Tuffo nostalgico negli anni Novanta, alla riscoperta di un capolavoro sperimentale Disney: i Gargoyles

Il potere della nostalgia degli anni Novanta non ha uguali. Attimi racchiusi in una memoria senza tempo continuano ad apparire nella mente di tutti noi e riattivano quella giostra di ricordi infantili. Si guarda indietro con ammirazione, innamorati dell’apparente magia che ha riempito l’infanzia. Ma è sempre positiva? Alle volte la nostalgia crea uno spesso velo che copre il passato e lo idealizza. Situazioni e prodotti mediocri si trasformano in splendidi ricordi. Ed una delle grandi regole della nostalgia è lasciare tutto saldamente in mano alla memoria. Mai tornare realmente in quei mondi distorti dalla fantasia. Rivedere, rigiocare o rileggere cose che ci sembravano meravigliose spesso si rivela doccia gelata carica di delusioni. In un attimo ti rendi conto del meccanismo che ha trasformato negli anni una sensazione, ampliandola e proiettandola all’infinito nel proprio cinema mentale. Alle volte però questa regola deve essere infranta. Perché tra tanti ricordi distorti si nascondono piccole gemme che vale la pena recuperare. E quel salto nel passato risulterà ancor più appagante. Questo è il caso di Gargoyles, il risveglio degli eroi.

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Gargoyles: la genesi

Il motivo per cui Gargoyles va recuperato e spolverato dalla soffitta nostalgica è semplice: era ed è tuttora un capolavoro. Per capire il perché di questa roboante definizione bisogna salire a bordo di una macchina del tempo virtuale e partire. Destinazione anni novanta.

Il decennio dal 1990 al 2000 rimarrà indelebile per gli amanti della cultura Pop. Chi ha vissuto la propria infanzia in quegli anni è cresciuto a Nesquik e cartoni. Bim Bum Bam, Solletico e le emittenti private erano una vera fabbrica di sogni. Coloratissimi, come ogni cosa proveniente da quel periodo storico. C’era una volta il Paradiso dei ragazzi made in ’80: i Biker Mice, gli Street Sharks, Sailor Moon e ovviamente la Disney.

Sul grande schermo uscivano alcuni tra i capolavori più belli mai creati dalla casa di Topolino & co: in tre anni uscirono Il Re Leone, Aladdin, La Bella e La Bestia. Ma anche sul piccolo schermo la Disney era particolarmente attiva. Ben lontana dalle acquisizioni della Marvel, Lucas e Fox, l’industria statunitense si concentrava sulla creazione di serie animate incentrate sui personaggi più iconici del proprio panorama.

Non era ancora giunto il momento delle serie live action, che avrebbero contraddistinto i prodotti televisivi disneyani del nuovo millennio. In quel periodo gli autori si concentravano su storie basate su proprietà intellettuali classiche. Duck Tales, Tales Spin, Cip & Ciop agenti speciali ampliavano o modificavano storie e protagonisti conosciuti e familiari ai fan più giovani. Ma il successo avuto con queste serie, prodotte nei primi anni del magico decennio, non bastava. C’era bisogno di novità.

In quel periodo storico, lontano anni luce dagli Avengers e Star Wars, la Disney aveva difficoltà a intercettare un target preciso: la fascia d’età tra i 13 e i 16 anni. I film e le serie spopolavano tra i più giovani, ma non venivano particolarmente apprezzati dagli adolescenti, che preferivano cartoni provenienti dalla terra del Sol Levante. Dopo un’accurata indagine di marketing venne deciso di creare un prodotto ex novo, senza riutilizzare personaggi “storici”.

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Il nuovo progetto fu affidato a Greg Weisman, Michael Reaves, e Brynne Chandler Reaves. In particolar modo l’intento era quello di emulare lo spirito goliardico e sopra le righe di un’altra serie, griffata Warner: gli Animaniacs. La serie era ideata da Tom Ruegger e prodotta nel 1993 dalla Amblin Entertainment di Steven Spielberg in associazione con la Warner Bros. La particolarità del cartone era l’essere completamente fuori di testa, con una dose d’ironia particolare per l’epoca, con continue trovate da sketch comedy.

La Disney richiese quindi una serie con battute leggeri, situazioni paradossali e personaggi buffi. L’idea però non convinceva totalmente gli autori, che ebbero un colpo di fulmine creativo spostando l’attenzione su un’altra serie coeva. Su Fox Kids il 6 settembre 1992 infatti aveva debuttato una delle serie animate più belle del periodo. Forse di sempre. Batman: The Animated Series fu epifanico per tutti: spettatori, fumettisti, addetti ai lavori vennero stregati dai disegni e, soprattutto, dalle ambientazioni e dai temi affrontati. I tre creatori ingaggiati dalla Disney decisero di virare la rotta su un prodotto più maturo, capace di catturare un pubblico difficile e ancora distante dal rassicurante fatato universo disneyano.

Decisivo in particolar modo fu l’apporto di Brynne Chandler Reaves, una delle migliori autrici di quel periodo in campo cinecartoon. La Reaves infatti aveva scritto storie di Spider-Man: The Animated Series, Teenage Mutant Ninja Turtles, He-Man and the Masters of the Universe e proprio Batman: The Animated Series, per cui ricevette addirittura un Emmy.

Gli autori chiesero alla Disney di poter osare: serviva una serie sperimentale, cupa, affascinante. L’iniziale idea di un cartone scanzonato e brillante fu stracciata. La comicità poteva attendere. C’era bisogno di un prodotto maturo, dotato di un’architettura narrativa complessa e articolata. Il 24 ottobre 1994 sulle tv americane debuttò Gargoyles – Il risveglio degli eroi. E nulla fu come prima.

Chi erano i Gargoyles?

La prima stagione de Gargoyles era contraddistinta da 13 episodi, di cui 12 furono scritti dai Reaves. Dialoghi brillanti, una complessa struttura piena di sottotrame, tematiche adulte e rimandi colti furono alla base dell’opera, che ruotava intorno a dei personaggi che ammiccavano al mondo Marvel, in particolar modo agli X-Men della serie animata del 1992. Ma oltre alla componente di forte matrice supereroistica la serie verteva su riferimenti continui al folklore, alla mitologia e alla narrativa britannica e scandinava.

La trama dei Gargoyles prende vita in Scozia, nel 1994, anno in cui i protagonisti del cartone vengono colpiti da una maledizione di un mago, che usa il libro Grimorum Arcanorum per farli addormentare in un sonno che si sarebbe interrotto solamente quando “il loro castello non fosse giunto sopra le nuvole”. Secoli dopo, nel 1994, un miliardario americano, David Xanatos, acquista il castello, lo smonta e lo trasporta sul suo grattacielo a Manhattan. E il castello magicamente si ritrova al di là delle nuvole, rompendo finalmente l’antica maledizione. I gargoyles si risvegliano in un mondo completamente diverso, ma mantengono le caratteristiche fisiche e morali di un tempo: vivono di notte, diventando pietra di giorno, e combattono le ingiustizie che si perpetuano sulla terra.

Il leader del gruppo si chiama Golia, mentre gli altri non hanno mai avuto un nome proprio e decidono di farsi chiamare con i nomi dei luoghi più iconici di New York: Brooklyn (gargoyle rosso), Hudson (l’anziano del gruppo), Lexington (il più giovane), Broadway (grosso e verde) ed infine Bronx (il gargoyle con l’aspetto di un cane). Oltre al gruppo dei gargoyles “buoni” si risveglia anche Dèmona, compagna di Golia e personaggio oscuro e vendicativo nei confronti del genere umano.

Il personaggio che funge da raccordo tra il mondo dei gargoyles e quello umano è Elisa Maza, agente di polizia e vera e propria guida al mondo contemporaneo. Anche in questo la serie era già proiettata verso il futuro: Maza è metà afroamericana e metà nativa americana e divenne subito un esempio per il pubblico americano. Una scelta coraggiosa per il tempo, in cui una protagonista femminile di colore era ancora utopica. Grazie a lei e al suo rapporto con Golia si ragiona e si indaga sul ruolo del vigilantismo e supereroismo, attraverso riflessioni d’ampio respiro intellettuale.

Quello che colpì infatti fu una scrittura estremamente matura, capace di approfondire dei temi poco analizzati al tempo. Basti pensare che anni prima della strage di Columbine o dell’11 settembre Gargoyles cercava di educare e avvertire il pubblico a stelle e strisce sui rischi dell’utilizzo delle armi da fuoco. In una puntata scioccante (Episodio 8, Una vita sospesa / Deadly Force) Maza viene involontariamente colpita da un colpo di pistola partito per errore da Brooklyn e durante i 22 minuti dell’episodio si riflette sulla violenza e sul futile possesso di armi da fuoco.

Altro tema ricorrente dell’opera è la lotta al razzismo, palesato da Demona, che reputa l’essere umano inferiore e violento. Golia invece le sottolinea più volte l’esistenza dell’eterogeneità e l’importanza dell’integrazione. Ad ampliare la discussione ci pensano poi i Quarrymen, un gruppo di violenti vigilantes, contrari all’esistenza dei gargoyles. L’abbigliamento di questa banda la dice lunga: un cappuccio a punta, che rimanda al Ku Klux Klan e che diventa il simbolo di un’America etnocentrica e capace solamente di odiare.

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I temi trattati, i continui rimandi a Shakespeare (Macbeth, Otello e Sogno di una notte di mezza estate in primis) e dialoghi sempre brillanti piacquero al pubblico statunitense, che apprezzò la capacità di sperimentare e alzare l’asticella narrativa. Venne dunque creata una seconda stagione con ben 52 nuovi episodi! Gli autori di Gargoyles continuano il loro approccio sperimentale, dando vita a innumerevoli storie multi episodi. Una delle caratteristiche del cartone era proprio la capacità di tenere incollati i propri spettatori con racconti che si dipanavano in varie puntate, creando continue sottotrame e archi narrativi.

L’arco centrale della seconda stagione ruota intorno al tema del viaggio, un giro intorno al mondo che i gargoyles fanno per conoscere gli altri esponenti della specie. Sempre sotto il segno dell’unione, integrazione e creazione di una comunità. Essere così avanti rispetto al panorama degli anni ’90 fu un’arma a doppio taglio. Se la critica apprezzò il coraggio dei creatori della serie, il pubblico iniziò a diminuire durante la seconda stagione e la Disney accantonò il progetto. Certo, esiste una terza stagione, chiamata The Goliath Chronicles, ma è stata realizzata dall’ABC e non ha nulla a che vedere con il resto del progetto, sia dal punto di vista dei contenuti che lo stile. Il maldestro esperimento fu presto ripudiato, dal pubblico e dagli autori, rimanendo non canonico.

Il viaggio con la macchina del tempo è finito, ma la nostalgia e il desiderio di rivedere i Gargoyles fanno magicamente riaffiorare gli anni novanta. E in un attimo tornano quei pomeriggi passati a vedere Solletico, circondati sorprese dell’ovetto Kinder, cofanetti di Mighty Max, cartucce del Gameboy e involucri accartocciati contenenti Soldino Mulino Bianco…

Leone Auciello
Secondo la sua pagina Wikipedia mai accettata è nato a Roma, classe 1983. Come Zerocalcare e Coez, ma non sa disegnare né cantare. Dopo aver imparato a scrivere il proprio nome, non si è mai fermato, preferendo i giri di parole a quelli in tondo. Ha studiato Lettere, dopo averne scritte tante, soprattutto a mano, senza mai spedirle. Iscritto all'Ordine dei giornalisti dal 2006, ha collaborato con più di dieci testate giornalistiche. Parlando di cinema, arte, calcio, musica, politica e cinema. Praticamente uno Scanzi che non ci ha mai creduto abbastanza. Pigro come Antonio Cassano, cinico come Mr Pink, autoreferenziale come Magritte, frizzante come una bottiglia d'acqua Guizza. Se cercate un animale fantastico, ora sapete dove trovarlo.