Amend: libertà in America è una delle novità Netflix perfettamente in linea con l’attuale clima politico statunitense

Prodotto da due specialisti del documentario giuridico, Robe Imbriano e Tom Yellin, Amend: Libertà in America (Amend: The Fight for America) è una serie in sei episodi sulla storia del 14esimo emendamento americano. Questo concetto è raccontato con un format accattivante, che unisce filmati di repertorio, teste parlanti, inserti animati e interventi teatrali dei più amati attori hollywoodiani. Una sfilata di nomi, testimonianze e racconti che si sforza di divulgare concetti estremamente importanti per un pubblico la cui attenzione va catturata con ogni mezzo. Il target sembra essere quello dei giovanissimi, anagraficamente e politicamente parlando, motivo per cui Amend utilizza un linguaggio semplice ed emotivo. Insomma, questa nuova proposta Netflix parla forte e chiaro e va dritta al punto – e il suo valore è molteplice e si presta a un’analisi interessante.

Amend: Netflix sfodera la sua carta vincente

La storia politica americana degli ultimi mesi ha raggiunto vette importantissime. L’avvicendamento della presidenza Trump con quella di Biden è stato un passaggio seguito con il fiato sospeso da tutto il mondo. Non c’è da stupirsi: in fondo da secoli gli USA sono un palcoscenico fondamentale per capire gli equilibri globali. Oltretutto, nonostante abbia una storia molto più giovane di quella europea, vi si sono imposti i paradigmi di democrazia, pari opportunità, libertà. Quanto, poi, questi siano più che bei concetti messi nero su bianco dai padri costituenti è oggetto di discussione. Discussione che, in parte, ritroviamo nello svolgimento di Amend.

Il momento storico in cui Netflix pubblica questa docu-serie, è altamente strategico. Visti i tempi di produzione, è facile presupporre che si sia accavallato alle ultime elezioni USA e al malcontento che hanno provocato in una fascia della popolazione, se non addirittura prima. Gli effetti di questa soddisfazione e l’assalto di Capitol Hill erano difficili da prevedere anche per la mente cinematografica più fervida.

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L’idea di diffondere sulla piattaforma più popolare al mondo un contenuto divulgativo sui principi alla base dell’allora futura presidenza Biden (speriamo), sponsorizzata da volti noti dell’intellighenzia democratica è strategicamente perfetta. Anche e soprattutto perché c’è un richiamo costante ai valori fondanti americani, proprio per soffiare di mano lo scettro patriottico ai trumpiani.

La storia del 14esimo emendamento

Tutte le persone nate o naturalizzate negli Stati Uniti e sottoposte alla relativa giurisdizione sono cittadini degli Stati Uniti e dello Stato in cui risiedono“.

Inizia così il 14esimo emendamento della Costituzione Americana. E questo è l’elemento attorno al quale ruota Amend: Libertà in America. Con la conduzione – empatica e simpatica – di Will Smith, si ripercorre la sua eredità concettuale, iniziando da poco prima che questo principio fosse sancito. Si parte, dunque, dalla Guerra Civile americana, e dalla testimonianza della Schiavitù di Frederick Douglass, per poi proseguire con le campagne abolizioniste e le ritorsioni dei suprematisti bianchi. Si analizza con veemenza anche il ruolo fondamentale che i media hanno ricoperto in questa Storia, spiegando il motivo dell’avversione di alcuni intellettuali contemporanei a pietre miliari del cinema passato. Attenzione, persino qui, nessuno parla di censura. Anzi, è esattamente quel tipo di contestualizzazione che tanto si reclama nella fruizione dell’arte del passato.

In maniera ben pensata e politicamente encomiabile, Amend dedica le ultime tre puntate al concetto di lotta intersezionale. Ovvero, come l’oppressione non riguardi solo i neri, solo le donne, solo i gay, solo gli immigrati, ma come invece sia affare di tutti. Parafrasando un intervento del documentario, non si poteva lasciar indietro nessuno.

Un prodotto ambizioso

Da un punto di vista tecnico, Amend è un prodotto televisivo di buona qualità. Un pubblico non-americano probabilmente constaterà che il linguaggio è spesso e volentieri sopra le righe, ben lontano dai documentari storici a cui è abituato. Chiaramente l’intento della produzione doveva superare il classico stile didattico, e parlare la lingua di un pubblico con una bassa soglia di attenzione. Per questo motivo, montaggio, commento sonoro, alternanza di registri sono gli ingredienti chiave di questo show dei diritti civili

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Va sottolineato anche come almeno nell’ultimo anno (se non anche da prima) Netflix abbia prodotto o distribuito diverse docu-serie di successo, che spesso e volentieri hanno un sotto testo di denuncia. Con Amend si prosegue su questa strada, andando a puntare i riflettori su qualcosa di più grande e storicamente rilevante. A questo scopo si accompagna anche un investimento di risorse parimenti ambizioso: oltre al già citato maestro di cerimonie Will Smith, intervengono nomi del calibro di Samuel L. Jackson e Mahershala Ali

Tutti loro e tutte loro fanno un passo indietro rispetto ai testi che vanno a interpretare su schermo. Un dettaglio di non poca rilevanza è che questi divi non sono presentati, ma il loro nome è sostituito da quello dei personaggi storici a cui danno voce. Viceversa, studiosi, giornalisti, protagonisti delle battaglie civili sono messi in primo piano, valorizzando il loro ruolo nell’iter per la conquista dell’uguaglianza. 

Amend: la strategia Netflix funziona?

Quello che resta in dubbio è se l’opera divulgatrice di Netflix avrà successo. Da un punto di vista tecnico e contenutistico, parliamo di un prodotto di alta qualità televisiva, ma questo basterà ad attirare nuovo pubblico verso i temi trattati? 

Sappiamo quanta resistenza ci sia davanti ai concetti di “oppressione” e “parità”, quanta poca voglia si ha di mettere in discussione il proprio privilegio. O di concepirlo, nella maggior parte dei casi. Chi ha già fatto questo percorso, gradirà Amend: Libertà in America come un avvincente ripasso, e forse scoprirà qualche dettaglio in più su qualcosa in cui già crede. Ma gli altri? Probabilmente il tono celebrativo risulterà ancora più irritante alle orecchie di chi contesta l’esistenza stessa di una disparità (non sarebbe sconvolgente, visto che i toni sono alquanto propagandistici – seppure su contenuti reali e “giusti”). 

Ma questa è una riflessione che esula dall’analisi del documentario in sé. Vale la pena di vederlo? Assolutamente. Funzionerà? Ai posteri l’ardua sentenza

 

Francesca Torre
Storica dell'arte, giornalista e appassionata di film e fumetti. Si forma come critica tra Bari, Bologna, Parigi e Roma e - soprattutto - al cinema, dove cerca di passare quanto più tempo possibile. Grande sostenitrice della cultura pop, segue con interesse ogni forma d'arte, nella speranza di individuare nuovi capolavori.