare ad ognuno che si deve possedere la determinazione mentale.”

(Sathya Sai Baba)

Vighna Vinashaka

Uncharted: L’Eredità Perduta è quindi Uncharted in tutto e per tutto. Nathan Drake o meno, Naughty Dog compie una scelta coraggiosa, quasi un test, per verificare quanto e se sia possibile portare avanti una storia senza il suo protagonista. Sorprendentemente tutto funziona, è al suo posto, e seguendo più o meno il tracciato di Uncharted 4, L’Eredità Perduta offre al giocatore un’avventura dal ritmo molto più sincopato che in passato, ad uso e consumo di una trama che, per quanto lineare, permette persino qualche divagazione opzionale, ad uso e consumo di un certo completismo, s’intende, ma comunque perfettamente in linea con quella che è l’evoluzione compiuta dal brand lo scorso anno. In tal senso, L’Eredità Perduta non compie però alcun passo avanti, semplicemente cementifica quell’idea che Uncharted sia sia spostato verso un modo diverso di raccontare sé stesso e, come dicemmo qualche tempo fa, per certi aspetti maturato dall’esperienza di The Last of Us. Un salto in avanti che, ricordiamolo, la serie ha compiuto solo lo scorso anno, dopo 4 capitoli piuttosto statici dal punto di vista narrativo e che pertanto, nonostante la breve distanza tra i due episodi (perché sì gente, questo è uno spin off in tutto e per tutto) non dà al giocatore un senso di stucchevolezza, ma anzi una piacevole soddisfazione. Questo percorso si ripercuote ovviamente anche sul gameplay, che come per Uncharted 4 si dimostra più vario che in passato e, soprattutto in certe situazioni, molto meno lineare e più esplorativo. Similmente alla celebre sezione africana di Uncharted 4, L’Eredità Perduta ci offre infatti uno scorcio indiano assolutamente affascinante, in cui la natura rurale lascia spazio ad antiche rovine ed a molti misteri opzionali, che il giocatore potrà esplorare liberamente a bordo della propria jeep, in quella che è un’area dal vago sapore open world.

Più vasta che la sezione africana, e certamente molto più densa di segreti e zone opzionali, l’area dei Ghat occidentali è un momento che va respirato a pieni polmoni. Per quanto del tutto sovrapponibile a quanto giocato in Uncharted 4, è l’ennesima prova della perizia del team di Naughty Dog nel mettersi alla prova con sfide sempre più articolate e complesse. Il level design, in tal senso, è almeno una spanna superiore a quanto giocato nel cuore d’Africa, e presenta al giocatore percorsi inediti e complessi, e soluzioni che, per quanto riviste, riescono nel loro piccolo a non avere un sapore stantio. Il trucco è semplice: L’Eredità Perduta si offre come un crocevia tra lascito e rinnovamento, divertendosi spesso a citare il suo passato per il gusto di ricollegarsi ad esso, per ricordare al giocatore che sì, questo è Uncharted, e che non serve preoccuparsi troppo per la mancanza di Nathan Drake. Al contempo però perfeziona piccole meccaniche, rivedendo ad esempio l’ampiezza e il numero dei percorsi affrontabili in jeep, ponendosi agli antipodi del viaggio africano che disponeva, semplicemente agli antipodi della sua mappa, i pochi e sparuti punti di interesse extra trama. Qui è tutto più denso e meglio disposto, regalando una sensazione di esplorazione forse più autentica e definita.

Questa sensazione si ripercuote non solo nella commistione tra libertà esplorativa e percorsi scriptati, non solo tra quel che abbiamo giocato in passato (compresi gli enigmi, qui ce ne sono almeno un paio che vi faranno perdere ben più di qualche minuto… a differenza di Uncharted 4 aggiungeremmo) e quel che stiamo giocando, ma anche nelle piccole velleità che cercano di rendere diverso il gameplay pur restando in qualche formula fedele a sé stesso. E dunque, quelle che sono le situazioni tipiche della serie, tra inseguimenti, sparatorie ed esplosioni sono tutte qui, ad uso e consumo del giocatore, ed a queste si aggiungono piccole differenze, forse marginali, ma comunque ottime per diversificare quel tanto che occorre l’approccio al gioco.

Ganapathi

Le sezioni di combattimento sono forse l’esempio più lampante di questo particolare approccio tra passato e presente. Nulla vi vieta di vivere Uncharted come avrebbe fatto il buon vecchio Nathan nel corso della sua prima avventura, quando alla ricerca di El Dorado sparava ai nemici senza troppo pensarci, lasciando che il gioco fosse un tripudio di caos ed esplosioni. Ancora una volta tutto ciò è possibile e regala anche una certa soddisfazione, complice le competenze dei nemici che, sin da subito, si dimostrano più numerosi, ostici e meglio equipaggiati che in passato, quasi a voler scoraggiare una carica a testa bassa. Archiviato l’approccio esplosivo, scopriremo quindi un nuovo approccio stealth, non pulitissimo, ma rifinito quel tanto che basta da regalare qualche soddisfazione. I nemici, in primis, sono molto più attenti che in passato, specie ai cadaveri, che li mandano subito in uno stato di fremente allerta. Il loro cono visivo è più preciso, e si accorgono ora anche della nostra jeep, seppur questa è lasciata abbastanza distante dal campo. La loro ronda è più ampia, e il loro raggruppamento tattico più efficiente. Aggirano, ci accerchiano e ci martellano come possono per stanarci il che rende gli scontri forse al top della serie. Ovviamente chiunque cerchi un approccio bellico anche solo paragonabile, per dire, alla serie Metal Gear Solid (giusto per citare un TPS più tattico della media) resterà deluso. Questo è pur sempre Uncharted, ma con dei nemici un po’ più competitivi e lesti. Questi ultimi, inoltre, godranno adesso di un indicatore che ci chiarirà il loro status, uno scudo colorato di grigio posto sulle loro teste si andrà riempiendo quando avranno il dubbio di averci scovati e se questo si riempirà del tutto diventerà giallo, avviando la ricerca, e rosso qualora ci scovassero. Il bello è che nulla ci vieterà di nasconderci in qualche modo, azzerando l’allarme e riportandoci in fase steatlh. Una fase che può essere giocata non solo grazie alle coperture, ma anche per mezzo dell’erba alta, grande introduzione di questo capitolo, che permette di avvicinarsi ai soldati senza farsi vedere, ed a prescindere dal tipo di pattugliamento. Il tutto ricorda un po’ le zone di caccia introdotte con Assassin’s Creed III e poi sublimatesi in Assassin’s Creed IV: Black Flag, e in effetti l’uso è lo stesso. L’erba alta ci tiene nascosti e da essa potremo aggredire i nemici, il tutto per ripulire l’area in gran silenzio. Così come potremo, allo stesso modo, utilizzare pozze d’acqua profonda per nuotare liberamente sotto la superficie e restare nascosti, dando così ad Uncharted un nuovo fascino ed un nuovo modo di giocare.

Il bello di questa faccenda è che tutto ciò è concepito con una perizia invidiabile per il level design, che offre scorci sempre complessi e, ovviamente, fortemente tendenti a quella verticalità cui la serie ci ha abituati. In questo contesto i livelli non possono essere mai vissuti staticamente e obbligano il giocatore a muoversi di continuo, approccio stealth o meno. Se per le sezioni sparacchine tutto ciò significa semplicemente affrontare gli scontri con quella frenesia tipica della serie, per le sezioni stealth (ricordiamolo: sempre opzionali) ciò significa che non potrete starvene fermi tra le fronde, comodamente nascosti, ma che prima o poi dovrete arrampicarvi, salire scale, saltare in acqua o lanciare una corda (ebbene sì, il rampino è tornato), mostrandovi, per quanto sgradevole, alla vista nemica.

Il tutto funziona bene, il gameplay è avvincente e, per la prima volta nella serie, potrete persino superare intere sezioni story driven senza che un colpo venga esploso, persino nelle battute finali del gioco, in cui sembrerebbe non esserci altra soluzione che la sparatoria. Ovviamente ci sono ancora dei limiti, imposti per lo più dallo stile fracassone della serie, ma L’Eredità Perduta riesce a far anche meglio del suo predecessore, raffinando quelle dinamiche che in La Fine di un Ladro erano appena accennate, e che sono qui parte integrante del gameplay.

Molto interessante è anche l’interazione tra Chloe e Nadine che collaborano in modo funzionale e preciso per la buona riuscita della missione. Avere un partner IA, per Uncharted, non è una novità, ma mai nessuno era stato efficiente e preciso come Nadine seppure, questo ci dispiace, la mercenaria soffra di quella che ci piace chiamare “la sindrome di Ellie”. Come per The Last of Us, anche Nadine, infatti, spesso commina tra i nemici senza allertarli o senza conseguenze, fintanto ovviamente che Chloe è nascosta. Un dazio ancora da pagare in questa tipologia di adventure, ma che comunque non può non far ancora storcere il naso. Al di la di ciò, c’è un’evoluzione nei personaggi notevole, che li rende un po’ meno piatti e monocromi, e più schietti e particolari. Non solo, le caratteristiche delle due ragazze, toniche, agili e leggere, le rendono anche particolarmente intriganti dal punto di vista del corpo a corpo. Quest’ultimo non è più un’opzione casuale, ma può diventare una scelta molto efficiente nel corso degli scontri, con tanto di combinazioni improvvisate di colpi tra le due protagoniste. Ovviamente Uncharted non è diventato un picchiaduro a scorrimento, ma questa “fisicità”, per altro già accennata in Uncharted 4, complici le ben note doti marziali di Nadine, è evidenziata con gusto dal gioco, che offre di tanto in tanto l’occasione per menare le mani, tra pugni, calci e persino schivate da boxeur.

Forse l’unica leggerezza è data dall’introduzione di un sistema di scassinamento delle serrature, nulla più che un minigame semplice e banale per aprire delle scatole opzionali da cui rivenire munizioni e poco più. L’introduzione si sposa molto bene con il personaggio di Chloe, gatta ladra per antonomasia, ma lascia un po’ il tempo che trova e l’idea che sia stato messo su in modo un po’ approssimativo non vi abbandonerà quasi mai. Per “quasi” si intendono quei momenti in cui occorre aprire rapidamente della casse senza esser visti per motivi imposti dal gioco, ma in tutta l’esperienza le occasioni concrete saranno solo 2, legate per altro a due divertenti e atipiche boss battle.

Ūrdhva Gaṇapati

Dal punto di vista tecnico, Uncharted: L’Eredità Perduta segue la linea del suo predecessore, senza evidenti balzi in avanti ma con la stessa certosina qualità. A chi si aspettava un “riciclone” di forme e colori dovrà ricredersi, la ricerca stilistica, architettonica e cromatica effettuata dal team per adattarsi all’atmosfera indiana è impressionante. Architetture imponenti si mescolano con la natura selvaggia, e per certi versi, L’Eredità Perduta è una spanna sopra Uncharted 4 in termini di magnificenza architettonica. Si torna infatti alle statue giganti, ai riti mistici, ai fasti delle culture e dei miti perduti. Abbiamo adorato Libertalia, e la lussureggiante bellezza dei scorci tropicali, ma le strutture e gli scorci offerti da questo episodio, a nostro dire, sono tra i migliori del gioco, specie quando se ne possono apprezzare i fasti nascosti o, se vogliamo, le differenze che ne caratterizzano l’essenza. Luce e ombra, eredità perdute ed eredità ritrovate, le architetture ed i colori di questo episodio vivono un alterco perenne, tra il rigoglioso e il morente, il chiaro e lo scuro, in quello che è un manicheismo architettonico e cromatico invidiabile. Un lavoro che forse non sarete in grado di apprezzare da subito, ma che potrete poi ammirare, in parte della sua bellezza, per mezzo dei numerosi bonus presenti nella home del gioco tra cui, ovviamente, numerosi schizzi preparatori e art work. S’intende che sulla stessa scia viaggiano i modelli: maestosi, curatissimi, praticamente il top per ciò che concerne l’animazione poligonale nel settore. Chloe e Nadine sono dettagliate, sinuose, bellissime. Le espressioni facciali sono superbe e, ancora una volta, il gioco si diverte ad intrigarci con dettagli superflui ma realistici. Capelli che si scompigliano in seguito a sezioni particolarmente concitate, sudore che imperla la pelle o che attacca i capelli al corpo, vestiti e pelle che si sporcano naturalmente e così via. Dal punto di vista tecnico non c’è obiezione che tenga. È Uncharted: superlativo, ammaliante, semplicemente perfetto.

Se difetti ce ne sono, vanno ricercati altrove. In primis, per quanto coerente con quello che è il percorso impostato dal team, è evidente che l’inizio di questo episodio sia veramente il più lento mai sperimentato dalla serie, il che, complice l’iniziale banalità delle tematiche, rende il tutto un po’ privo di mordente. Un ostacolo che deve tenere conto anche del quasi immediato arrivo nella zona ad esplorazione libera, che rende il gameplay ancor più lento nel suo iniziale incedere, per quanto ovviamente intrigante dal punto di vista esplorativo. Diciamo che se per certi aspetti è una mera questione di gusto, per altri è pura oggettività e servirà un po’ perché il tutto ingrani, tanto per il gameplay quanto per la trama. In seconda istanza la durata. A difficoltà media ho impiegato 7 ore per portare a termine la mia avventura. Considerando che ho visitato tutti i luoghi opzionali della mappa aperta e che ho preso oltre la metà dei 100 tesori presenti nel gioco, è evidente che la durata non si attesta ai massimi vertici. Pur vero che il gioco è venduto ad un prezzo molto competitivo, e che in effetti la serie non hai brillato per longevità, ma una durata intorno alle 5 ore (perché tanto basta per portare a termine la trama senza divagazioni) non è il massimo della vita. Va detto che sono 5 ore superlative, e che il titolo è ampiamente rigiocabile grazie molti segreti che vanno reperiti verso la strada del platino. Tra questi non solo i 100 canonici tesori (di cui uno veramente fuori di testa) ma anche i succitati segreti presenti nella mappa aperta, molte conversazioni opzionali e un’inedita collezione di fotografie, che Chloe potrà scattare in certi punti precisi del gioco grazie al suo cellulare. Le foto, come le conversazioni, talvolta possono persino creare situazioni che approfondiscono il rapporto tra le due protagoniste, e questo è certamente un pregio di perizia, ma tant’è; che il gioco duri poco è comunque fuori discussione.

Vijaya Gaṇapati

Prima di concludere dedichiamoci per un momento al comparto online che, come prevedibile, va a sostituire quello di Uncharted 4. In pratica questo episodio gode degli stessi server del suo predecessore, e pertanto avviando la modalità multiplayer godrete dello stesso gioco, così come dei livelli che avevate precedentemente conquistato. L’uscita del gioco è semplicemente l’occasione per dare una svecchiata alla modalità online (per inciso ancora frequentatissima e ricca). L’Eredità Perduta aggiunge quindi un nuovo personaggio (Asav, il villain di questa avventura), nuovi costumi, nuove armi e soprattutto una nuova modalità della sezione Sopravvivenza: L’Arena. Disponibile per tutti il giorno del lancio del gioco, l’Arena Sopravvivenza non è nulla più che l’originale modalità coop stra-giocata ai tempi di Uncharted 2. Non più pirati zombi dunque, ma semplici ondate in stile orda da piallare in uno dei ben noti livelli multiplayer. Data la natura ampia di queste mappe, e la possibilità che oltre alla guerra totale ci vengano proposti altri obiettivi (come caccia al tesoro, o uccisione di nemici specifici), questa modalità si è dimostrata molto ostica, ma anche piacevolmente appagante. Le 10 ondate non sono semplici da portare a termine e richiedono un po’ di pratica e soprattutto una buona squadra, che potrà essere composta con amici e non per un massimo di tre giocatori. Non è qualcosa che varrà il prezzo del gioco, certo, anche perché sarà presto disponibile per tutti, ma è indubbio l’impegno di Naughty Dog nel tenere viva la sua community online, in quello che è forse il più apprezzato e divertente multigiocatore in esclusiva per PS4.

“Om Gam Ganapataye Namaha”

Verdetto

Uncharted: L’Eredità Perduta è un viaggio sorprendente. Nato come DLC del quarto episodio, è in realtà un episodio a sé a tutti gli effetti, tale che può essere goduto anche senza avere idea di cosa sia stata la serie prima di questo episodio. Proprio questo aspetto è forse la comprova che un brand Uncharted può esistere e prescindere da Nathan Drake. La scelta di un cast al femminile e, per certi versi, inedito, rende l’esperimento interessante di per sé. Dietro una certa banalità di intenti, si nasconde in realtà un piccolo racconto di crescita personale. Una storia che partendo da premesse semplici diventa l’occasione per dire qualcosa di nuovo su protagoniste mai così interessate a raccontarci la loro storia. Certo, il tutto è nascosto bonariamente dalla solita caciara tipica del brand, ma resta il fatto che L’Eredità Perduta, come fu per Uncharted 4, ha qualcosa da dire, premesso il giocatore abbia ovviamente voglia di ascoltare. Quella di Chloe è Nadine non è solo la ricerca di un antico manufatto, ma è la ricerca di uno scopo per sé stesse, da troppo incatenate all’eredità della loro genia che, in qualche misura, le ha rese schiave di una involontaria banalità. L’Eredità Perduta è la storia del peso di un fardello. Un fardello pesante, dovuto ad un nome importante. Si era detto “sorprendente”, perché è incredibile come, metatestualmente, il percorso di Chloe e Nadine aderisca alla storia dello dello stesso brand, oggi più che mai orfano di suo padre, Nathan, e bisognoso di trovare un posto nel mondo, conscio di avere sulle spalle il peso di una grande eredità che in qualche formula dovrà fare il suo corso. In questo senso L’Eredità Perduta è una meravigliosa dichiarazione di intenti ma anche, per molti aspetti, l’umana rappresentazione delle paure del team di sviluppo che forse, proprio come Chloe, sa di avere per le mani un lascito prezioso, ma con esso la sensazione oppressiva e la paura che proprio quell’eredità diventi maledizione e rovina. Cosa sarà da oggi in poi lo sa solo Ganesh.