Mutanti.

Odiati e temuti, da sempre gli uomini X devono difendersi dai loro nemici.

Sentinelle, semidei, altri mutanti.

Ma la minaccia più grave è quella rappresentata da Bryan Singer, che sembra fare di tutto per generare il malcontento dei fan e uccidere le speranze dellla Fox di poter competere con il Marvel Cinematic Universe grazie al franchise X-Men.

Chi vi scrive è un’appassionata di X-Men che dopo essere tornata dal cinema ha dovuto somatizzare la bruttura del film abbracciando il suo peluche di Wolverine, quindi scusatemi se non vi parlerò della fotografia e delle scelte prettamente registiche, ma qui i problemi da affrontare sono più grandi.

Dopo Days of Future Past nessuno sapeva cosa aspettarsi: una nuova linea narrativa, nuovi mutanti, più belli e più ggiovani, l’universo tutto che smette di temere l’Homo Superior (credici, sì). Gli unici punti fissi del mondo X sono Wolverine e il pessimo gusto in fatto di abbigliamento di Charles Xavier.

Per non rischiare troppo, quindi, Singer ha deciso di attenersi al plot classico del film supereroistico: cattivone che cerca di distruggere il mondo sconfitto dai tizi buoni. Bene, niente di difficile da gestire, sono vent’anni che il pubblico digerisce lo stesso copione senza che gli venga a noia, cosa può andare storto?

Tutto.

Nonostante la trama sia semplice, oserei dire esile, la necessità di inserire una nuova infornata di giovani mutanti rende le due ore e qualcosa di visione un incubo di storyline frammentate, nessuna delle quali riesce a emozionare. Neanche nei momenti di massima tensione, ormai, siamo in grado di empatizzare con i personaggi sullo schermo. Questo perché il mondo degli X-Men è un esempio pop dell’eterno ritorno nietzschiano.

Magneto che fa la scelta sbagliata, Xavier che cerca di riportarlo sulla retta via, Scott Summers che si innamora di Jean Grey, ancora e ancora e ancora, reboot su reboot, recasting su recasting.

Apocalisse, o En Sabah Nur, che significa il primo in egiziano, è un cattivo potente, ma povero di contenuti: il suo piano è semplicemente distruggere la terra, lasciarla nei mani dei suoi figli, i mutanti. Resta inspiegato il modo in cui convince i suoi cavalieri ad abbandonare tutto e seguirlo; fino a un certo punto ci sentiamo quasi di dargli ragione, nel suo delirio di onnipotenza, ma non ha comunque la potenza di un vero villain.

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Le nuove reclute non presentano delle vere e proprie sorprese.

Sophie Turner nei panni di Jean Grey sarebbe anche credibile, se la sua immagine non fosse irrimediabilmente legata al suo ruolo in Game of Thrones; Psylocke, Angelo e Tempesta non riescono a farsi spazio, compressi come sono nel ruolo di sgherri del cattivo, Nightcrawler sembra al momento il personaggio più centrato, senza dubbio quello di cui hanno curato più la caratterizzazione, tra religiosità e il rapporto quasi materno che instaura con Mystica. Ciclope, beh, Ciclope è sempre un cretino, nessuna novità.

L’impressione generale però, è che questo film sia stato tirato su con poche pretese e un dispendio di effetti speciali eccessivi solo per rilanciare il brand, per inserire nuovi personaggi che però restano bidimensionali. Un film di transizione.

Due parole, all’interno dei dialoghi, mi hanno fatto rabbrividire: secondo avvento.

Non riesco a credere che i prossimi film mutanti possano avvicinarsi a saghe come House of M, Messiah War, Messiah Complex o, appunto, Secondo Avvento. Più che non riuscire a crederlo, voglio sperare che non sia così.

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Il mercato del cinema supereroistico è ancora in crescita, anche se il punto di rottura è sempre più vicino e la qualità dei film, soprattutto per quanto riguarda gli X-Men è a mio parere in fase ascendente. È normale: se la richiesta è alta, la produzione deve aumentare, qualità a discapito della quantità.

Resta solo da capire quanto ancora i fan saranno disposti a tollerare storie create solo per trascinarli al cinema, quando si renderanno conto che un cameo di Hugh Jackman e Stan Lee, due riferimenti comprensibili solo dagli appassionati di fumetti e un richiamo alla Fenice, non bastano a creare un prodotto appassionante.

Angela Bernardoni
Toscana emigrata a Torino, impara l'uso della locuzione "solo più" e si diploma in storytelling, realizzando il suo antico sogno di diventare una freelancer come il pifferaio di Hamelin. Si trova a suo agio ovunque ci sia qualcosa da leggere o da scrivere, o un cane da accarezzare. Amante dei dinosauri, divoratrice di mondi immaginari, resta in attesa dello sbarco su Marte, anche se ha paura di volare. Al momento vive a Parma, dove si lamenta del prosciutto troppo dolce e del pane troppo salato.