Gotico americano

Ci sono quelle idee che sembrano un po’ folli nella loro forma più cruda, ma che esattamente grazie a questa follia possono anche diventare vincenti.
Probabilmente in fase di brainstorming, alla
Deep End Games, compagnia che vanta ex realizzatori di Bioshock e Dead Space, ci si è chiesti: cosa può essere completamente antitetico a un gioco in soggettiva, dove si guarda attraverso gli occhi del protagonista? Ma è ovvio! Il protagonista è non vedente!

Questa è l’unica vera idea sorprendente del gioco. Il resto purtroppo si perde nella nebbia di una realizzazione imprecisa e nel torpore di un qualcosa che non diverte.

Dal punto di vista narrativo, Perception è un’intricata matassa non sempre perfettamente sbrogliata che si muove indietro nel tempo. Tutto inizia non brillantemente con la sua protagonista Cassie che raggiunge una magione in stile vittoriano a Gloucester nel New England. La motivazione che la spinge nel Nord degli Stati Uniti è un sogno ricorrente che riguarda appunto la casa in questione. Come abbia fatto a capire che sia questa la casa, come abbia fatto a raggiungerla, insomma tutto il contorno logico che darebbe veridicità a questa vicenda è completamente assente, lasciando al videogiocatore tutto l’onere di accettare la premessa e basta. Per tutta l’avventura abbiamo atteso che la protagonista si rivelasse di più, mostrasse la sua personalità, commentasse se stessa, così da creare una sorta di legame, ma purtroppo tutto questo non è mai successo.
La storia della protagonista, che a tutti gli effetti dovrebbe essere quella principale, non è affatto ben raccontata e anzi giunge ad una conclusione (scontata per altro) frettolosa e quasi pallida, corredata da una soluzione grafico-narrativa che stona con tutto il resto del progetto (non vi riveliamo nulla per non incappare nella nefanda accusa di Spoiler…)

L’esplorazione della casa è solo un pretesto per gli sceneggiatori di raccontare altre storie che riguardano l’abitazione e i suoi inquilini, passando a ritroso da una linea temporale all’altra, fino al momento della fondazione della casa e all’inizio della sanguinosa storia che la contraddistingue.

Le vicende sono molto classiche per chiunque sia avvezzo di letteratura horror e gotica: si va dallo psichiatra con la moglie/paziente, fino al costruttore di bambole per concludere con una storia purtroppo molto inflazionata e altrettanto telefonata.
Lo storytelling in generale è affidato alle memorie degli abitanti passati, che emergono come ragnatele attaccate ai muri, o a piccole animazioni di fantasmi che si  muovono e recitano eventi passati. Purtroppo, la frammentazione delle vicende pesa sulla godibilità delle storie, tanto da far perdere loro quel poco di fascino che emanano.

Sul frangente narrativo, che doveva poi essere il punto forte dell’intero gioco, purtroppo il titolo dei Deep End Games un po’ delude, lasciando il lettore… ehm, il videogiocatore con tante domande, un paio di WTF e sicuramente una spiacevole sensazione che manchi ancora qualcosa. E non basta il disclaimer finale che l’intera vicenda sia ispirata a fatti realmente accaduti a una parente del Director: per quanto siano state orribili le vicende storiche, la parte narrativa di Perception non rende loro abbastanza giustizia. Peccato.

perception recensione

È un gioco?

La domanda che vi starete facendo è: come si fa a coniugare un gioco in soggettiva e una protagonista non vedente? La risposta ce l’ha data Ben Affleck quando è diventato Daredevil: l’Ecolocazione, ovvero la capacità di percepire l’ambiente circostante emettendo suoni.

Non è un’invenzione degli sceneggiatori, ma è una realtà ben conosciuta. Nel mondo animale, i pipistrelli, gli odontoceti (come i delfini) e altre specie usano il sonar per muoversi nel loro ambiente. Allo stesso modo, le persone non vedenti imparano a riconoscere il comportamento di suoni ad alta frequenza emessi schioccando la lingua in rapporto all’ambiente circostante.

La nostra Cassie fa esattamente questo, solo che invece che schioccare la lingua, usa un bastone per emettere onde sonore e avere di ritorno le forme dell’ambiente intorno a lei. Potete immaginare che di base il gioco si presenta come una schermata nera, fin quando non viene premuto R2 e il suono emesso dalla punta del bastone non ‘illumina’ l’ambiente, in un perfetto gioco di sinestesie. L’altra faccia della medaglia è che il suono dopo un po’ si smorza e si ritorna pian piano all’oscurità. Per mantenere una visione costante, è necessario generare sempre rumore, con il bastone, con i propri passi o sfruttando l’ambiente: accendere una radio, far rintoccare un orologio a pendolo o far sibilare un termosifone. Certo, questa soluzione non ha nulla a che vedere con l’ecolocazione, che in realtà  sarebbe inficiata da rumori esterni, ma alla fine è un videogioco e possiamo passarci sopra senza pensarci troppo.

Ovviamente, i programmatori hanno pensato bene di porre un limite alla quantità di rumore che il giocatore può fare nel corso della sua esplorazione. Infatti se si esagera con il bastone, si materializza un’entità soprannaturale invincibile pronta a farci la pelle. L’idea è quella di trasmettere la sensazione che la casa sia viva e senziente e non gradisca la nostra presenza e che comunque bisogna procedere con cautela. L’unico modo per venir fuori sani e salvi da un incontro con questa entità malvagia è quello di nascondersi e tra bauli, tende e armadi, non manca certo la scelta.

In realtà, il sistema di apparizione della Nemesi è un po’ random: ci sono delle sezioni in cui senza alcun apparente motivo è possibile fare tutto il casino che si vuole senza attirare l’attenzione di nessuno, in altre invece accade il contrario, e ci ritroveremo a correre alla ricerca di un punto dove nasconderci dopo aver battuto due volte con il bastone…

Inoltre, il gioco non ha alcuna HUD, e non si ha mai l’idea se si sta per varcare la soglia del troppo rumore. Si deve procedere a tentoni, il che sarebbe in linea con il personaggio (per così dire)…

perception recensione

Paradossalmente, il gameplay di Perception è finito qui. Non c’è altro da fare se non seguire gli indizi che il gioco vi telegrafa in continuazione per arrivare alla stanza successiva e sbloccare un altro ricordo, un altro dialogo o un altro pezzo del puzzle lungo oltre quattrocento anni. Non si spara, in tutto ci sono due enigmi ambientali (si tratta di trovare e inserire due codici numerici) e non ci sono nemici a parte l’entità malvagia di cui sopra. L’esperienza strettamente videoludica è limitata a camminare da un punto all’altro della casa, in percorsi prestabiliti, di stanza in stanza, con una meta già evidenziata dalla pressione del tasto L2. Più che un survival horror, sembra un Walking Simulator con elementi gotici, o una visual Novel in soggettiva.

In pratica l’impianto videoludico è solo il pretesto che hanno scelto i realizzatori per raccontare questa storia: se vista in questo senso, ci rendiamo conto che il gioco in sé è praticamente inutile. Non c’è un livello di sfida e anzi, data l’impostazione narrativa fatta di molte sbavature, anche la sola idea di voler arrivare alla fine della storia perde di mordente e tutta l’esperienza ne esce quasi corrotta.
Altra nota veramente dolente è che tutta questa esperienza sinestetica, questi racconti gotici concatenati, tutta l’epopea di Cassie dura appena 5 ore… Un po’ poco.

Le profondità del nero

Il gioco si prefigge di riprodurre la ecolocazione in termini grafici e lo fa truffando una palette di colori scuri, compresi tra il nero e il blu, aggiungendo elementi verdi per contraddistinguere gli oggetti di particolare importanza (come i nascondigli e le porte). Come realizzazione è nella media, senza grossi motivi per esaltarla.
La cosa interessante è come l’ambiente della casa sia stato sfruttato nel corso delle vicende. Infatti, man mano che la protagonista rivive storie passate anche la geografia delle stanze cambia, rispecchiando i rimaneggiamenti architettonici che si sono succeduti di secolo in secolo, fino ad arrivare alla forma base, quella da cui è iniziato tutto. Il discorso allegorico è d’obbligo, con la casa trattata come una metafora del male, che intrapreso in una stamberga di poche stanze, è diventato grande e prominente da occupare una casa composta da decine di stanze.

Il sound design, come ci si aspetta, è di tutto rispetto, non tanto nella colonna sonora, quanto nell’atmosfera che gli effetti ambientali creano intorno ai passi incerti della protagonista. Il rumore del bastone sul legno, i sospiri e gli scricchiolii che emanano dagli angoli bui delle stanze e il cigolio delle porte che si aprono alle nostre spalle hanno la specifica funzione di creare un luogo oscuro e inospitale, una dimora che a tratti dà l’impressione quasi di respirare. E d’altronde non ci saremmo aspettati altro, vista la funzione centrale che il suono ha all’interno dell’economia del gioco.

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Verdetto:

Perception è un gioco che lascia perplessi perché non è un gioco. È un romanzo (neanche tanto lungo…) intrappolato nel medium sbagliato. Le meccaniche videoludiche possono sorprendere ad una prima occhiata, l’ecolocazione è interessante e divertente per i primi venti minuti, ma poi tutto diventa fastidioso, quasi un impedimento a quello che il titolo si prefigge di fare: raccontare una storia.
A questo aggiungiamo che purtroppo in alcuni frangenti è la narrazione stessa a essere manchevole o superficiale e ci troviamo di fronte a un prodotto che non è abbastanza videogioco né abbastanza racconto. E cos’è?
È un esperimento, in parte fallito, di creare qualcosa di originale, di dare qualcosa di nuovo in pasto ai videogiocatori.
Ma in questo caso, i ragazzi di Deep End Games sono inciampati nei loro stessi piedi. Peccato.

Eugene Fitzherbert
Vittima del mio stesso cervello diversamente funzionante, gioco con le parole da quando ne avevo facoltà (con risultati inquietanti), coltivando la mia passione per tutto quello che poteva fare incazzare i miei genitori, fumetti e videogiochi. Con così tante console a disposizione ho deciso di affidarmi alla forza dell'amore. Invece della console war, sono diventato una console WHORE. A casa mia, complice la mia metà, si festeggia annualmente il Back To The Future Day, si collezionano tazze e t-shirt (di Star Wars e Zelda), si ascolta metal e si ride di tutto e tutti. 42.