Ghost Recon: Breakpoint segue le gesta del suo predecessore, proponendosi come un open world pieno di tante cose da fare che probabilmente non avrete voglia di fare

È innegabile che Ubisoft abbia dato una spinta importante all’affermazione dell’open world come genere di riferimento dei giochi ad alto budget. Se escludiamo gli esport (For Honor e Rainbow Six: Siege) e poche altre cose, è evidente come la produzione Ubisoft si concentri principalmente su titoli a mondo aperto.

Negli ultimi anni anche i titoli single player della software house hanno accolto modelli che richiamano più tradizionalmente i giochi online: microtransazioni, missioni giornaliere, ricompense estetiche e tutti quelli elementi tipici dei games as a service. Ovviamente l’equilibrio che Ubisoft cerca di trovare è quello di un gioco sì giocabile in singolo, ma anche (e soprattutto) in grado far tornare ancora e ancora il giocatore sullo stesso titolo.

Oltre a questi elementi tipici dei giochi-servizi ci troviamo anche di fronte a prodotti stracolmi di missioni secondarie più e meno utili, spesso poco coese con la narrazione principale, utili solo ad allungare il brodo senza aggiungergli alcun valore.

Ghost Recon: Breakpoint è un po’ la summa di tutte queste istanze della software house, trattandosi anche di un gioco giocabile in multiplayer (sia PVP che PVE). Tralasciamo il PVP per constatare che il PVE è effettivamente una meccanica importante nell’economia del gioco.

Ghost Recon è storicamente una saga il cui perno è la tattica. Uno sparatutto una volta in prima persona in cui al comando di un gruppo di soldati specializzati forniti della migliore tecnologia ci si trovava ad affrontare storie fantapolitiche di spessore.

Con la precedente incarnazione current gen, Wildlands, Ubisoft aveva cercato di portare il gioco in un mondo aperto. Il risultato non si rivelò soddisfacente, dal momento che la gestione dei compagni era quantomeno claudicante, la narrazione lasciava il tempo che trovava e che le missioni piuttosto ripetitive tradivano le oggettive difficoltà nel conciliare l’open world con un gioco tattico / stealth.

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Con questo Breakpoint Ubisoft cerca di correggere il tiro, limitando ad esempio le problematiche legate ai compagni (limitando = rimuovendo i compagni), aggiungendo dei timidi elementi survival e costruendo una storia decisamente più legata ai canoni della fantapolitica.

Sfortunatamente però il gioco non funziona lo stesso.

Lasciamo da parte la storia, che è evidentemente solo un collante per completare la missione principale. Ghost Recon: Breakpoint vuole essere un parco giochi per gli appassionati di operazioni militari. La mappa è piena di punti di interesse, missioni secondarie, armi nascoste da trovare e indizi da decifrare. Il problema principale è che tutte queste cose sono una distrazione da quello che ci si aspetterebbe da uno sparatutto tattico in terza persona: un gioco con un solido level design, con missioni variegate e stimolanti che fanno sentire il giocatore un soldato specializzato perso in un ambiente ostile.

In questo modo invece in Breakpoint si perde ogni sensazione di urgenza. Se prendiamo ad esempio Metal Gear Solid V, probabilmente il miglior stealth in circolazione calato in un contesto open world, è chiaro come il mondo di gioco fosse uno spazio di raccordo tra le varie aree di interesse. In Breakpoint è esattamente il contrario: le aree di interesse in cui si svolgono le missioni non hanno l’importanza che meriterebbero, sono fatte con lo stampino e disegnate in modo approssimativo, mentre lo spazio che le divide è riempito di compiti dalla dubbia utilità. 

Tutto il gioco è pieno di oggetti da raccogliere, collezionabili e indizi su aree segrete da scoprire. Quello che sembra essere il principale difetto di Ghost Recon: Breakpoint è il non essere assolutamente un prodotto a fuoco, con un obiettivo preciso e coerente con lo spirito del gioco. Come detto ci si trova di fronte a decine di oggetti da raccogliere, personalizzazioni estetiche, abilità e armi, tanto da sembrare a più riprese un loot shooter. Ci sono addirittura le microtransazioni, in caso vogliate comprare un bundle di fucili spendendo denaro reale.

Ma perché bisognerebbe investire tempo e risorse? Quale esigenza vuole soddisfare Ghost Recon: Breakpoint? Non racconta una trama così interessante, e anche sul fronte strettamente ludico l’unica cosa veramente ben realizzata è il gunplay, tanto che ho preferito giocare spesso in modo più aggressivo perché semplicemente in questo modo il gioco si rivela molto più soddisfacente.

Le diverse meccaniche introdotte, che dovrebbero nobilitare il gioco con elementi survival, sono a loro volta poco incisive. La barra della stamina, utile a correre, nel tempo diminuisce di dimensione ed è necessario bere acqua per rifocillarsi e riportarla alla dinemsione originale. La barra della vita è questa volta divisa in tre parti, e ognuna di queste può bloccarsi in caso di ferite gravi, rendendo necessario l’utilizzo di bende per curarsi. Le bende hanno un tempo d’impiego piuttosto lungo, rendendole scomode in combattimento. Si tratta di due introduzioni potenzialmente interessanti, e coerenti con l’ambiente ostile. Quello che manca è, ancora una volta, quel passo in avanti utile a integrare coerentemente e approfonditamente queste meccaniche nel gameplay complessivo.

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L’estrema personalizzazione di armi e equipaggiamento è certamente funzionale in una certa misura, ma principalmente appare essere estetica. Le armi sono tante, tantissime, troppe rispetto a quelle che servirebbero. Gli oggetti da indossare idem. Le personalizzazioni estetiche non ne parliamo.

Ghost Recon: Breakpoint è un gioco gonfio, che punta moltissimo sulla quantità, ma che non riesce a mettere a frutto tutto quello che mette sul piatto. La mappa è grandissima, e spesso è questo è motivo di noia e non di sprone all’esplorazione. Le armi son tante (ed è bello sparare), ma ne userete poche. Le missioni sono moltissime, ma sono davvero interessanti?

In ultimo non si può che spendere qualche riga sull’aspetto tecnico del gioco. Graficamente si difende più che bene, con un ottimo dinamismo dettato soprattutto dal continuo movimento delle piante. Effetti di luce e illuminazione complessiva sono di ottimo livello, così come le texture. Troviamo però un discreto riciclo di assets – gli NPC e molti dettagli li vedremo ancora e ancora – e le performance non sono sempre delle migliori.

Il problema principale però, sotto il profilo tecnico, sono certamente i bug. In un paio di occasioni mi son trovato con missioni della storia principale bloccate per colpa di NPC che non si muovevano con me, giusto per portare l’esempio più fastidioso. 

Un’altra nota dolente è sicuramente il doppiaggio, oltre alla scrittura stessa. In più e più occasioni mi sono reso conto che alcuni dialoghi erano scritti per poter essere riciclati in più occasioni, che andrebbe anche bene se non parlassi di momenti relativi alla main quest, per cui un minimo di sforzo in più poteva essere fatto. Questo porta un secondo problema con sé: il doppiaggio. Se mediamente il doppiaggio italiano di Breakpoint è senza infamia e senza lode, nei momenti in cui ci si accorge che alcune linee di testo sono riciclate è anche dovuto al fatto che la tonalità con cui queste vengono recitate è assolutamente incoerente con il discorso.

Quindi, è tutto da buttare? Beh, dipende molto dai vostri gusti. Se vi piace un certo tipo di gioco brainless, a cui dedicare un paio d’ore la sera con gli amici, potrebbe anche farvi passare il tempo. Potreste anche trovare di meglio, però, dal momento che di giochi utili a passare ore in compagnia non ne mancano. Penso ad esempio a un Destiny, certamente più a fuoco in quelli che vogliono essere i suoi obiettivi e decisamente realizzato meglio.

Purtroppo, dopo Wildlands, anche l’operazione Breakpoint è fallita. Il nuovo corso di Ghost Recon non rende giustizia a una saga storica come meriterebbe, e forse sarebbe il caso che Ubisoft cercasse una nuova via per quello che una volta era uno dei suoi franchise di punta, slegandolo dal concetto di game as a service, dalle microtransazioni e a tutte quelle piccole meccaniche inutili nella realizzazione di un prodotto single player o coop di qualità. Ghost Recon va ricostruito dalle fondamenta, perché effettivamente di sparatutto tattici e simulativi ne avremmo bisogno.

Luca Marinelli Brambilla
Nato a Roma nel 1989, dal 2018 riveste la carica di Direttore Editoriale di Stay Nerd. Laureato in Editoria e Scrittura dopo la triennale in Relazioni Internazionali, decide di preferire i videogiochi e gli anime alla politica. Da questa strana unione nasce il suo interesse per l'analisi di questo tipo di opere in una prospettiva storico-politica. Tra i suoi interessi principali, oltre a quelli già citati, si possono trovare i Gunpla, il tech, la musica progressive, gli orsi e le lontre. Forse gli orsi sono effettivamente il suo interesse principale.