Durante Etna Comics abbiamo avuto il grande piacere di incontrare e scambiare quattro chiacchiere con Gianluca Gugliotta, noto disegnatore italiano che ha lavorato (e continua a farlo) con le realtà più disparate. Da Marvel a DC, dal Belpaese alla Francia, passando per il cinema e altri progetti importanti.
Ci siamo voluti togliere molte curiosità, e Gugliotta ha risposto con cordialità a tutte le nostre domande.

Sei un artista che ha disegnato di tutto, per tutti. Hai disegnato per l’America con la Marvel, hai disegnato per la Francia, per il cinema, per applicazioni e giochi. Puoi farci una panoramica delle tante sfumature che può avere il disegnare in questi ambiti diversi?

Direi che fanno un po’ parte di un’evoluzione personale, quella di spaziare in mercati diversi tra loro. Ho sempre cercato di sperimentare nuove strade, nuove soluzioni grafiche, quindi non mi sono mai soffermato molto sul mercato, ma sulla mia evoluzione artistica. La Marvel ha ovviamente delle sfumature ben precise, un target cinematografico legato giustamente al cinema e ai supereroi. La cosa che preferisco di quel mondo è la grande libertà che ho dal punto di vista dell’inquadratura, della regia e via dicendo. In Italia, come anche in Francia c’è un apporto grafico che è molto differente, più legato alla storia, più intimista. Si lavora di più sulla ricerca dell’espressione, dei personaggi. Quindi lo vedevo come un mercato che servisse anche a me a migliorare sotto quel punto di vista. Forse quello che più in assoluto volevo fare fin dall’inizio era quello delle storyboard per il cinema, al fumetto ci sono arrivato quasi per caso. Del cinema mi piace, appunto, tutto: il concetto dell’inquadratura, le luci, l’idea che c’è dietro un set. La cosa bella è entrare ed uscire da questi mercati, che hanno molti punti di contatto, ma sono ognuno con una propria specificità.

Questa tua evoluzione ha trovato un punto di arrivo, un equilibrio?

Non lo so, se devo essere sincero. Sono alla continua ricerca di un equilibrio artistico ben preciso. In questo momento sto lavorando con il mercato francese, sto facendo una graphic novel e mi sto trovando a sperimentare cose nuove. Tavole anche di dodici vignette, e spesso la difficoltà di lavorare in spazi ristretti, la difficoltà di non poter dare quell’ariosità e potenza del fumetto americano. Anche questo lo vedo come qualcosa che mi può arricchire, per poter tornare al mercato americano con degli elementi in più. Poi ci sono chiaramente delle preferenze: il mio sogno nel cassetto sarebbe Batman. Mi piacciono i personaggi più oscuri, come Devil, Batman, ma anche Silver Surfer per certi versi. Però in questa fase sono più legato alla narrazione, al concetto della graphic novel; poter raccontare storie su più pagine ad ampio respiro.

Come stai facendo per Bonelli, con serie composte da numeri che arrivano anche ad oltre 90 pagine.

In questo momento sto facendo uno speciale su Dragonero di 126 pagine. C’è la possibilità di poter raccontare in un arco molto lungo. In Francia, quello che mi piace moltissimo è che hai una soddisfazione personale con un grande lavoro lungo anche un anno. Hai una prova tangibile, esci con un cartonato, in libreria, e l’artista viene valorizzato.

Ci puoi parlare un po’ di questo progetto francese?

Certamente! È un progetto dalle sfumature dark, esoteriche. Parla fondamentalmente di Aleister Crowley, della nascita dell’esoterismo a cavallo tra la Sicilia e Londra. Una storia particolarissima scritta da una sceneggiatrice italiana, che si chiama Giovanna Furio. Lei è già al terzo libro, una conferma quindi. Abbiamo presentato insieme il progetto, e si tratta di un lavoro con tavole quasi oniriche, surreali. Penso uscirà tra la fine del 2018 e l’inizio del 2019.

Pensi la vedremo in Italia, magari con un formato francese?

La particolarità di questo progetto è che uscirà in un formato da comic book americano. Quindi ha un approccio un po’ diverso anche a livello di stampa, un po’ più stretto e un po’ più lungo, bianco e nero con mezzetinte azzurrate. Tutta la collana sarà in questo stile, intitolata “Flesh and Bones”, con storie di altri artisti importanti.

Hai detto di lavorare anche nel cinema. Come lo vedi questo rapporto sempre più stretto tra cinema e fumetto? Alcuni lo ritengono positivo perché avvicina le persone al fumetto o al cinema, altri lo ritengono superficiale perché si rincorre più l’idea di un personaggio per portarlo sullo schermo e fare vendite, che presentare una storia efficace. C’è il rischio che il fumetto corra dietro al cinema, insomma. Tu che lavori anche come storyboard artist, che ne pensi?

Mah, lo vedo come un rapporto sinergico. Fa bene a entrambi. È ovvio che poi tutto è legato alle storie, ce ne sono alcune che si prestano ad essere raccontate sotto forme grafiche, ma quando vengono trasposte al cinema perdono parecchio. Ad esempio Avengers, che cerca di raccontare in un solo film quello che è un ciclo narrativo molto lungo, ma così tendi ad appiattire tutte le personalità di tutti i personaggi, e rischia di diventare un minestrone dove cerchi di raccontare tanto ma poi non riesci a raccontare nulla. Vedo meglio storie che hanno un inizio ed una fine, tipo Wanted.

Tornando al discorso di prima, come funziona invece lavorare per un’applicazione? Di cosa si tratta?

Ho lavorato ad un’applicazione di numerologia. Un lavoro di equipe in cui c’era un antropologo che aveva quest’idea di associare immagini simili a totem ad un numero. L’idea carina era che in base alla data di nascita di ogni singola persona si riusciva a risalire a varie caratteristiche sociali, associate ad un animale totemico. Dovevo cercare di carpire all’interno di ogni caratteristica un’immagine, anche stereotipata, legata a quel concetto.

Se dovessi dare un consiglio ai nuovi disegnatori o autori, di fumetti ma anche di cinema, cosa gli diresti?

Sono in questo campo dal 2009, e sono autodidatta. Non avendo avuto scuole alle spalle ho dovuto imparare lavorando. Per chi ha la fortuna di fare la scuola, quello che consiglio sempre agli alunni della Scuola di Fumetto di Palermo, è di andare alle fiere, mostre, musei, di osservare la realtà senza chiudersi su un PC, ascoltare sempre i professionisti perché possono darti buoni suggerimenti. Un tempo imparavi dai tuoi errori, mentre oggi le scuole ti permettono di accorciare molto i tempi d’introduzione a livello personale, e riesci a carpire dagli insegnanti le modalità per apprendere velocemente certe cose. È una grande fortuna.
La rete ha vantaggi allucinanti, ma rischia di appiattire, omogenizzare le personalità di ognuno. Guardiamo quasi tutti la stessa scatola e alla fine si perde l’identità personale. Siamo diversissimi e con la capacità di creare qualsiasi cosa, ma bisogna attingere dalla realtà. Bisogna saper utilizzare il web. Le scorciatoie non tornano utili se non fai tutto il percorso; puoi incamerare informazioni e input gettandole su un foglio ma non diventano tue. Diventano tue dopo che le hai sperimentate molte volte e vengono filtrate dalla tua persona, creando il tuo stile, senza avere un senso di già visto in quello che si crea.