Dal disegno alla realtà, una trasmutazione non riuscita

Dopo Death Note, ecco che l’offerta Netflix di live action ispirati a grandi successi giapponesi si amplia con Fullmetal Alchemist, una produzione che si propone un compito ancora più arduo di quello prefissatosi dagli alchimisti.
Infatti, creare la pietra filosofale sembra cosa da poco, in confronto all’impresa titanica di condensare 27 volumi di intrecci e personaggi, ognuno con il proprio scopo e la propria precisa e profonda caratterizzazione, nei comunque fuori target 135 minuti del film.

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Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si semplifica

Come ovviare al problema? Semplice, basta sfrondare la storia, togliere ogni ramo, lasciare solo un tronco bello liscio, a prova di spettatore distratto. Ecco allora scomparire il padre dei fratelli Elric, il tenente Havoc, l’adorabile Elicia, un paio di homunculi, il maggiore Armstrong, per non parlare di Scar e del regno di Xing. Cosa resta, dunque, di questa storia corale che parla di famiglia e sacrificio? Resta un adattamento fiacco, che distrugge l’epica dell’opera a cui si ispira, o forse la dà per scontata, sperando che lo spettatore abbia letto il manga e possa riempire da solo gli spazi lasciati vuoti.

Mutilato dei suoi aspetti più interessanti, dell’umanità e del simbolismo che ne hanno decretato il successo, il live action di FMA è un prodotto che non raggiunge la sufficienza, con un buon comparto tecnico e una sceneggiatura che affonda nelle stabili fondamenta di Hiromu Arakawa, ma di cui non sentivamo il bisogno. Un altro dei pochi punti a favore è rappresentato dal protagonista, l’idolo Ryosuke Yamada, che dopo aver interpretato Nagisa nei due live action tratti da Assassination Classroom, si confronta con un personaggio, quello di Edward Elric per cui non ha certo il giusto physique du rôle (né, a dirla tutta, una parrucca degna); tuttavia, forse anche aiutato dalla recitazione spontanea come quella di una recita delle elementari degli altri attori in scena, nonché dal doppiatore italiano, già voce ufficiale di Elijah Wood, Davide Perino, il suo alchimista di acciaio risulta, almeno, non irritante.

Tutto il resto, dalla colonna sonora che sottolinea con ingenuità i momenti più drammatici e ricorre immotivatamente a ridicole melodie medievaleggianti, alla minaccia di un sequel (forse più un contentino per i fan, che possono così sperare di vedere nel tempo rimpolpata la storia), lascia perplessi e sfiancati dalla visione.

fullmetal alchemist recensione

Ridateci il principio dello scambio equivalente

Sarebbe facile a questo punto giocare la carta della saturazione del mercato, domandandosi retoricamente se, dopo un manga, due diverse serie animate seguite da due lungometraggi, svariati light novel e videogiochi, ci fosse veramente il bisogno di spremere ancora latte da questa mucca (e se avete capito il riferimento, bravi). È ovvio che, no, non c’era assolutamente bisogno di far rivivere ai fan il trauma della chimera, o del tenente colonnello Hughes, ma è altrettanto ovvio che questo film sia pensato per il mercato giapponese, più che per quello estero: nessun occidentale riesce a prendere sul serio un film con dei giapponesi biondi, per non parlare del fatto che, se si fosse voluto rendere quest’opera internazionale, sarebbe valsa la pena di rendere il setting e i protagonisti aderenti a quell’atmosfera mitteleuropea dell’originale, magari tentando la stessa strada intrapresa (male) per Death Note.

Il live action di Fullmetal Alchemist resta, in ultima istanza, un’occasione sprecata che non rispetta quel principio fondamentale su cui l’intera storia si basa: se è vero infatti che senza sacrificio l’uomo non può ottenere nulla e che era impensabile trasporre alla perfezione la storia dei fratelli Elric, è altrettanto vero che per ottenere qualcosa è necessario dare in cambio qualcos’altro che abbia il medesimo valore e in questo caso, ciò che resta dopo le due ore e un quarto di visione è inferiore al valore di ciò che è stato tolto, trasformando una narrazione complessa e pregnante in una storiella di botte e mostri in salsa magica.

Verdetto:

Il live action di FMA si rivela essere una scialba copia della storia originale, che non viene in nessun modo arricchita dal nuovo medium. Se siete fan di Fullmetal Alchemist, evitate di guardarlo. Se non siete fan e volete avvicinarvi all’opera, non guardatelo comunque e, sempre su Netflix, recuperatevi la serie animata.

Angela Bernardoni
Toscana emigrata a Torino, impara l'uso della locuzione "solo più" e si diploma in storytelling, realizzando il suo antico sogno di diventare una freelancer come il pifferaio di Hamelin. Si trova a suo agio ovunque ci sia qualcosa da leggere o da scrivere, o un cane da accarezzare. Amante dei dinosauri, divoratrice di mondi immaginari, resta in attesa dello sbarco su Marte, anche se ha paura di volare. Al momento vive a Parma, dove si lamenta del prosciutto troppo dolce e del pane troppo salato.