Dragon Ball Z: Kakarot è tanto bello per un fan del manga quanto debole per tutti gli altri

Dragon Ball Z: Kakarot è un gioco difficile da mettere a fuoco e valutare, perché dentro l’ultimo lavoro di CyberConnect2 esistono diverse istanze che cambiano totalmente la percezione del titolo a seconda della lente sotto la quale lo si mette. È vero per moltissimi giochi che bisogna decidere non cosa mettere sulla bilancia, ma cosa pesa quanto (infatti non ci sono i voti in fondo agli articoli).

La questione dello scopo di un titolo e del target di riferimento è sempre centrale, ma raramente come in Dragon Ball Z: Kakarot ho avuto difficoltà a rispondere alla domanda: “insomma, com’è ‘sto Dragon Ball?”.

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Ci sono infatti due modi per inquadrare il gioco: potete essere dei fan sfegatati di Dragon Ball Z, e quindi adorarlo, o essere poco interessati al franchise di Toriyama e quindi vedere il gioco spoglio del fascino della saga, dei ricordi che porta con sé il riviverla e della fedeltà con cui alcuni momenti sono replicati.

Non ci sono vie di mezzo, perché giocare Dragon Ball Z: Kakarot se vi piace Dragon Ball significa divertirsi un mondo in un ambiente familiare, mentre il disinteresse per la saga permette di vedere il gioco per quello che è, spogliato da tutto il fan service brillantemente realizzato che ne è la colonna portante: un action RPG deboluccio e con diversi difetti.

Vi faccio un esempio molto semplice di un momento in cui sono rimasto colpito, non dal gioco ma dalla mia reazione: a un certo punto, nelle prime battute, mi sono accorto che potevo passeggiare per una città di quelle tipiche della serie, che da bambino tanto mi affascinavano con quelle architetture improbabili e tondeggianti, popolate da veicoli decisamente buffi (una delle cose che ho sempre apprezzato maggiormente di Toriyama è il suo modo di disegnare i mezzi di trasporto) e animali antropomorfi.

dragon ball z kakarot

Le città, ma il discorso è estendibile per qualsiasi metro quadrato delle macroaree che ospitano e fasi esplorative del gioco, sono decisamente spoglie e vuote di cose da fare (ci sono solo i negozi e qualche collezionabile), e le routine di movimento di personaggi e veicoli che le abitano sembrano uscite da un’altra generazione.

Eppure in qualche modo è bellissimo, e sono rimasto diversi minuti a passeggiarci dentro, solo per il gusto di esplorare quei posti che da bambino mi sembravano troppo poco approfonditi nell’opera di Toriyama – giustamente, non è quello il focus del manga o dell’anime.

E io non sono neanche un grandissimo fan di Dragon Ball.

Questo momento è stato probabilmente il più emblematico della mia esperienza con Dragon Ball Z: Kakarot, perché mi ha fatto aprire gli occhi su come sia possibile fare bene del fanservice, e come può un gioco di cui oggettivamente non puoi dire un granché di bene prenderti in un vortice e farti divertire per decine di ore, facendoti quasi soprassedere su ogni difetto che oggettivamente vedi, e che in altro giochi probabilmente percepiresti come estremamente fastidioso, grazie a un qualcosa di in definitiva intangibile: non c’è una storia piena di colpi di scena da scoprire, non c’è un gameplay estremamente profondo o un impianto RPG di quelli che ti obbligano a studiare.

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C’è solo Dragon Ball Z in tutta la sua genuinità fatta di pugni, calci, onde energetiche, nemici improbabili e situazioni surreali. E a quanto pare non è per niente poco.

Nonostante questo, non si può davvero soprassedere sulle mancanze del gioco, almeno in questa sede, e le mancanze sono molte, così come le scelte di design in grado di fare alzare il sopracciglio over 9000.

Iniziamo col sistema di combattimento, che vive dello stesso dualismo di cui vive il resto del gioco: da una parte troviamo una messa in scena fantastica, effettivamente in grado di restituire il feeling delle battaglie della serie, con montagne che si distruggono, corpi che lasciano i solchi a terra, onde di luce e energia che si alternano a calci e pugni iper-veloci. Quello che manca è però una base più profonda, un sistema di combattimento in grado di differenziare davvero i combattenti oltre le super-mosse che gli appartengono, e soprattutto in grado di permettere al giocatore di migliorarsi. Manca un sistema di combattimento tecnico e profondo, in sintesi.

Questo è probabilmente il principale difetto del gioco, più delle discutibili scelte per quanto riguarda la crescita dei personaggi di cui parleremo dopo. Il motivo è semplice: in Dragon Ball, prima di tutto, si combatte. In Dragon Ball Z: Kakarot si fa lo stesso, ed è anche divertente, ma si sente la mancanza di qualcosa di più profondo e complesso, e quello che fa storcere il naso è la somiglianza con Dragon Ball Z: Budokai Tenkaichi e la maggiore profondità di quest’ultimo, che ricordiamo essere un gioco per PS2, facendo pensare a un passo indietro sotto questo aspetto.

Il battle system di Dragon Ball Z: Kakarot non offre più di poche combo da unirsi alla possibilità di parare, schivare e effettuare attacchi speciali. È bene ripeterlo: il risultato è divertente, il livello di difficoltà mai (o quasi) alto e il feeling dei combattimenti quello giusto. Un po’ più di profondità e differenziazione non avrebbe però guastato, rendendo l’attività principale del gioco decisamente più stimolante.

Anche perché, al lato dei combattimenti e seguire la storia, non c’è tantissima varietà di cose da fare. Ci si può allenare per potenziare le mosse nello skill tree – ne parleremo poi – si può pescare, cacciare, risolvere le subquest, guidare dei veicoli e raccogliere collezionabili. Il problema di tutte queste attività è l’estrema ripetitività unita ad un mondo di gioco estremamente vuoto.

Le missioni secondarie non sono nulla di più di fetch quest, e servono a farci avere qualche retroscena e a far tornare personaggi della prima parte di Dragon Ball. Fanservice a parte sono poco utili, anche perché il sistema di crescita del gioco è definibile a tratti peculiare, a tratti completamente sballato perché dopo troppo dipendente dai collezionabili.

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La scelta peculiare, che non mi sento del tutto di criticare perché rende il gioco coerente alla narrazione che lo supporta, è quella secondo cui i personaggi, avanzando nella storia, aumentano spesso di livello da soli. Ha senso, snellisce la progressione non obbligando a girare per la mappa per livellare – grazie a Dio, perché i nemici che incontreremo girovagando sono di pochissimi tipi e tendono a venire a noia.

La scelta sbagliata è invece quella di appoggiare lo sviluppo delle abilità anche sui collezionabili. Le macroaree che compongono il gioco sono infatti piene di Sfere Z, delle sfere colorate che dovremmo raccogliere nello stesso modo in cui Mario raccoglie le monete. Sempre nelle mappe, questa volta nascosti, è possibile rinvenire anche dei medaglioni. Le prime servono per acquistare nuovi snodi nello skill tree, mentre i secondi devono essere spesi per avere accesso a delle sezioni di allenamento utili a imparare nuove mosse che solo in questo modo potranno essere sbloccate nello sempre nello skill tree.

Le Sfere Z possono essere vinte anche combattendo, e i medaglioni anche completando missioni secondarie, ma l’avanzamento nello skill tree dipende sempre troppo da oggetti che si trovano solo girando e rigirando per le mappe, e l’attività non è neanche così divertente essendoci nulla da vedere.

Il fatto che la progressione sia facilitata dall’avanzamento spesso automatico del livello non esclude che il giocatore voglia comunque provare le mosse più avanzate e potenti, perché in fondo è proprio questo lo spirito di Dragon Ball, e il vincolare questo sistema anche alla raccolta di oggetti è una scelta insensata che sembra messa essere stata effettuata per allungare il brodo in un gioco che non avrebbe assolutamente bisogno.

Nonostante queste problematiche e una grafica decisamente non all’altezza, soprattutto per quanto riguarda gli ambienti del gioco, Dragon Ball Z: Kakarot è un gioco che diverte. Non è la prima volta che si tenta di fare un RPG di Dragon Ball, e nemmeno la prima volta che si tenta di portare in una struttura RPG uno shonen (chi si ricorda Naruto: Rise of a ninja?). Il risultato portato qui a casa da CyberConnect2 non è di poco conto, perché un qualcosa di così grosso e ambizioso non si era mai visto. Tutto Dragon Ball Z in un solo videogioco. Wow!

Ci sono delle criticità, e si sarebbero potuti smussare tantissimi angoli, oltre a fare in modo totalmente diverso altre cose. Quello che però rimane di Dragon Ball Z: Kakarot è uno dei migliori esperimenti di fanservice che ricordi, e nonostante come vi ho già detto non sono un grandissimo fan di Dragon Ball, ho visitato posti che avrei sempre voluto vedere e sono stato risucchiato da un gioco che oggettivamente non è un capolavoro, ma neanche un bel gioco forse, e comunque mi sono divertito un mondo.

Luca Marinelli Brambilla
Nato a Roma nel 1989, dal 2018 riveste la carica di Direttore Editoriale di Stay Nerd. Laureato in Editoria e Scrittura dopo la triennale in Relazioni Internazionali, decide di preferire i videogiochi e gli anime alla politica. Da questa strana unione nasce il suo interesse per l'analisi di questo tipo di opere in una prospettiva storico-politica. Tra i suoi interessi principali, oltre a quelli già citati, si possono trovare i Gunpla, il tech, la musica progressive, gli orsi e le lontre. Forse gli orsi sono effettivamente il suo interesse principale.