Sayonara, Kiryu-San

Con il canonico anno e mezzo di ritardo rispetto all’uscita giapponese, arriva finalmente anche in Europa Yakuza 6: The Song of Life, capitolo conclusivo della saga del leggendario Kazuma Kiryu, il Drago di Dojima, ma presumibilmente non della serie stessa, che Sega sembra abbia intenzione di continuare in modi ancora non del tutto rivelati.

E per dare l’addio a Kiryu Sega ha fatto davvero le cose in grande, a partire innanzitutto dalla grafica, mai così bella e dettagliata, con le coloratissime strade di Kamurocho che finalmente brillano di luce propria (e delle innumerevoli luci al neon disseminate lungo le varie vie). 

Ciò che ha reso da sempre grande la saga sono però due elementi fondamentali: la trama ed il gameplay, e infatti questo sesto capitolo non fa eccezione, e ci regala una storia lunga, intensa ed appassionante, ed un gameplay che parte dalle solidissime basi dei capitoli precedenti, pur presentando alcune introduzioni, più o meno riuscite.

C’è solo un capitano!

La storia, dicevamo. Yakuza 6 è praticamente un film, sotto diversi aspetti: per la maestosità dell’opera, per le innumerevoli cutscene, per la qualità del doppiaggio giapponese (sottotitolato in inglese, come da tradizione), per una recitazione da urlo accompagnata finalmente da una grafica che esalti al meglio le espressioni facciali, senza farle sembrare troppo finte come purtroppo è capitato in passato.

Una trama che è impossibile da spiegare nel breve spazio di una recensione, e che forse non sarebbe nemmeno saggio fare, dal momento che la cosa migliore è godersela dall’inizio alla fine, ma che è più di un more of the same, e rende agrodolce il dover salutare un personaggio così bello come quello del Drago di Dojima, qui presentato addirittura nelle inediti vesti di padre (anche se forse sarebbe meglio definire nonno, ma meglio evitare spoiler, come dicevamo). 

Anche senza l’aiuto degli storici compagni, pensiamo a Daigo, Saejima o Majima, relegati al ruolo di semplici comparse, così come Shun Akiyama, unico del gruppo originario un po’ più presente nel gioco, ma comunque comprimario: il protagonista della storia (nonostante l’ingombrante presenza di Takeshi Kitano) è Kiryu, com’è giusto che sia, e la storia si sviluppa su di lui senza salti da un personaggio all’altro, e con il solito coacervo di minigiochi e missioni secondarie a spezzare la storia e a regalare al giocatore qualche momento più spensierato.

Perché al di là della trama arzigogolata e profonda, Yakuza 6 regala momenti di pura follia, surrealismo e francamente vero e proprio divertimento, come nessun altro gioco sa fare. A dire il vero anche nella storia ci sono alcuni elementi divertenti nella loro assurdità, in tal senso vi raccomandiamo di prestare molta attenzione ad una scena “rugbistica” che ci ha letteralmente lasciato a bocca aperta, ma è nelle subquest che il gioco da il meglio di sé in questo senso.

Che facciamo stasera? Di tutto!

Così vi ritroverete a incontrare vecchie conoscenze della saga, come il buon vecchio (in tutti sensi, visto che a differenza di Kazuma sembra invecchiato malissimo) Pocket Circuit Fighter, che ora gestisce un negozio di tofu a Hiroshima, che poi è l’altro luogo oltre Kamurocho dove si snoda la storia, oppure ad aiutare un’organizzazione locale a sostituire una bizzarra mascotte, o ancora a raccattare gatti randagi per il proprietario di un “Nyan Nyan Cafè”: insomma, quando volete fare un break e staccare un po’ la spina dalla storia, vi basterà girare per la città e troverete qualche pazzoide dai vestiti di dubbio gusto, che chiederà il vostro aiuto per qualche sua folle idea.

Tornano anche i soliti minigiochi, con alcune novità rappresentate dalla palestra, ad esempio, o le chat line con tanto di piccante spogliarello della modella giapponese di turno. Confermati i vari mahjong, karaoke, tiri di baseball, sessioni di pesca e quant’altro; manca però il bowling, che era diventato uno dei capisaldi della serie.

Tornano anche i videogiochi classici nei Club Sega, come Outrun, Super Hang On e Virtua Fighter, giusto per dare al gioco quel quid nostalgico in più, che non fa affatto male, soprattutto se siete videogiocatori un po’ grandicelli.

Benvenuta, tecnologia

E c’è di più: finalmente Kazuma Kiryu si è accorto di essere nel 2018 (beh, per modo di dire. Il gioco in realtà è del 2016, ma si fa per dire) e possiede finalmente uno smartphone, attraverso il quale potrete gestire l’inventario, salvare la partita, ma anche installare applicazioni-parodia come TroublR, che vi manderanno notifiche (per la verità un po’ fastidiose) per segnalarvi persone in difficoltà in un determinato luogo della città. Lo smartphone è poi protagonista in alcune missioni secondarie (vi raccomandiamo di trovare quella che riguarda una inquietante parodia di Siri), per alcune segnalazioni di eventi in game, e quant’altro. 

Altra novità rispetto a Yakuza 0, dove Kiryu gestiva una sorta di agenzia immobiliare, è l’introduzione del “Kiryu Clan”, una sorta di modalità allenatore, se così la si può chiamare. Il vostro compito sarà infatti quello di reclutare gente per il vostro clan, attraverso incontri casuali, side quest o semplicemente mazzuolandoli per strada, e sfidare alcune organizzazioni criminali rivali. Non si combatterà in prima persona, bensì il gioco consiste nello schierare i diversi membri dell’equipaggio e sfruttare le loro qualità per sconfiggere gli avversari. Niente di eccezionale per la verità, ma un buon modo per guadagnare soldi, ed un diversivo tutto sommato piacevole.

Tutto molto snello

Il lavoro fatto per quanto riguarda il gameplay, da un lato strappa applausi per la scelta di limitare al minimo i caricamenti, vera croce del gioco fin dal primo episodio. In Yakuza 6, azioni banali come entrare in un ascensore, in un locale per mangiare qualcosa, o in un negozio, sono finalmente prive di caricamenti, così come, finalmente, i combattimenti con i classici buzzurri che tenteranno di fermarvi per strada. Niente più cutscene e pausa, ma un combattimento che inizia subito, senza interruzioni. Alleluja.

Dall’altro però, presenta un piccolo passo indietro proprio nella gestione dei combattimenti. Avevamo apprezzato molto la scelta del capitolo precedente, di introdurre i vari stili di combattimento da potenziare, scelta che però è stata abbandonata in questo capitolo, per tornare ad uno stile unico, migliorabile attraverso l’esperienza (che si ottiene completando subquest, combattimenti o anche semplicemente mangiando).

Il combattimento funziona bene, intendiamoci, ma si ha un po’ meno libertà di scelta, e perfino le mosse sembrano essere in quantità inferiore rispetto agli standard della serie. A renderlo un po’ più interessante c’è un’intelligenza artificiale dei nemici finalmente migliorata, con nemici finalmente un po’ più coriacei, che parano molto bene i colpi e che vi costringeranno spesso a bere quella Tauriner in più per utilizzare l’heat gauge per avere la meglio più agevolmente.

Insomma, come avrete ormai capito non c’è veramente tempo per annoiarsi in Yakuza 6. La portata principale c’è, ed è fantastica, e il contorno è come sempre ottimo e abbondante. Volendo trovargli un difetto, Nagoshi e soci ci hanno abituati talmente bene che forse manca giusto quel qualcosina in più, quella ciliegina sulla torta, che renderebbe la chiusura della saga ancora più leggendaria. Ma forse è semplicemente il dover dare l’addio al buon vecchio Kiryu-San che rende il tutto un po’ agrodolce, perché si tratta veramente di un gioco fantastico. Imprescindibile per i fan storici, forse non il capitolo più adatto con cui iniziare (ma d’altronde iniziare una saga dal sesto capitolo non è mai la più brillante delle idee), ma un vero e proprio giocone.

Arigato Kiryu-San. 

Verdetto

Yakuza 6 è la perfetta conclusione dell’epopea di Kazuma Kiryu. Un titolo dalla storia profonda, ma che sa anche prendersi non troppo sul serio, come dimostrato fin dagli albori della saga con le varie sub quest e minigiochi a spezzare una trama di spessore e accattivante. Un gameplay snellito dai pesantissimi caricamenti, la solita immersione nel meraviglioso mondo del Giappone, forse l’unico difetto del gioco è un pizzico di ripetitività nei combattimenti. Ma si tratta veramente del proverbiale pelo nell’uovo, perché l’ultimo capitolo della serie è l’ennesimo colpo ben riuscito di Nagoshi e soci. In attesa di vedere cosa hanno in serbo (o meglio, in giapponese!) per noi i ragazzi di Studio Yakuza, godiamoci quello che è a tutti gli effetti un capolavoro.

Gabriele Atero Di Biase
Diplomato al liceo classico e all'istituto alberghiero, giusto per non farsi mancare niente, Gabriele gioca ai videogiochi da quando Pac-Man era ancora single, e inizia a scriverne poco dopo. Si muove perfettamente a suo agio, nonostante l'imponente mole, anche in campi come serie TV, cinema, libri e musica, e collabora con importanti siti del settore. Mangia schifezze che lo fanno ingrassare, odia il caldo, ama girare per centri commerciali, secondo alcuni è in realtà il mostro di Stranger Things. Lui non conferma né smentisce. Ha un'inspiegabile simpatia per la Sampdoria.