Gli Irregolari di Baker Street arrivano su Netflix portando il paranormale nel mondo di Sherlock Holmes; rivisitazione che segue i trend o stravolgimento criminale dell’opera?

Gli Irregolari di Baker Street, nell’universo canonico sherlockiano, sono un gruppo di ragazzi di strada assoldati dal detective per raggiungere quei luoghi in cui un uomo come Holmes non passerebbe inosservato; nel mondo delle serie Netflix il cuore della narrazione resta lo stesso, ma alle atmosfere vittoriane si fondono in maniera non proprio innovativa quelle paranormal steampunk a base di mostri umani, grimori e rituali spiritici.

Non è la prima volta che gli Irregolari di Baker Street (che esistono realmente sotto forma società letteraria statunitense fondata nel 1934) si emancipano dalla figura di Sherlock, cercando di brillare di luce propria: nel 1983 il canale britannico BBC manda in onda gli otto episodi di The Baker Street Boys, che ci mostra le attività in cui sono impegnati gli Irregolari quando non sono alle prese con le missioni assegnate loro da Sherlock Holmes, che nella serie è meramente una presenza, una voce senza volto, mentre l’interazione con i ragazzi viene lasciata nelle mani di Watson. Dalla stessa premessa sembra partire anche questo The Irregulars, in cui le sorelle Beatrice e Jessica, insieme agli amici Billy e Spike, vengono reclutati da Watson per indagare alcune stranezze che hanno avuto luogo attorno a Baker Street.

The Gothic Irregulars

Gli Irregolari di Baker Street è una serie con un target adolescenziale che si inserisce nel tessuto seriale di Netflix insieme a produzioni come Fate – The Winx Saga e l’attesissimo Shadow & Bone, trasposizione dei romanzi di Leigh Bardugo, strizzando l’occhio al trend Dark Academia che unisce istruzione di alto livello e atmosfere gotiche. È un periodo molto cupo, questo, nelle serie adolescenziali. Letteralmente cupo, con scene immerse nell’oscurità, personaggi seminascosti dalle ombre, computer che si scaricano rapidamente durante la visione a causa della luminosità impostata al massimo. In tutta questa goticità, il gradino successivo della piramide dei bisogni di Netflix non può che essere una sana dose di paranormale, a costo di far storcere il naso ai puristi degli apocrifi di Sherlock Holmes.

irregolari baker street

Una delle frasi di Sherlock Holmes più citate – oltre all’inesistente “elementare, Watson”, diventato firma del detective, seppure mai pronunciata negli scritti di Doyle – è la riflessione logica per cui “una volta eliminato l’impossibile ciò che resta, per quanto improbabile, dev’essere la verità.” Siamo abituati infatti a riscontrare nelle storie con protagonista Sherlock Holmes il trionfo dell’approccio empirico: la logica delle deduzioni dell’investigatore porta alla risoluzione del caso e, come succede alla Scooby Gang il mostro, alla fine, è sempre umano. Non è così, invece, in The Irregulars e se siete affezionati al lato più razionale delle storie di Sir Arthur Conan Doyle, gli otto episodi di questa serie non fanno decisamente per voi. Gli Irregolari di Baker Street si trovano infatti a fronteggiare quelli che in caso di assenza di binge watching si chiamerebbero Mostri della Settimana dai poteri sovrannaturali – tra rivisitazioni gotiche della fatina dei denti e dottoresse Frankenstein. La risoluzione dei casi viene lasciata alla leader degli Irregolari, Bea, cuore del gruppo, accompagnata e supportata dagli altri membri. Tuttavia, come in ogni retelling di Sherlock Holmes che si rispetti, gli eventi iniziano a muoversi soltanto quando il grande detective fa la sua comparsa sulla scena.

Sherlock in love

Ed è proprio lo Sherlock interpretato Henry Lloyd-Hughes (che forse, se siete ai limiti del fanatismo, potete ricordare come il corvonero Roger Davies – l’accompagnatore di Fleur Delacour al Ballo del ceppo in Harry Potter e il calice di fuoco) a rubare la scena agli Irregolari con la sua interpretazione di uno Sherlock molto più difettoso e vulnerabile di quello che siamo abituati a vedere in prodotti più o meno recenti. In The Irregulars non c’è nessuna romanticizzazione delle dipendenze che accompagnano classicamente il personaggio di Holmes e anziché puntare sulle abusate carte del genio sregolato e della simpatica canaglia, lo Sherlock che vediamo in azione è un uomo spezzato, deprecabile, non più in grado di usare quelle tecniche deduttive che ne decretavano il successo e la fama in una vita passata.

irregulars

Con la presenza di Sherlock la trama si dipana, abbandonando la struttura verticale in favore, nella seconda metà della stagione, di un macroepisodio in cui si svelano gli intrecci tra i personaggi, in una sorta di rielaborazione del dramma familiare degli Skywalker in epoca vittoriana. Le molteplici anime de Gli Irregolari di Baker Street – teen drama in costume, mistery crime, apocrifo holmesiano, emulo vittoriano di Stranger Things, storia di una famiglia disfunzionale – sono forse troppe per convivere in un solo prodotto, ma alcune funzionano bene, o almeno meglio delle altre.

Tra i punti di forza della serie troviamo la sovversione di alcune piccole canonicità holmesiane, come la linea narrativa che vede – nei romanzi e nella quasi totalità dei retelling – in John Watson l’uomo che trova l’amore e vive una relazione romantica con una donna e in Sherlock Holmes il lupo solitario troppo attaccato alla sua indipendenza e alla sua dinamica di coppia con il dottore per pensare di innamorarsi e, addirittura, formare una famiglia. Nonostante i personaggi nati dalla penna di Doyle siano tutti al loro posto, insomma, in The Irregulars tutto può succedere, come dimostra il curioso caso dell’ispettore Lestrade. Allo stesso tempo, queste variazioni sul tema, assieme alla presenza di elementi paranormali, sono due aspetti che, come abbiamo anticipato, potrebbero far storcere il naso ai fan meno flessibili del detective.

Tuttavia, considerato il target della serie, Gli Irregolari di Baker Street si rivela un classico prodotto medio di Netflix, non destinato a diventare un cult, ma neanche pessimo; banale nella sua rappresentazione dell’occulto, The Irregulars gestisce meglio la narrazione realistica di quella legata a stregoni e fantasmi, tanto che viene da chiedersi se non sarebbe stato meglio eliminare l’impossibile e concentrarsi sull’improbabile.

Angela Bernardoni
Toscana emigrata a Torino, impara l'uso della locuzione "solo più" e si diploma in storytelling, realizzando il suo antico sogno di diventare una freelancer come il pifferaio di Hamelin. Si trova a suo agio ovunque ci sia qualcosa da leggere o da scrivere, o un cane da accarezzare. Amante dei dinosauri, divoratrice di mondi immaginari, resta in attesa dello sbarco su Marte, anche se ha paura di volare. Al momento vive a Parma, dove si lamenta del prosciutto troppo dolce e del pane troppo salato.