A dieci anni dall’uscita originale di Demon’s Souls, Bluepoint Games ce lo restituisce aggiornato sotto l’aspetto estetico. Bello come allora e con un importante significato filologico

Diciamoci la verità: il remake di Demon’s Souls per Playstation 5 è l’unico vero titolo next gen del momento. Non perché Spider-Man Miles Morales non sia eccellente (anzi in alcuni aspetti è ancora più d’impatto) ma perché semplicemente è l’unica esclusiva pensata e realizzata unicamente per la nuova generazione. C’è da stupirsi di come un gioco così di nicchia, almeno nella teoria, sia stato chiamato a trainare le vendite della nuova macchina Sony.

Il rinnovamento di Demon’s Souls è stato affidato ancora una volta a Bluepoint Games, e sarei disonesto a non dirvi che all’inizio avevo qualche preoccupazione visto il lavoro svolto su Shadow of the Colossus. Un lavoro tecnicamente impeccabile, ma dove si andava perdendo molta dell’atmosfera rarefatta del gioco originale. Demon’s Souls è in questo accostabile all’opera di Ueda: i limiti tecnici, l’essere “sporco” dell’originale, rendeva l’atmosfera unica e marcescente, contribuendo in parte nel pennellare il Regno di Boletaria in rovina.

Fortunatamente invece il remake di Demon’s Souls è uscito fuori più bello che mai, e riesce contemporaneamente ad essere un gioco ancora attualissimo e un ottimo punto di partenza per riflettere sulle evoluzioni del genere soulslike e sulla poetica di From Software e Myiazaki.

Bluepoint Games non ha infatti toccato niente, grafica a parte, del gioco originale: nessun nuovo bilanciamento, nessuna aggiunta narrativa, nessuna sesta arcipietra. Il gioco è sempre quello di dieci anni fa, con la magia decisamente troppo potente e le sue scorciatoie dovute a sviste di level design. Le uniche aggiunte sono una stanza con un’armatura e la possibilità di giocare con l’intero gioco specchiato: nulla che possa modificare nella sostanza il gioco originale.

Questo significa che chiunque conosca a menadito il gioco originale si troverà subito a casa e probabilmente non avrà nessun bonus se non la sontuosa veste grafica e la meraviglia dei 60 fps, benedetti in un gioco così votato all’azione. Per tutti gli altri invece, quelli che non hanno mai giocato a Demon’s Souls e quelli che semplicemente non lo ricordano, quest’opera di remake è un’ottima occasione per tornare alle origini con un gioco nella sostanza tanto diverso quanto simile alla serie Dark Souls.

Demon’s Souls, infatti, non aveva ancora la struttura a mondo interconnesso, ma si suddivideva in cinque livelli indipendenti tra loro. Nonostante una maggior linearità c’è già quel gusto per l’esplorazione tipica degli episodi successivi, così come è presente quell’impianto narrativo criptico e asciutto in grado di suscitare sentimenti forti e inaspettati nel giocatore.

Le diverse zone esistono peraltro in parallelo, non c’è una successione lineare, così da obbligare il giocatore a scegliere quale ordine seguire, quale zona abbandonare per tornarci successivamente e creando un sistema di esplorazione peculiare per il quale è utile battere zone solo per capirne il funzionamento e le caratteristiche, per poi decidere quale via è meglio seguire prima, quale è meglio lasciare per dopo e di cosa si ha bisogno per continuare l’avventura.

Il sistema di scorciatoie, cardine del level design delle aree, è ancora acerbo quando non totalmente assente, rendendo la navigazione tra un boss e l’altro spesso più complessa della boss fight stessa. Boss fight che, a loro volta, sono mediamente piuttosto lontane da quelle a cui siamo stati abituati dagli ultimi lavori di Miyazaki, ponendo quasi sempre al centro degli scontri gimmick che, una volta comprese, rendono le battaglie piuttosto semplici.

demon souls remake playstation 5

Anche il sistema di build del personaggio, per quanto perfettamente sovrapponibile a quello degli altri souls, funziona in modo diverso, premiando molto di più personaggi con statistiche varie su quelli estremamente focalizzati, in modo da poter cambiare approccio a seconda delle specifiche debolezze degli avversari, molto più marcate.

Cambiare spesso arma, armatura e approccio ha un peso molto maggiore rispetto ai titoli successivi, dove con una build molto specializzata è possibile affrontare in maniera relativamente rilassata il gioco. La seconda zona, ad esempio, ha nemici molto deboli agli attacchi perforanti e alla magia, e sarà preferibile affrontarla con lancia o armi magiche anche se si ha una build costruita per utilizzare armi con un alto scaling in forza (e un alto valore in forza), perché il peso delle resistenze e delle debolezze degli avversari si fa sentire molto di più. Questo ovviamente è vero per una prima partita totalmente PVE, avanzando il discorso si complica.

Queste differenze rispetto alla serie Dark Souls hanno reso la mia partita estremamente divertente, perché invece di trovarmi come al solito a fare una build specifica per portarla avanti per tutto il gioco mi son sentito stimolato a sperimentare le più disparate armi e le più disparate soluzione per avere un “vantaggio” negli scontri con i boss e i nemici, invece di cercare di imparare perfettamente ogni movimento da fare per uscire indenne dagli scontri e dalle lunghissime aree senza scorciatoie.

Anche le boss fight con i relativi gimmick si son rivelate più “intellettuali”, spostando i miei sforzi dall’imparare a perfezione i moveset avversari (cosa comunque necessaria in alcuni casi) al tentativo di capire come sfruttare le loro debolezze dopo aver capito quali fossero.

Quello che più mi ha colpito però è stato il riscoprire retroattivamente quanto dei giochi successivi si trovi già in Demon’s Souls, che è stato un’esperienza per metà nuova dal momento che la mia memoria non è granché e che quindi ricordavo giusto un paio di aree traumatiche del gioco.

Dalle boss fight in cui è impossibile danneggiare direttamente il nemico a enormi ammassi di carne da far cadere, passando per paludi venefiche e aree costruite di fragili e sconnesse piattaforme dove il primo obiettivo è non cadere, c’è veramente tanto tanto di quello che verrà ripreso nei giochi successivi, ed è bellissimo notare come in nuce tutta l’opera di From Software era già lì, in quelle 25 ore di Demon’s Souls.

demon souls remake playstation 5

Anche l’aspetto narrativo non è da meno, ed è veramente un peccato che la lore di Demon’s Souls sia rimasta ferma lì, senza essere espansa. La narrazione è sempre portata avanti attraverso dialoghi striminziti e descrizioni di oggetti, ma come da tradizione di Miyazaki riesce ad essere efficace molto più di tanti altri racconti costruiti su ore di cutscene.

La scrittura è come sempre perfetta nel dare indicazioni di quello che era il mondo prima della catastrofe, e riesce a suggerire l’esistenza di regni e re, religioni e messia, e soprattutto storie di uomini. Storie di persone che si sono trasformate e storie di persone che hanno cercato di salvarle. Ma anche storie di entità divine di forza infinita e storie di potere.

Il dark fantasy di Demon’s Souls è violento, non c’è salvezza per i buoni né giustizia per i cattivi, e il gameplay ha un ruolo fondamentale nel raccontare queste storie, ponendo al centro il protagonista e le sue azioni, ma anche il giocatore stesso e la sua capacità di studiare quello che lo circonda. Ogni zona ha una sua storia, una sua architettura, una sua funziona nel mondo di Boletaria. Ogni arcipietra è abitata da popoli diversi con un trascorso diverso, ed è retta dalle sue divinità e dai suoi potenti.
Un modo di gioco stratificato e variegato, forse anche più interessante di quello costruito in Dark Souls.

Se però è importante parlare di Demon’s Souls dieci anni dopo e della sua eredità, è anche fondamentale in questa sede parlare di ciò che si diceva in apertura, ovvero della sua natura next gen.

Bluepoint come già detto ha rivisto solo l’impianto grafico del gioco, ma lo ha fatto restituendoci qualcosa di inimmaginabile sulle console di (ormai) vecchia generazione. Come sembra diventerà tradizione, Demon’s Souls presenta un selettore di impostazioni grafiche che permette se puntare sulla risoluzione nativa 4K per 30 fps o sul framerate, arrivando ai 60 fps ma abbassando la risoluzione a 2K.
È innegabile che sia preferibile puntare sulla seconda possibilità, data la maggior fluidità offerta e la diminuzione dell’input lag dovuta all’aumento di fotogrammi.

Framerate a parte però, Demon’s Souls è veramente uno spettacolo per gli occhi, a partire dal sistema di illuminazione dinamica, al centro della polemica poco prima dell’uscita per l’assenza di ray tracing, a quanto pare nuova feature irrinunciabile del videogioco next gen.

L’illuminazione del gioco è eccellente e contribuisce con i suoi giochi di luci e ombre a costruire quell’atmosfera unica del gioco, aggiornandola al 2020.
Certamente le luci fanno buona parte del lavoro, ma non finisce qui, perché anche il resto del comparto tecnico è in grado di farci sognare gli anni che verranno della next gen. Le texture sono rifinitissime e così i modelli poligonali, molto più complessi di quanto non siamo normalmente abituati.

Le ambientazioni, già eccellenti nel design, sono a loro volta estremamente ricche di dettagli prima impensabili. La cosa che più stupisce è quanto sia possibile percepire grazie alle novità tecniche l’identità dei luoghi: l’estensione della città di Boletaria, le profondità oscure e le guglie impossibili di Latria, l’estensione delle Miniere di Stonegfand, il cielo gravido di pioggia della Cripta delle tempeste e la marcescenza della Valle della corruzione.

Sarà chiaro a questo punto che questo remake di Demon’s Souls è un’opera importante sotto diversi punti di vista, e che si tratta di qualcosa che tutti gli appassionati di Action RPG dovrebbero assolutamente recuperare il prima possibile. Probabilmente, come ogni soulslike, non si tratta di qualcosa di adatto a tutti, e magari non vi venderà da solo una Playstation 5.

L’importanza di Demon’s Souls è da ricercare non solo nel suo essere bellissimo, ma anche nell’utilità di rivederlo a dieci anni di distanza per capire cosa abbia dato i natali a quella che è stata una delle pagine principali del gaming nell’ultima decade.

Rimane poi il fatto che è, ad oggi, il videogioco che assieme Spider-Man Miles Morales meglio ci può far immaginare quale futuro ci aspetta con la neonata generazione di console, mettendo a tacere tutti i discorsi sullo scarso scarto prestazionale con la passata generazione e tutti i ragionamenti sul fatto che potesse girare anche su Playstation 4 Pro.

Luca Marinelli Brambilla
Nato a Roma nel 1989, dal 2018 riveste la carica di Direttore Editoriale di Stay Nerd. Laureato in Editoria e Scrittura dopo la triennale in Relazioni Internazionali, decide di preferire i videogiochi e gli anime alla politica. Da questa strana unione nasce il suo interesse per l'analisi di questo tipo di opere in una prospettiva storico-politica. Tra i suoi interessi principali, oltre a quelli già citati, si possono trovare i Gunpla, il tech, la musica progressive, gli orsi e le lontre. Forse gli orsi sono effettivamente il suo interesse principale.