Nintendo Labo è stato appena annunciato, ma si è già trasformato nel meme dei videogamer più stagionati. Tutto questo non ha alcun senso.

Nel corso di un Direct arrivato quasi a sorpresa a pochi giorni di distanza da un Direct Mini a dir poco scoppiettante, Nintendo ha annunciato il suo nuovo progetto per Switch: Labo. Ma che cos’è esattamente Nintendo Labo? Si tratta fondamentalmente di un set di figure tridimensionali e componibili in cartone che, una volta piegato e assemblato secondo precisi schemi, può dar forma ad oggetti che, in concomitanza con i controller di Switch (e con la stessa console ovviamente), permette la creazione di esperienze di gioco per mezzo dell’interazione tra l’oggetto reale ed il videogame. L’idea è più o meno quella che sta alla base dei cosiddetti “toys-to-life”, ovvero quella linea di giocattoli capaci di creare esperienze per mezzo dei videogame, come Skylanders o Lego Dimensions. La differenza è che lì il giocattolo è quello tipicamente inteso, mentre qui il concetto va a ripescare direttamente dall’esperienza ludica infantile, ovvero quando tra tanti giocattoli regalati i bambini mettevano mano a fantasia e materie di fortuna per costruirsi i giochi da sé.

Questo principio vi suonerà forse strano, o anche “vecchio”, come se giocare per mezzo di quello che si ha e non attraverso i videogame o i pupazzi sia un concetto ante guerra. In realtà l’esperienza ludica, specie dei bambini nella fase pre-adolescenziale, è un’esperienza basata sulla creatività, sulla scoperta, sulla sperimentazione, che non prescinde ovviamente dai giocattoli in scatola acquistati al negozio, ma a cui affianca anche un divertimento più creativo e casalingo. Ci siamo passati tutti, e ci passeranno le generazioni di ogni epoca, inutile far finta che non sia più così.

Il punto è che all’annuncio di Labo, la rete ha tuonato come se avesse assistito ad uno scandalo, mettendo al centro della diatriba tanto l’idea in sé, quanto il fatto che i set mettano in vendita a prezzi costosi quelle che sono, fondamentalmente, sagome di cartone listellato. Se il dibattito si limitasse alla questione “prezzo”, allora non ci sarebbe molto da dire, perché non ha senso porsi il problema verso le tasche dei giocatori. Leggasi: ognuno è libero di spendere i soldi come vuole e, dunque, di considerare un prodotto meritevole o immeritevole dell’investimento. È una dinamica soggettiva, e lascia francamente il tempo che trova. I giocatori invece si irretiscono per l’idea, non la trovano funzionale alle proprie necessità, si interrogano del perché Nintendo non investa di più nello spingere la qualità tecnica di macchina e produzioni per stare al passo con i 4K della concorrenza (oddio che idioti) e, in ultima istanza, ritengono che Nintendo abbia smarrito la strada e sia sia bevuta il cervello. Ma è davvero così? Diamo una risposta breve: no.

La verità è che Nintendo, ancora una volta, dimostra di voler seguire la propria strada, ignorando quelli che dovrebbero essere i dettami dell’industria. Dettami, per altro, imposti da uno standard tecnico il cui obiettivo è una gara al priapismo tecnologico, e non un qualcosa che è invece imposto dal miglioramento dell’esperienza personale. Come dire: un gioco può fare il suo lavoro pur essendo bruttissimo ed in 2D, e questa era e resterà per sempre una verità sacrosanta. Nintendo, quindi, non guarda ai suoi competitor (cosa che per altro non fa da almeno 20 anni), e sceglie di battere la propria idea di divertimento destinato specialmente ai bambini, palesemente il target di riferimento del progetto tanto nelle idee di sviluppo quanto nella comunicazione del kit di gioco. Labo non è un nuovo standard del gioco digitale, come per altro non pretendeva di essere Wii (i cui motion controller furono accolti allo stesso modo mentre impazzavano le performance di PS3 e Xbox 360), ma semplicemente una nuova idea relativa al gioco, ed a come questo si può affrontare e, ovviamente, avvicinare al mondo dei videogame. Labo punta ad un pubblico giovane, che è anzi da sempre snobbato dall’esperienza videoludica, salvo che in pochissimi casi eccezionali (come i già citati Skylanders) o attraverso esperienze di gioco raffazzonate ed elementari. Per dire, nessuno di voi sarà elencare 5 videogame usciti negli ultimi 12 mesi adatti ad un pubblico giovanissimo, ed anzi si tende a mettere tra le mani dei ragazzini (volontariamente per altro), titoli dedicati ad un pubblico che non dovrebbero giocare prima di 5 o 10 anni (per ovvi motivi di contenuti e non certo per le meccaniche). Forse conscia dei limiti del videogame tradizionale, Nintendo Labo semplicemente guarda altrove. Guarda al gioco in sé, ed a come questo sia una parte fondamentale dell’esperienza infantile che, come è ovvio, passa attraverso i dettami di scoperta, interazione, creatività e manualità. Qualcosa che non diciamo noi, e che non dice Nintendo, ma che passa attraverso almeno 50 anni di studi sociologici e pedagogici.


Nintendo però ha un pregio: te la rende semplice. E dunque anziché passare attraverso la pedagogia più spicciola, propone semplicemente un’idea, che giusta o sbagliata che vi suoni ha dalla sua una forte componente ludica e creativa e che altro non chiede di essere messa a disposizione del pubblico giusto che, spoiler, non siete voi e pertanto faticate a comprenderne il senso. Non è che non ci arrivate, è che ci siete già passati in tempi ormai lontanissimi e che da adulti avete messo, giustamente, da parte per andare avanti.

Nintendo in realtà non tradisce nessuno. Prosegue fiera sul suo cammino controcorrente, in nome di quella diversità che da sempre la contraddistingue e, soprattutto, di quella voglia di trasmettere sensazioni di gioia e divertimento. I suoi prodotti, del resto, sono sempre stati la quintessenza di questa filosofia che, tanto sotto il profilo estetico che quello tattile, si sono sempre proposti al pubblico come dei colorati giocattoli, in cui tutto, dai suoni prodotti ai colori, finanche alle forme, era progettato per richiamare un immaginario fanciullesco e divertente. Labo, in questo senso, non tradisce nulla, è semplicemente la sublimazione di questo concetto, ovvero di quello di creare una dimensione giocosa e giocattolosa in cui, semplicemente, si aggiunge quel “tocco in più” per mezzo della Switch e, dunque, dello strumento videogame. Labo è un punto preciso su di un percorso molto lungo che ha da sempre legato Nintendo al concetto di “gioco”, che esula dal videogame, e che ha una dimensione più squisitamente umana. Giocare, del resto, è un principio fondamentale di praticamente ogni specie del pianeta, perché da sempre attraverso il gioco noi formiamo il nostro carattere e la nostra immaginazione, specie da bambini, dove il mondo che ci circonda altro non è che il nostro ricettacolo di avventure. Tornate al pensiero alla vostra infanzia, impossibile che nessuno di voi si sia mai costruito nulla, abbozzando i più improbabili robot o chissà che altro con quello che trovava in giro.

Magari assemblando ai propri giochi “fatti in casa”, parti di altri giocattoli, scotch, carta, e quant’altro potesse servirvi per costruire quello che avevate in testa. Ecco, Labo ripercorre questa strada, questo processo ludico, e semplicemente lo riadatta al mondo di oggi. In questo modo ha senso, anzi ha un senso assoluto, che non chiede, ma quasi pretende che sia fatto di cartone e corde, ed anzi trovo che l’idea più geniale sia che il suo kit di customizzazione sia composto da stencil, adesivi e scotch colorato. Del resto è quello che vorrebbe o farebbe un bambino, ed ha senso così. Nintendo Labo, insomma, ricostruisce la dimensione del gioco, e lo fa mettendo da parte qualunque pretesa da parte del videogioco. Il videogame, nell’esperienza di Labo, è solo un accessorio per un fine. Il target non siete voi, ampiamente al di sopra della pubertà. Il target sono i vostri fratelli più piccoli, i vostri cugini, tutti quei bambini che ogni Natale prendono la scatola del pandoro e che, con un po’ di pazienza e un paio di forbici, ci tirano su un elmo da cavaliere. Non ha senso, da parte vostra, criticare la commerciabilità un prodotto come Labo, ha senso invece apprezzarne l’idea, capirne lo scopo e, in ultima istanza, restare ammaliati dall’idea di un’azienda che dalle sue origini non ha mai smesso di fare una cosa, e una soltanto: costruire esperienze al servizio del divertimento e della fantasia.