Delle volte basta poco per entrare nel cuore dei lettori, ma Demon Slayer ci dona molto più di quanto possa sembrare

orconi alla mano e torce incandescenti nell’altra. Folle che si riversano nelle piazze social e invadono le vie del web. Demon Slayer, dopo un’annata da record, ha culminato il 2021 con il premio Osamu Tezuka, compiendo l’ennesima spaccatura tra chi lo idolatra e chi invece lo infama, dimenticandoci che, in questo periodo storico, l’equilibrio critico dovrebbe essere un valore aggiunto di qualsiasi analisi.
L’opera che ci narra le vicissitudini della squadra ammazza demoni, dopo aver disintegrato ogni tipo di record tra visualizzazioni dell’anime, vendite del manga e botteghino al cinema, ha anche generato il malcontento dei più accaniti appassionati di questo universo.

Il pubblico “generalista” ha letteralmente amato Demon Slayer, elevandolo a vero fenomeno pop di questa epoca ma, al tempo stesso, relegandolo al mero ruolo di “prodotto commerciale”. Come se i vari Attack on Titan, FMA, Akira o Evangelion non avessero anche l’intenzione di generare un ritorno economico.
Qual è, allora, la critica più grande e aspra che è stata mossa nei confronti dell’opera di Koyoharu Gotoge da parte della critica di settore?

demon slayer

“Se giudicheremo un pesce dalla sua capacità di scalare un albero, non sarà mai degno di approvazione”

Se da un lato possiamo udire le grida che intonano la “mancanza di originalità”, dall’altro gli viene puntato il dito contro per l’eccessiva rapidità di scrittura e l’incapacità di avere mordente. Peccato che tutto questo qui pro quo, privo di qualsiasi gusto ed equilibrio critico, derivi dal più basilare e sincero movente che spinge il giudizio elitario di questi anni: l’apprezzamento del pubblico. I prodotti d’intrattenimento, da qualche anno a questa parte, a quanto pare, non possono più esistere. Una triste sorte che ha accomunato anche i celebri Joker (di Todd Phillips) o le ultime pellicole partorite dalla mente di Christopher Nolan.

Partendo dalla sua natura, Demon Slayer si pone come uno dei più classici battle shonen. Un protagonista che vive una vita tranquilla, che viene sconvolta da un tragico avvenimento. La voglia di lottare per la salvezza dei propri cari, un destino che si ricollega a quello del main villain, l’ingresso in uno strampalato trio che ripresenta i più classici stilemi del genere. Da Tanjiro che è il classico puro di cuore, Inosuke lo scavezzacollo irascibile, fino al fifone – ma segretamente OP – Zenitsu.

Il problema principale delle agguerrite critiche nei confronti di Demon Slayer, però, risiede nell’incapacità (o la mancanza di volontà di vedere) di comprendere a cosa sia finalizzato, quale sia il suo obiettivo. La creatura di Gotoge è orientata al puro intrattenimento che, attraverso uno stile volutamente old school (nel manga) e numerosissime chicche storiche che caratterizzano l’ambientazione più che mai, porta il lettore a divorarne le tavole. La peculiarità di Demon Slayer risiede dunque nella piacevolissima scia di informazioni, relative al peculiare periodo storico Taisho, che ci vengono fornite durante lo sviluppo narrativo. Una serie di accorgimenti, dettagli e minuziosi ricami che ci introducono, pagina dopo pagina (o frame dopo frame, che dir si voglia), alla scoperta di un’epoca sepolta. Una decade dove il passaggio storico tra vecchio e nuovo, che risulta brusco e immediato, ne fa da padrona, dove la tradizione è costretta a sposare rapidamente il nuovo secolo.

La Storia, quella vera, in Demon Slayer

Il periodo Meiji, che precedette il periodo Taisho, fu caratterizzato da una profonda restaurazione del potere imperiale, accompagnato però da una forte influenza occidentale che trovò la sua massima espressione nella nuovissima Costituzione proclamata nel 1868 e la stipulazione di trattati internazionali che permisero al Giappone di svilupparsi dal punto di vista economico e sociale.

Il risultato di queste e altre politiche interne e estere (comunque sempre sfavorevoli nei confronti di determinate classi sociali) lo possiamo osservare in diverse occasioni lungo il manga, a cominciare dall’evoluzione degli abiti tradizionali: il cosiddetto Taisho Roman, quel sentimento di liberazione individuale e intellettuale che nacque dopo la Prima guerra mondiale (un arco di tempo conosciuto come Democrazia Taisho), si rifletteva perfino nell’abbigliamento, portando dunque il popolo a indossare kimono dai toni molto più sgargianti, pattern vistosi e una gran quantità di accessori occidentali tipici soprattutto degli anni ’20.

E ancora, la crescita economica del Giappone di questo periodo è riconoscibile nello sgomento delle persone non più abituate a vedere dei cittadini andare in giro armati di katana, poiché ormai l’ex classe samuraica non combatteva più e veniva retribuita con titoli pubblici (e comunque si stavano diffondendo le armi da sparo); o negli occhi stupefatti di ragazzi di campagna come Tanjiro e Inosuke alla vista di un treno a vapore, considerato soprattutto da quest’ultimo una specie di mostro che tiene le persone nella sua pancia (e possiamo dire che non aveva poi così torto!).

Gotoge ha svolto un lavoro certosino nel lasciarci queste informazioni, a volte inserendo spiegazioni in brevi vignette didascaliche per contestualizzare e così rispettare fortemente la tradizione. L’amore per il passato, oltretutto, ci arriva anche attraverso le tavole (meravigliosamente animate dall’eccezionale studio Ufotable) che riprendono stili pittorici come lo shigajiku e, soprattutto, l’ukiyo-e. Entrambe le forme artistiche, coi loro soggetti prevalentemente naturali, tornarono di moda in quest’epoca, l’ukiyo-e ironicamente dopo esser stato soppiantato quasi del tutto dalla fotografia durante il periodo Meiji. Indimenticabile la celebre Grande onda di Kanagawa di Hokusai, facente parte delle 36 vedute del monte Fuji, che emerge dai movimenti delle lame di Kamado e Tomioka, facendo risplendere gli elementi naturali e donandogli una forza vitale degna dei kami più luminosi.

Infine non possiamo ignorare l’arco narrativo che ha come teatro il quartiere dei piaceri Yoshiwara. Non solo perché ci viene presentata la condizione quasi disumana di coloro che lo popolavano – dalle ragazze vendute alle case del tè e destinate a diventare oiran agli uomini che ne pagavano i servizi, dagli esattori ai semplici servitori – ma anche per la presenza delle giovani kunoichi spose di Tengen Uzui. Si tratta di un capitolo della storia di Demon Slayer in cui le donne sono particolarmente al centro della narrazione ricoprendo ruoli di guerriere diverse da quello delle ammazza demoni che abbiamo conosciuto e conosceremo nel manga (come Shinobu, Kanae o Mitsuri): le kunoichi acquisivano informazioni da infiltrate nel quartiere, assumendo quindi sui propri corpi le responsabilità che anche altre donne comuni si prendevano nella speranza di sopravvivere. Il quartiere dei piaceri era tale solo per i suoi clienti e lo vediamo perfino attraverso gli scontri di questo arco, che portano alla distruzione una parte del quartiere e ad alcune vittime.

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A proposito delle battaglie: la fluidità dei combattimenti e la potenza dei duelli, messi in mostra in un anime di fattura superiore alla media, permettono, oltretutto, di innalzare ulteriormente il livello di questa creatura rispetto ai competitor. Quando vediamo lo scontro tra Zenitsu e il Fratello Ragno, con i suoi continui cambi di prospettiva, o il fatale duello tra Rengoku e Akaza, riusciamo a comprendere ogni singolo dettaglio della lotta, ogni frammento. Il dinamismo e la potenza fuoriesce dallo schermo, portando con sé un’esplosione di vitalità e colori.

I personaggi di Demon Slayer sono veri, hanno paura, soffrono e possono cadere.

Tutto ciò, però, non ci porta solo ad una narrazione finalizzata ai combattimenti (che, ovviamente, rimangono lo snodo fondamentale), ma ci permette di respirare la caratterizzazione e l’evoluzione di molteplici personaggi. Gli stilemi classici vengono rappresentati ampiamente con il trio protagonista – Nezuko è un elemento bonus – e anche con alcuni villain, ma la spaccatura avviene con figure moderne come Tengen (pilastro del suono) e le reazioni genuine dei main. Prendiamo come metro di paragone Tanjiro. Il ragazzo con il dono della respirazione del sole, non combatte mai buttandosi a testa bassa, pronto per “spaccare tutto”. La sua lotta è naturale, intelligente e, soprattutto, smussata dalla sua consapevolezza della morte. Kamado sa che ogni fendente di un demone potrebbe essergli fatale e ciò è palese. La contrapposizione tra coraggio e paura nella costante lotta tra spadaccini e demoni è vera e viva, ed è una peculiarità in un periodo dove i protagonisti di 3/4 dei battle shonen si buttano a capofitto nel pericolo consapevoli che non andranno mai contro una morte quasi certa. I personaggi di Demon Slayer sono umani, non sono perfetti (tralasciando le doti fisiche eccezionali) e questo crea un ulteriore legame empatico con il pubblico.

Banale, ripetitivo, fatto per macinare soldi e conquistare il cuore dei neofiti? Demon Slayer è tutt’altra cosa e, con ogni probabilità, verrà compreso solo dopo molto tempo.

A cura di Leonardo Diofebo e Alessia Trombini