Doctor Strange: il portabandiera della controcultura USA

Immaginiamo per un momento di essere dei giovani studenti statunitensi nel bel mezzo degli anni ’60. La minaccia della bomba atomica è concreta e il mondo sembra essere spezzato tra due diverse idee di materialismo. Da un lato il capitalismo americano, dall’altro il socialismo sovietico. Cercare rifugio in qualcosa di diverso, di più spirituale, lasciarsi alle spalle i problemi mondani per trovare un’altra verità sembra quasi necessario. E immaginiamo di trovare qualcosa di simile in fumetteria. Disegni che forse avrete visto solo nel vostro ultimo sballo lisergico. Magia, azione e spiritualità. Tutto ciò potreste desiderare da un fumetto. E questo fumetto è proprio Doctor Strange.

Parlare della nascita di Doctor Strange è parlare di un pezzo di storia a stelle e strisce che spesso viene lasciato da parte. Quello della controcultura giovanile, della psichedelia, della spiritualismo e del misticismo.

Sembra strano dirlo oggi, ma l’inquilino del numero 177/A di Bleecker Street fu negli anni uno dei supereroi ad avere maggiore impatto sulla società. Una vera e propria icona di quel periodo. Il rovescio della medaglia è la travagliata storia editoriale di un personaggio rilanciato più volte, ma che solo in tempi recenti sembra aver suscitato nuovo interesse nel pubblico, grazie anche alla sua trasposizione cinematografica con il volto di Benedict Cumberbatch.

Quando parliamo dello Stregone Supremo dell’universo Marvel, stiamo parlando di un personaggio che ha precorso i tempi, su cui gli sceneggiatori hanno più volte osato, sia per quanto concerne le trame che per le illustrazioni. Dopotutto… quale personaggio, più di uno Stregone Supremo, si presta a soluzioni manieristiche e psichedeliche mai provate prima nel disegno?

Doctor Strange

Beat generation e stregoni pulp

Doctor Strange nasce nel 1963, nel pieno della Silver Age, dalle matite di un maestro come Steve Ditko con la sceneggiatura del Sorridente Stan Lee. Siamo all’inizio del boom dei movimenti pacifisti e antimaterialisti, che contrapponevano alla visione del realismo occidentale quella dello spiritualismo orientale. Ne abbiamo accennato poco fa: in un periodo dove la cruda realtà era la Bomba H, i giovani cercavano accanitamente un diverso sentiero da percorrere. Qualcosa che non mortificasse l’anima e la creatività, trovandola nelle culture orientali come il taoismo e il buddismo.

In questo periodo si inserisce così la figura di Stephen Strange, un personaggio che strizza l’occhio, neppure troppo velatamente, alla realtà contemporanea, ponendosi sin da principio come esempio e critica della cultura americana di quel periodo. Non è neppure un caso che il suo Sancta Sanctorum, il luogo da cui il Dottore vigila sulla nostra realtà e combatte contro le entità provenienti da altre dimensioni, sia posto nel Greenwich Village.

Oggi conosciamo il Village soprattutto come il quartiere in cui era ambientato Friends, ma negli anni ’60 era molto di più. Era il luogo dove le controculture americane nascevano e si espandevano, un vero e proprio quartiere alternativo che, negli anni, ha visto svilupparsi al suo interno ogni genere di corrente di pensiero opposta a quello dominante. Prima fu la sede dei locali della Beat Generation, e sarebbe divenuta negli anni ’60 il luogo di nascita della cultura Hippie e del movimento della Gay Liberation, nel celebre Stonewall Inn.

Ma tutto questo nacque anche grazie a cinque pagine (cinque!) scribacchiate a matita dal Sorridente. Lee voleva un personaggio che fosse ispirato a quelle storie pulp che leggeva da bambino. Qualcosa sul modello dei racconti di Weird Tales, sulle cui pagine scrivevano autori come Robert E. Howard e Howard Phillis Lovecraft. E Ditko compì la sua magia.

Doctor Strange

Sin dalla sua prima comparsa su Strange Tales 110, collana da cui prende il nome e a cui sarà legato per molto tempo, il buon Dottore esercitò sui giovani americani un impatto fortissimo. Abbiamo spesso lodato la capacità della Marvel di cogliere lo spirito del tempo e porlo su carta. Lo abbiamo visto con Iron Fist, con Luke Cage, con Captain America e i Fantastici Quattro. Ma con Strange questo risultato fu elevato all’ennesima potenza.

Vedere un chirurgo di fama mondiale, desideroso solo di ottenere successo e riconoscimenti, perdere tutto per trovare una nuova ragione di vita nel misticismo ebbe un impatto immediato sui lettori. Per i True Believers più alternativi Strange era quello che predicavano: la fine del materialismo per avvicinarsi a una dimensione più spirituale.

Questione di gusto

Quando Ditko realizzò le prime tavole per Spider-Man la sua idea fu molto semplice. Adattare il suo stile alla pop-art americana, prendere quanto visto in pubblicità, cartelloni, manifesti e stampe per farne l’ossatura dei suoi disegni. Il successo fu immediato: la gente riconosceva in Spidey qualcosa di familiare, di caldo e confortevole. Con Strange però le cose furono diverse. Quasi l’opposto.

Peter Parker era la classica e americanissima torta di mele. Stephen Strange sarebbe stato il piatto di cucina esotica capace di esaltare le “papille gustative” dei lettori. Ditko sperimentò come mai ebbe modo di fare nella sua carriera, creando soluzioni al limite del manieristico. Roy Thomas, editor e sceneggiatore della Casa delle Idee, qualche anno dopo rivelò che i disegni di Steve erano così arditi “da far pensare che alla Marvel facessimo uso di droghe. Molti lettori sostenevano di aver avuto visioni simili ai disegni di Doctor Strange quando erano “fatti” o avevano assunto funghi allucinogeni”.

C’è da dire che Thomas rilasciò l’intervista nel settembre del 1971. Erano trascorsi pochi mesi dal celebre Spider-Man #96 (il primo comic USA a parlare apertamente di droghe). La temuta CCA era ancora una spada di Damocle per tutti gli autori. Non poteva ammettere, come fecero anni dopo Steve Englehart e Frank Brunner, autori che presero il posto di Ditko a inizio anni ’70, che gli acidi erano una fonte di ispirazione per Doctor Strange.

Impossibile sapere se anche Steve Ditko ebbe questo genere di musa (appare difficile crederlo). Ma provate a immaginare lo scandalo che deve aver suscitato il primo numero di Doctor Strange nel 1963! L’impatto fu immediato, tanto che lo storico Bradford W. Wright sosterrà che lo Stregone Supremo fu un precursore della controcultura giovanile basata sul misticismo e la psichedelia orientale”.

Il suo successo fu tale da vedere presto stampato il personaggio su murales e magliette, diventando un vero e proprio simbolo per alcuni movimenti universitari. Stephen Strange aveva detto addio al consumismo e al materialismo. Aveva abbracciato la spiritualità e il nuovo fervore culturale degli States. Perché non poteva farlo la nuova generazione? Il fumetto Marvel era diventato un’icona per quanti volevano fare la rivoluzione attraverso la cultura. Mike Benton, nel suo libro Superhero Comics of the Silver Age: The Illustrated History, arriva a definire le storie di Stephen Strange una “cosmogonia coesiva” per il movimento studentesco.

La psichedelia elevata ad arte

Presto Stephen Strange avrebbe raggiunto nuove vette, tanto nei fumetti (su Strange Tales tra il 1963 fino al 1968 la sua figura monopolizzò sempre di più le pubblicazioni, sostituendo spesso i Fantastici Quattro sulle sue copertine) quanto nella cultura popolare, sfondando anche nel mondo della musica, della letteratura e persino delle scienze.

I Jefferson Airplane nel 1965 tennero un concerto che fu chiamato “A tribute to Doctor Strange”. Pochi anni più tardi i Pink Floyd, leggendaria rock band britannica, non fecero mai mistero di amare il personaggio. Lo immortalarono nella copertina dell’album “A Saucerful of Secretes” nel 1968, citandolo apertamente nell’album “More” l’anno successivo, all’interno del pezzo “Cymbaline“.

Ma anche la letteratura ha subito il fascino delle tavole di Steve Ditko. Bastava chiedere a Ken Kesey, noto non solo per la sua produzione letteraria, ma anche per essere stato uno dei più grandi sperimentatori di droghe sintetiche nel corso della sua vita. Come raccontato da Tom Wolve in una biografie del gruppo di Kesey, i Merry Prankster, le avventure allucinate di Stephen Strange erano un must nel mezzo di un trip di acido.

Anche un altro grande amico di Kesey amava le storie del Doctor Strange. Parliamo di Richard Alpert noto per essere stato uno dei primi ricercatori a studiare in maniera intensiva le sostanze psichedeliche. Nel 1967 Alpert avrà una sua personale esperienza alla Stephen Strange. Perso il suo posto all’università di Harvard si trasferirà in India, dove cambierà il suo nome in Ram Dass (ovvero “servo di Dio”) e si dedicherà a una serie di approfondimenti di pratiche meditative e filosofiche. Una storia molto simile a quella di un arrogante cardiochirurgo dei fumetti divenuto Stregone Supremo dell’universo Marvel. Che sia stata proprio l’opera di Ditko a spingerlo verso questa nuova vita?

La controcultura non basta

A questo fortunato impatto culturale non seguì una storia editoriale altrettanto fortunata. Dopo la prima pubblicazione su Strange Tales, Doctor Strange conquistò, poco alla volta, il suo posto fisso sulla collana come eroe di punta. Nel Giugno del 1968, la Marvel non lanciò una testata completamente dedicata al personaggio. Inaspettatamente, questa uscita oggi nota come Volume 1, durò appena quindici numeri, venendo chiusa l’anno seguente.

Tornato alla sua collocazione originale, passeranno sei anni prima che il Maestro delle Arti Mistiche ottenga una nuova testata, questo volta più longeva della precedente, che vedrà le avventure del Dottore protrarsi fino al 1987. In questi anni, segnati prima dall’era di Nixon e, più tardi, da quella del materialismo reaganiano, il sentimento di controcultura che aveva visto nascere Doctor Strange e ne aveva segnato il successo andò, poco alla volta, spegnendosi.

Sono anni cruciali per le storie del Dottore, che vedono la sua definitiva investitura a Stregone Supremo, il suo matrimonio con la storica fidanzata Clea, persino l’adozione di un costume con maschera (qualcosa che i fan accolgono ancora oggi con derisione, orrore e una salva di pernacchie) e la formazione del “non gruppo” dei Difensori, con Namor, Hulk e Silver Surfer. La spinta creatrice sembra però esaurita e, col 1987, chiude anche il Volume 2.

Il successivo tentativo di rilancio, il Volume 3, non ebbe successo e si chiuse dopo appena quattro numeri (uno dei peggiori record negativi della Casa delle Idee). Nonostante fosse stato lodato dalla critica per le ardite soluzioni grafiche, restò senza alcun riscontro da parte del grande pubblico.

I tempi erano cambiati. Beatnick e hippie erano scomparsi, e la controcultura faceva ormai parte del tessuto stesso della società, una realtà scomoda ma ormai tollerata perché destinata anch’essa a sparire. Da sempre legato a una nicchia di fan ristretta imperniata su movimenti ormai dissolti, Doctor Strange parve costretto a sua volta a ritirarsi a ruoli più defilati.

Fine e principio

Per lunghissimo tempo il personaggio venne relegato a una posizione marginale, sfruttando il suo ruolo di entità superiore per farlo comparire solo sporadicamente e in casi eccezionali, quasi a ribadire il suo essere ormai fuori dal mondo dei supereroi.

Non mancarono i tentativi di rilancio, come la saga “Principio e fine” di inizio anni 2000, sceneggiata da J.M. Straczynski e Sara Barnes e incarnata dai disegni di Brandon Peterson, che cercarono di trasportare lo Stregone Supremo in una dimensione contemporanea e attuale, prendendo a piene mani da vari elementi della cultura pop di quegli anni (non ultimo Matrix).

Ma neppure questo tentativo sembrò avere successo, e il nostro Stephen venne pure privato del titolo di Stregone Supremo a favore di Fratello Voodoo, ponendolo al centro solo di qualche saga occasionale, come “Il Dottore è fuori!” opera di Mark Waid che vede Doctor Strange subito dopo la sua abdicazione dal ruolo di Mago Supremo.

Solo in tempi recenti, grazie all’interesse suscitato dalla trasposizione cinematografica, il Dottore è tornato a possedere una propria collana. Nell’opera di Jason Aaron e Chris Bachalo, i lettori hanno ritrovato storie avvincenti e gran parte delle atmosfere oniriche e psichedeliche dei primi anni. Il tutto unito a una buona dose di humor nero.

Chissà che non possa essere di nuovo questo il futuro di Doctor Strange. Ma, anche se fosse, ci sembra difficile pensare che il personaggio possa avere la stessa fortuna del passato. Del resto è mai possibile immaginare davvero Stephen Strange come avanguardia di un nuovo movimento hippie? Solo il tempo potrà dare una risposta a questa strana domanda.

Federico Galdi
Genovese, classe 1988. Laureato in Scienze Storiche, Archivistiche e Librarie, Federico dedica la maggior parte del suo tempo a leggere cose che vanno dal fantastico estremo all'intellettuale frustrato. Autore di quattro romanzi scritti mentre cercava di diventare docente di storia, al momento è il primo nella lista di quelli da mettere al muro quando arriverà la rivoluzione letteraria e il fantasy verrà (giustamente) bandito.