La regia di Tucci ci rende spettatori troppo distanti di un’opera affascinante

Stanley Tucci torna alla regia, a distanza di 7 anni, e lo fa con quello che probabilmente è il suo film più importante se non altro per risonanza mediatica e cast artistico.
Final Portrait è un’opera basata sugli ultimi due anni di vita dello stravagante artista svizzero Alberto Giacometti, pittore, scultore ed incisore di fama internazionale, e del rapporto di amicizia che si era venuto a creare con James Lord, scrittore americano che ha posato per lui in un ritratto.
Il film di Tucci (nelle sale italiane dall’8 febbraio) prende ispirazione proprio dal racconto dell’autore statunitense, che ha raccolto in un libro le sue considerazioni sull’incontro e sulla complessa personalità di Alberto Giacometti.

 

La Parigi degli anni ’60 diviene il teatro dell’azione misurata e flemmatica della pellicola di Stanley Tucci.
Qui James Lord, interpretato da un ormai lanciatissimo Armie Hammer, diviene vittima consapevole delle cure artistiche di Giacometti, ruolo invece affidato ad uno straordinario Geoffrey Rush. Il pittore decide di fargli un ritratto ma dai 2-3 giorni inizialmente previsti ecco che il sig. Lord è costretto a restare più di tre settimane, quasi schiavo della condotta di Giacometti, il cui egoismo abbinato ad una certa stravaganza fanno sì che non riesca mai a completare il dipinto, trovando ogni volta una scusa per effettuare il “lavoro negativo”, ovvero cancellare il viso con pennellate di grigio e poi ripartire da zero.

Geoffrey Rush è bravissimo a portare sulla scena un personaggio così mutevole ed altalenante, dalla manifesta insicurezza associata ad egocentrismo senza pari, che gli donano la perfetta identità di artista maledetto, con una vita sregolata scandita da decine e decine di sigarette al giorno, alcool a tutte le ore, e prostitute. Proprio una di queste, Caroline (interpretata da Clémence Poésy) ha catturato il suo cuore, o meglio la sua mente, divenendo un’ossessione senza la quale Giacometti non riesce a vivere, al punto da pagare fior di quattrini i suoi protettori anche per il tempo “extra-lavorativo” passato con lei, come appunto un ritratto o una passeggiata in automobile (rigorosamente pagata da Giacometti). In tutto ciò, l’uomo è sposato da molto tempo con Annette (Sylvie Testud), che mal sopporta la relazione del marito e i suoi atteggiamenti, ma in fondo, a suo modo, egli la ama e le vuole un gran bene, motivo per cui la donna mette la testa sottoterra come uno struzzo e va avanti, prendendosi cura di lui.

James osserva queste strane dinamiche familiari, con l’occhio clinico dello scrittore, ed annota tutto battendo i tasti della sua macchina da scrivere, tra una sessione di posa per il ritratto e una nuotata per sgranchirsi.
In tutto ciò prende forma il rapporto d’amicizia, se così lo vogliamo chiamare, tra i due uomini, che avviene proprio per merito di James, abile ascoltatore che non si lascia infastidire dall’atteggiamento burbero di Giacometti, che nonostante il suo carattere e una certa avversione nei confronti di tutto e tutti apprezza molto la compagnia dell’uomo, che definisce appunto un amico. Lo fa in un solo frangente, dando quasi per scontato il rapporto, perché nella sua vita è abituato a dar tutto per certo, salvo poi impazzire quando ciò che ama svanisce improvvisamente.

Quello che emerge è un pericoloso parallelismo, ovvero quello tra la figura di James Lord e lo spettatore. Come lo scrittore siamo osservatori distanti di una realtà in cui Tucci non sa, o non vuole, farci entrare sino in fondo, lasciandoci fuori dalla stanza dell’arte di Giacometti, fuori dalle sue passioni, dal suo amore-odio per la pittura, per la scultura e l’incisione, persino dai suoi rapporti, da quello con James e da tutti gli altri. Siamo costretti ad assistere allo svolgersi degli eventi in maniera troppo distaccata, silenziosa, in un’atmosfera grigia e sporca come la fotografia di Danny Cohen, quella sì eccezionale e che ci ha ricordato i suoi precedenti capolavori, come Il discorso del re e The Danish Girl, per esempio.

È anche la stessa distanza che intercorre tra il modo di fare dei due uomini presenti sulla scena, tra James e Alberto, e così come lo scrittore è affascinato dalla stravaganza dell’artista, noi siamo per certi versi incantati dalla particolarità di quest’opera, ma non riusciamo a viverla fino in fondo.
A margine di tutto, non possiamo non fare un plauso all’interpretazione dei due attori protagonisti, ad un Geoffrey Rush che – come già anticipato – ci regala l’ennesima stupefacente performance, caricandosi sulle spalle un ruolo senza dubbio non facile, ma riuscendo nell’impresa, e poi ad un Armie Hammer che dopo averci parlato di un amore difficile in Chiamami col tuo nome, esplora un’amicizia altrettanto complessa e pericolosa, con risultati davvero convincenti. Il che, purtroppo, non fa che aumentare il nostro rimpianto per un film da cui era lecito aspettarsi qualcosa in più.

final portrait recensione

Verdetto:

Final Portrait è probabilmente il film più importante di Stanley Tucci alla regia, se non altro per risonanza mediatica e cast artistico, ma non ci convince del tutto, non come ci aspettavamo.
Il plauso più grande va agli interpreti, con un Rush magistrale ed un Hammer altrettanto bravo, tuttavia non riusciamo ad entrare mai del tutto a contatto con l’opera di Tucci, rimanendo per lunghi tratti spettatori distaccati di un racconto che ci affascina ma non sa coinvolgerci.

Tiziano Costantini
Nato e cresciuto a Roma, sono il Vice Direttore di Stay Nerd, di cui faccio parte quasi dalla sua fondazione. Sono giornalista pubblicista dal 2009 e mi sono laureato in Lettere moderne nel 2011, resistendo alla tentazione di fare come Brad Pitt e abbandonare tutto a pochi esami dalla fine, per andare a fare l'uomo-sandwich a Los Angeles. È anche il motivo per cui non ho avuto la sua stessa carriera. Ho iniziato a fare della passione per la scrittura una professione già dai tempi dell'Università, passando da riviste online, a lavorare per redazioni ministeriali, fino a qui: Stay Nerd. Da poco tempo mi occupo anche della comunicazione di un Dipartimento ASL. Oltre al cinema e a Scarlett Johansson, amo il calcio, l'Inghilterra, la musica britpop, Christopher Nolan, la malinconia dei film coreani (ma pure la malinconia e basta), i Castelli Romani, Francesco Totti, la pizza e soprattutto la carbonara. I miei film preferiti sono: C'era una volta in America, La dolce vita, Inception, Dunkirk, The Prestige, Time di Kim Ki-Duk, Fight Club, Papillon (quello vero), Arancia Meccanica, Coffee and cigarettes, e adesso smetto sennò non mi fermo più. Nel tempo libero sono il sosia ufficiale di Ryan Gosling, grazie ad una somiglianza che continuano inspiegabilmente a vedere tutti tranne mia madre e le mie ex ragazze. Per fortuna mia moglie sì, ma credo soltanto perché voglia assecondare la mia pazzia.