Il ritorno della serie simcade di Microsoft funziona, ma gli manca quel qualcosa in più

Forza Motorsport arrivò sul mercato nel 2005 con il chiaro intento di contrastare Gran Turismo, simulatore di guida su console per eccellenza, colpevole di essersi seduto sugli allori in virtù della sua posizione monopolistica. Seppur arrivato alla fine del ciclo vitale della prima Xbox, il primo episodio della serie Microsoft si dimostrò un gioco in grado di surclassare il suo avversario, eppure non riuscì mai a conquistare davvero i giocatori, subendo poi un tracollo non solo causato dalle terribili scelte operate dal team della prima Xbox One, ma anche per tutta una serie di meccaniche di microtransazioni che spesso e malvolentieri rovinavano l’esperienza generale.

Un peccato visto che, nonostante questo caos, c’era comunque alla base un sistema di guida eccellente, una scalabilità della difficoltà molto ampia e adatta a tutti, nonché un’intelligenza artificiale già valida in partenza e migliorata considerevolmente a valle dell’introduzione dei Drivatar, i quali imparano a guidare attraverso le prestazioni dei giocatori reali replicandone ogni peculiarità.

Nei sei anni che sono trascorsi tra Forza Motorsport 7 e questo nuovo capitolo che incarna un reboot della serie c’è sicuramente stato molto tempo per riflettere su quale percorso intraprendere per ridare ai giocatori Xbox un simcade di fattura eccellente e, in tal senso, l’obiettivo è stato centrato.

Il nuovo Forza Motorsport è stato rivisto da zero e dunque rinnovato in molte delle sue componenti: la prima cosa che salta alla mano è un sistema di guida di livello che, al netto delle mancanze hardware del controller Xbox rispetto ad un Dual Sense, per esempio, è comunque efficace nel trasmettere al giocatore il peso della macchina e il controllo della stessa.

Si è poi introdotti ad una nuova carriera chiamata Builder’s Cup, dove i giocatori possono sperimentare l’ebbrezza dei Track Days, ovvero quei raduni di appassionati che portano le loro macchine sui circuiti per gareggiare in un contesto semi agonistico, mettendo comunque davanti a tutto il divertirsi alla guida piuttosto che la competizione pura.

La Builder’s Cup si compone di diverse playlist dedicate a varie branche dell’automobile, ad esempio, le Hot Hatch oppure le auto storiche e ogni “torneo”, composto di cinque gare, permette al giocatore di prendere una macchina stock e (quindi con regolazioni da concessionario), gara dopo gara, migliorare la meccanica e le prestazioni del nostro veicolo man mano che i chilometri si accumulano.

Ogni macchina infatti ha un suo sistema di esperienza che permette di guadagnare punti esperienza auto (o PE Auto) che si accumulano principalmente macinando strada sulla nostra macchina, ma è possibile ottenerne anche partecipando ad attività bonus come, ad esempio, effettuare i giri di prova, segnare di un buon tempo nonché affrontare con successo segmenti iconici di un tracciato come l’iconica curva San Donato del Mugello, oppure il temibile Harpin di Suzuka che tanti giocatori di Gran Turismo ricordano con orrore.

I punti esperienza accumulati si convertono in punti validi per modificare le nostre auto, oltre a sbloccare nuovi aggiornamenti ad ogni passaggio di livello. In sostanza, più guideremo la nostra macchina più possibilità di upgrade avremo tra una gara e l’altra: si parte da modifiche semplici come i cerchioni o componenti base come volano e candele, fino ad arrivare a cambiamenti radicali come l’allargamento della carrozzeria o uno swap del motore, che consente di creare dei mostri da corsa ai limiti dello street legal.

Il vero problema della Builder’s Cup è probabilmente il suo essere un semplice terreno di prova per abituare i giocatori alle meccaniche della modalità multiplayer, problema che risulta evidente in virtù del fatto che, terminato un campionato, difficilmente ci rimetteremo al volante della macchina a cui abbiamo dedicato tutte le nostre attenzioni. Questo dettaglio, almeno per me, ha rappresentato una rottura della progressione di gioco, oltre ad un senso di incompletezza dovuto all’abbandonare un progetto in corso che forse rivedremo chissà quando.

La nuova modalità multigiocatore pesca in modo più diretto dal lavoro svolto dagli ultimi due capitoli di Gran Turismo: playlist tematiche con gare programmate, utili nel cambiare nettamente il mood rispetto alla carriera in singolo e mettendo l’accento sulla competizione. Il netcode funziona e la struttura di prove e qualificazione è sicuramente ben studiata, ottima per chi desidera fare dei test prima di procedere alla gara.

Quello che però mi ha lasciato più interdetto dopo diverse ore passate a giocare su Forza Motorsport è stata l’impressione di avere davanti un gioco che, seppur tecnicamente è sicuramente uno dei migliori simcade in circolazione, ho avvertito come molto asettico, freddo, lucido nel proporre soluzioni di gioco valide ma con scarsa personalità.

Per dire, se penso alla mia esperienza con il suo diretto concorrente Gran Turismo 7, era evidente come il titolo di Kazunori Yamauchi si fosse impegnato nel creare un gioco che parlasse al giocatore, esprimendo attraverso la carriera ma anche nei luoghi più insospettabili l’amore viscerale che il creatore del gioco nutre per il mondo dell’automobilismo.

Una scelta che apprezzai tantissimo anche in fase di recensione e che sicuramente ha permesso a Gran Turismo 7, pur con le sue imperfezioni e difetti (tipo le microtransazioni post-lancio), di rimanere comunque nel mio cuore, nella mia mente. Al contrario Forza Motorsport preferisce adottare uno stile più serioso, che vuole trasmettere l’animo della competizione caratteristico di simulatori molto più concreti come un Assetto Corsa, nonostante proprio un elemento come la Builder’s Cup mi abbia trasmesso qualcosa di molto più semplice, nettamente meno elevato e più fraternizzante.

Ribadisco che questa è una sensazione di pancia e che, al di là di tutto, non va a inficiare il giudizio di merito del gioco. Ribadisco ad esempio la bontà del modello di guida che trasmette in modo eccezionale l’evoluzione dell’auto con il passare degli upgrade. Sempre in termini di evoluzione non posso che essere contento dell’arrivo di un sistema di penalità che giudica le collisioni e i fuoripista di giocatori, assegnando eventualmente delle penalità che vanno a sommarsi nel tempo finale di gara: può sembrare roba da poco ma, nei fatti, il comparto multiplayer della serie ha sempre avuto il vizio di essere una terra di nessuno, dove il concetto di guida pulita e sportività sembravano ereditati da Destrucion Derby.

Buono anche il parco macchine, discretamente numeroso ma di gusto spiccatamente americano: tante macchine del mercato stelle e strisce, dunque, ma anche un occhio di riguardo nei confronti delle Hypercar e le macchine più esotiche di stampo europeo. Sorprendente la massiccia presenza di monoposto, perlopiù d’epoca, molto soddisfacenti da guidare oltre ad essere un modo per non impelagarsi eccessivamente in un contesto di macchine da GT che avrebbero rischiato di appiattire troppo le competizioni online, oltre ad aumentare le similitudini con la concorrenza.

Concludendo, Forza Motorsport è il simcade che tutti i giocatori Microsoft meritano, al punto da sentirmi costretto a fare una piccola richiesta: mi auguro che, da parte di Microsoft, ci sia un solido supporto al gioco. Un supporto simile a quello avuto sui vari Horizon, per capirci, che non si trasformi in un abbandono del gioco come già accaduto su Halo Infinite o Redfall, ormai abbandonati al loro destino. Insomma, dopo Stardfield, un’effettiva dimostrazione di affetto che confermi ufficialmente l’inizio di un nuovo corso a Redmond.

Francesco Paternesi
Pur essendo del 1988, Francesco non ha ricordi della sua vita prima del ’94, anno in cui gli regalarono un NES: da quel giorno i videogiochi sono stati quasi la sua linfa vitale e, crescendo con loro, li vede come il fratello maggiore che non ha mai avuto. Quando non gioca suona il basso elettrico oppure sbraita nel traffico di Roma. Occasionalmente svolge anche quello che le persone a lui non affini chiamano “un lavoro vero”.