Storia di un pulcino alieno che è diventato grande prima di noi.

Pochi anni prima che il ventesimo secolo ci salutasse per sempre con botti di artificio e il timore per la fine del mondo causata dal “temibilissimo” millennium bug, tra i ragazzini preadolescenti il desiderio di avere un cane o un gatto era stato scalzato da ben più aliene e tecnologiche forme di animale da compagnia: i Furby e i Tamagotchi stavano per entrare nelle nostre case, nelle nostre vite e nei nostri incubi.

tamagotchi

Non ti merito più

Se negli anni novanta credevate ancora a Babbo Natale, è quasi certo che in una vostra letterina, tra i buoni propositi di essere più buoni l’anno successivo, ci sia stata la richiesta di uno di questi due giocattoli cult; è altrettanto probabile che la vostra dedizione per quel mogwai col becco sia durata qualche mese e che alla fine l’ovetto tanto anelato sia andato perso per sempre, scivolato fuori da qualche tasca e dai vostri pensieri.

Ma anche se voi vi siete dimenticati dei vostri vecchi amici, loro non l’hanno fatto e nel corso degli anni, mentre voi abbandonavate i giochi per dedicarvi alla scoperta del magico mondo dell’adolescenza, hanno continuato a migliorarsi e aggiornarsi, pronti per farsi ritrovare nel momento in cui avreste realizzato che la vita adulta fa schifo e vi sareste rifugiati nella nostalgia dei bei tempi passati.

Sfruttando proprio l’onda lunga del ma che ne sanno i 2000, nel 2013 il virtual pet della nostra infanzia tenta di conquistare lo schermo degli smartphone con Tamagotchi L.I.F.E. (Love Is Fun Everywhere), versione aggiornata ma fedele e pixelata dell’ovetto portachiavi, proprio come il virtual pet che amavi, ma migliore (sarebbe divertente scoprirlo, ma l’app non è disponibile per il pubblico europeo), per poi lanciare quest’anno My Tamagotchi Forever, app freemium dalla grafica gommosa e dal gameplay adattato allo schermo touch.

Ti lascio perché ti amo troppo

Dimenticatevi i mucchietti di quadratini che solo la nostra fantasia riusciva a trasformare in immagini di senso compiuto; i Tamagotchi si sono evoluti e hanno scambiato l’essenzialità del loro uovo per un intero mondo simulato: ecco allora la struttura a livelli, con l’avanzare dei quali sempre più tipi di cibo e giochi si rendono disponibili, ecco i microgiochi con cui guadagnare le monete da spendere per personalizzare gli ambienti e ampliare il guardaroba del mostriciattolo. A differenza di quello che succedeva vent’anni fa, quando quel guscio di plastica pigolante era l’unica notifica all’interno della nostra vita, per mantenere l’attenzione dell’utente, grande o piccolo che sia, My Tamagotchi Forever deve mettere in campo ogni sorta di strategia; la concorrenza è spietata e la pletora di distrazioni che ognuno di noi ha a disposizione in ogni momento della giornata gioca a sfavore del piccolo alieno e dei suoi bisogni.

Proprio per ovviare a questa prevedibile mancanza di dedizione, il nuovo Tamagotchi può essere lasciato a se stesso per giornate intere senza abbandonare questo mondo crudele e le sue spoglie mortali dietro di sé sotto forma di angioletto: l’unico valido insegnamento della nostra infanzia, che prendersi cura di un altro essere vivente è un impegno serio, finisce così nel dimenticatoio insieme a un’app come tante, che nessun ragazzino di oggi rievocherà con nostalgia tra vent’anni.

Tra le altre semplificazioni di My Tamagotchi Forever possiamo annoverare la velocità con cui le creature si evolvono da neonati a bambini e poi su fino a diventare adolescenti e adulti, un vero affronto se pensiamo che ai nostri tempi erano necessari giorni di dedizione e Tamagotchi nascosti nell’astuccio di scuola a sfidare le ire del corpo docente per raggiungere lo stesso risultato ottenibile adesso in mezz’ora scarsa di gioco.

Sempre perché i tempi sono cambiati, quella che nella nostra infanzia era una deliziosa pausa dai doveri genitoriali, ovvero il momento in cui mettevamo a nanna il pupo consci che non si sarebbe svegliato almeno per tutta la durata dei cartoni animati su Italia 1, è diventato in My Tamagotchi Forever un fastidio da saltare pagando qualche moneta, in modo da poter continuare a giocare ancora e ancora.

Non sei tu, sono io

C’è un significato recondito dietro la delusione provata scoprendo che il Tamagotchi è andato avanti senza di noi? Possiamo imparare qualcosa da quest’avventura? No, e dovremmo smetterla di vedere metafore dove non ce ne sono, ma è pur sempre vero che è facile cadere nell’amarcord al pensiero di quel tempo in cui la nostra preoccupazione più grande era tendere l’orecchio al pigolio di un pulcino alieno bisognoso delle nostre cure, quando impegnarsi sembrava così semplice, a quell’epoca in cui eravamo quasi orgogliosi di avere un device elettronico da portare sempre con noi, come se fosse questione di vita o di morte, inconsapevoli che nel giro di mezza generazione ci saremmo trascinati dietro costantemente un attrezzo petulante dal design decisamente meno attraente delle plasticose uova portachiavi da cui tutto è iniziato.

My Tamagotchi Forever è un’app per i bambini di oggi, una delle tante, mentre noi bambini di ieri, noi millennial e xennial, noi che veniamo presi a pesci in faccia dalle generazioni più vecchie, noi restiamo qua a rimpiangere un’infanzia così ottimistica da farci credere di essere in grado di accudire un altro essere vivente, prima di scoprire di non essere in grado neanche di prenderci cura di noi stessi.

Noi restiamo qui, nel guscio, aspettando di evolverci, mentre i bambini di oggi giocano con quello che una volta era nostro.

Angela Bernardoni
Toscana emigrata a Torino, impara l'uso della locuzione "solo più" e si diploma in storytelling, realizzando il suo antico sogno di diventare una freelancer come il pifferaio di Hamelin. Si trova a suo agio ovunque ci sia qualcosa da leggere o da scrivere, o un cane da accarezzare. Amante dei dinosauri, divoratrice di mondi immaginari, resta in attesa dello sbarco su Marte, anche se ha paura di volare. Al momento vive a Parma, dove si lamenta del prosciutto troppo dolce e del pane troppo salato.