Con Elden Ring From Software completa un percorso durato più di un decennio, fatto di idee forti in controtendenza con il resto dell’industria del videogioco

lden Ring è un successo di vendite clamoroso. Ci sono voluti 13 anni a From Software per arrivare a questo, 13 anni in cui la software house ha tenuto il punto ed è andata dritta per la sua strada, senza cedere nulla a un mercato che, all’uscita di Demon’s Souls, avremmo detto tutti non avrebbe accolto di buon grado prodotti così intrinsecamente complessi sia narrativamente che meccanicamente.

Eppure, nonostante l’inizio claudicante sul fronte del successo – ma non su quello della qualità – , From Software completa ora un percorso portando ai massimi livelli la visione di Hidetaka Miyazaki. Un percorso che, è bene notare, non inizia esattamente con Demon’s Souls, perché i semi della poetica di Miyazaki si ritrovano in molte altre sue opere, sia evidentemente più affini agli ultimi lavori di From Software come gli Otogi, sia tematicamente distantissime come gli ultimi quattro Armored Core.

Elden Ring è la summa di tutti gli elementi tipici della poetica di Miyazaki, dalle suggestioni decadenti al racconto criptico, passando per una complessità che sprona il giocatore a metterci del suo per avanzare e per comprendere che direzione sta prendendo la storia. Probabilmente il successo della produzione From Software, ignorata per anni nonostante di titoli di qualità ne producesse, è dovuto anche a un concorso di fattori esterni: all’uscita del primo Demon’s Souls infatti il mercato, soprattutto giapponese, stava conoscendo una fase creativa discendente, in cui ci l’emergere del videogioco moderno, più commerciale e indirizzato anche alle masse di non giocatori mal si sposava con il modo orientale di fare videogames. Non è un caso che proprio nello stesso periodo i videogiochi indipendenti cominciavano a riscuotere i primi successi presso il pubblico definito hardcore.

Quello che faceva From Software prima della generazione PS3/X360 aveva certamente un impatto diverso anche perché era più allineato al resto della produzione. Ma all’uscita di Demon’s Souls, con i forum online in piena attività e con una varietà dell’offerta così appiattita, ci si trovò di fronte a qualcosa che nonostante guardasse indietro per molti aspetti risultava essere fresco e innovativo. Il tam-tam online fece diventare un gioco di nicchia uno dei videogiochi più importanti della generazione, nonostante la pioggia di problemi tecnici, l’aspetto datato e una difficoltà fuori parametro per giocatori abituati a videogiochi estremamente permissivi. A partire da quella pietra (miliare) From Software è riuscita a costruire come si è detto un percorso, che gioco dopo gioco ha concretizzato quella che ora tutti riconoscono la poetica di Miyazaki. Che è la stessa che rende la guerra perenne di Armored Core 4, 4A, V e VD così affascinante, ma divagherei.

Elden Ring si pone nello stesso modo, in contraddizione all’attuale modo di sviluppare videogiochi, esattamente come prima di lui fecero Demon’s Souls e Dark Souls. Si pone “contro” altro ovviamente. Il grande tripla A oggi è open world, così come Elden Ring. Ma Elden Ring non ha indicatori, subquest citofonate, mappe pieni di segnalini da cancellare o diari. Elden Ring fa dell’open world la sua meccanica di base in senso strettissimo, come faceva The Legend of Zelda: Breath of the Wild.

Non c’è un mondo grande dentro a cui si svolgono degli avvenimenti, ma un mondo grande che è condizione necessaria all’avventura. L’avversario da battere, di cui è necessario imparare il pattern, è proprio il mondo di gioco: un’enorme “boss fight” della durata di un centinaio d’ore in cui ogni minima cosa che si apprende è una reward, che Elden Ring sa sempre stimolare e spronare senza suggerisci niente in modo esplicito. Al posto dei segnalini tipici dell’open world abbiamo una mappa disegnata in modo dettagliatissimo, e il solo design della mappa ci guida dove potrebbero esserci dei punti di interesse, senza la necessità di punti interrogativi.

L’approccio di From Software è in realtà sempre lo stesso, ma espanso e declinato per incontrare l’open world. In fondo anche negli altri soulslike il primo ostacolo da superare erano le intricate strutture delle diverse zone, ed è innegabile che l’esplorazione fosse una delle parti più affascinante dell’esperienza. Elden Ring riprende quel senso di scoperta e lo espande in maniera inaspettata. La mappa è enorme, e ogni volta che si pensa di averla completata se ne scopre un altro pezzo, e poi un altro pezzo ancora. Il gioco si può affrontare come si vuole, correndo in mezzo ai nemici per sbloccare il prossimo punto di grazia o prendendosi il tempo di affrontare ogni nemico. Ogni torre che vediamo, ogni rudere, ogni pezzo di muro vuole essere esplorato e così il gioco ci stimola a fermarci per vedere cosa troveremo. E in qualche modo è sempre una sorpresa. Differentemente dagli accampamenti, torri, inserire cliché dell’open world moderno, Elden Ring riesce sempre a stimolare restituendoci esperienze mai uguali tra loro. C’è sempre una giustificazione narrativa, i castelli diroccati sono in quel posto per un motivo, sono diroccati per un motivo, e con un po’ di curiosità si possono scoprire storie di eroi maledetti e unirle tra loro per capire cosa ha portato l’Interregno nella drammatica condizione in cui si trova.

La narrativa ambientale è ancora un punto di forza, e così fuori da Leyndell, la capitale, troveremo un cimitero di enormi lance, a raccontarci di una battaglia su vastissima scala, per dirne soltanto una.

Le missioni secondarie, strutturate e complesse come mai nella serie, ci guideranno in posti nascosti e dimenticati dell’Interregno, che magari non scopriremmo altrimenti, curati come i dungeon principali. Ricostruire la storia del mondo di gioco è così più affascinante del passato, perché l’approccio meno lineare e più libero crea sì maggior confusione, ma allo stesso modo ci permette di concentrarci su quello che vogliamo con i nostri tempi. I lunghi spostamenti da un luogo all’altro sono un piacere e non una necessità dovuta all’artificiale estensione della mappa di gioco, ricchi come sono di cose da scoprire.

La progressione prende quindi una via diversa, più libera. Gli ostacoli diventano meno insormontabili, perché nel momento in cui ci si accorge di trovarsi di fronte a un blocco non è più necessario rispondersi “git gud” o andare a farmare livelli, semplicemente si può intraprendere un’altra via ed esplorare. Chiaramente alcune porzioni di gioco sono bloccate all’inizio, e non è possibile andare subito ovunque, ma si tratta delle zone più avanzate e la libertà di approccio non viene minata ma anzi stimolata da quelli che in altri soulslike avremmo percepito come passaggi obbligatori da superare per poter avanzare.

In questo modo Elden Ring immagina una nuova via per l’action RPG open world, ponendosi in controtendenza rispetto agli altri esponenti del genere e prendendo quanto di meglio è stato fatto da From Software e inserendolo in questa nuova struttura. Il risultato è la sensazione di affrontare un mondo ostile, con le sue regole, morto e paralizzato nel tempo eppure vivo, con le proprie dinamiche e i propri gruppi in lotta. La sensazione di sentirsi gli ultimi arrivati in mezzo a qualcosa che c’era prima di noi, molto più grande di noi, e che ci sarà anche dopo, mentre ciò che rimane da svelare è che ruolo avrà il nostro protagonista negli equilibri futuri, e quali di questi equilibri deciderà di porre in essere.

Una voglia di scoperta legata a luoghi e a persone che hanno qualcosa da dire, che portano dentro una storia che noi non conosciamo. Una voglia di scoperta di un mondo altro, tipica del fantasy ben fatto, in contraddizione con le storie di personaggi a cui siamo abituati. Non l’epopea di un eroe o di un’eroina all’interno di un mondo, ma la storia stessa del mondo che dobbiamo capire e rimettere insieme, prima di poterci prendere la libertà di imporci su quel mondo.

Il rovesciamento di paradigma operato da From Software all’interno dell’open world non è quindi solo meccanico, e non è solo una dichiarazione di intenti su come l’opera debba farsi esperire dal giocatore, ma è un rovesciamento completo del modo in cui siamo abituati a vivere le storie. Lo era già nelle opere precedenti, ma l’agire libero del giocatore, non più guidato da zone più o meno consequenziali, obbliga e stimola a una maggiore attenzione, a un rapporto diverso con le terre che si vanno a esplorare, restituendo un modo innovativo nonostante apparentemente legato al passato di dialogare con i mondi fantastici interattivi.

In fondo Elden Ring è principalmente un modo diverso di intendere i videogiochi, anche Tripla A, legato a una visione autoriale forte e alla sicurezza di poter portare avanti il proprio modo di intendere il videogioco senza necessariamente dover cedere alle sirene delle tendenze dell’industria. La proposta di From Software ha trovato successo seguendo questa via, e i risultati di pubblico di Elden Ring sono l’ennesima conferma che c’è possibilità di fare grandi vendite anche seguendo la propria via.

Luca Marinelli Brambilla
Nato a Roma nel 1989, dal 2018 riveste la carica di Direttore Editoriale di Stay Nerd. Laureato in Editoria e Scrittura dopo la triennale in Relazioni Internazionali, decide di preferire i videogiochi e gli anime alla politica. Da questa strana unione nasce il suo interesse per l'analisi di questo tipo di opere in una prospettiva storico-politica. Tra i suoi interessi principali, oltre a quelli già citati, si possono trovare i Gunpla, il tech, la musica progressive, gli orsi e le lontre. Forse gli orsi sono effettivamente il suo interesse principale.