Vecchi e nuovi mostri

Lo abbiamo detto spesso: calarsi nella mentalità degli abitanti del Sol Levante, nella loro cultura e nel loro modo di vedere le cose non è semplice. Questo si applica sia ai fatti banali che a quelli traumatici.

Un esempio molto semplice di questa ambivalenza è rappresentato da uno degli eventi più devastanti della storia contemporanea, la Seconda Guerra Mondiale. Certo, sia Giappone che Italia uscirono sconfitti da quel conflitto, ma in maniera molto diversa. Per noi è impossibile capire quello che rappresentarono le bombe del 6 e del 9 Agosto 1945 su Hiroshima e Nagasaki. Ed è altrettanto difficile capire per gli Occidentali, che dopo la guerra si avviarono a una lunga e difficile rinascita, le privazioni e la difficoltà per un paese con una concezione della guerra e del governo come il Giappone.

La fine della guerra per il Giappone coincise anche con una totale demilitarizzazione che coinvolse non solo l’esercito, ma anche ogni tipo di arma, dai fucili militari alle katane retaggio delle famiglie, che furono consegnate ai vincitori e smantellate. Per un popolo fiero della propria tradizione militare fu un’umiliazione difficile da comprendere, qualcosa che comportò una sensazione di debolezza senza precedenti nella storia.

Anni dopo le conseguenze del conflitto, la nuova dimensione di orrore nata nella mente dei giapponesi, trovò espressione della propria realtà grazie a una nuova serie di film, con protagonisti dei mostri giganteschi, apparentemente inarrestabili: i kaijū eiga.

Kaijū

Solitamente siamo portati a vedere l’epopea dei kaijū come qualcosa di folkloristico, persino di trash. L’idea di mostri giganteschi che devastano le città giapponesi è spesso stata spunto per i media occidentali di parodie e prese in giro, più o meno bonarie. Ma quello che si cela dietro a questi mostri vanta radici più profonde, che affondano nella mitologia stessa del popolo giapponese e sono portatrici di una denuncia che potrebbe non essere colta immediatamente.

Il termine nasce nel contesto del folklore del Sol Levante e vuol dire “bestia strana”, una parola che solitamente indicava creature mitologiche che comparivano nei racconti e nelle fiabe. Le sue origini più antiche tuttavia potrebbero non essere giapponesi, visto che un termine con lo stesso significato si riscontra nel testo mitologico Shan-hai Ching, una raccolta di luoghi e animali leggendari dell’antica Cina. Da lì il termine sarebbe poi passato alle isole dell’arcipelago giapponese insieme a diversi altri elementi della cultura cinese, attecchendo nella popolazione.

Il termine inizia ad assumere un nuovo significato dopo la Convenzione di Kanagawa e la fine della politica isolazionista del Giappone. Durante il periodo Meiji iniziano a diffondersi nell’Impero anche concetti stranieri e discipline fino ad allora sconosciute, come la paleontologia. Ed è qui che la parola kaijū inizia a essere usata in nuovi ambiti, indicando talvolta creature appartenenti al folklore straniero, talvolta i dinosauri, strane bestie sconosciute scoperte in tutti gli angoli remoti del mondo.

Il vero cambiamento però avverrà solo nel secondo dopoguerra. Il Giappone è sconfitto e in ginocchio, le sue città sono devastate e il suo orgoglio spezzato. Eppure, poco alla volta, si avvia a una lenta e dolorosa rinascita, non solo nell’economia ma anche nelle arti. È il cinema a “suonare la carica”, negli anni in cui Akira Kurosawa produce alcune delle sue opere più note, culminate nel 1954 con “I Sette Samurai”, un ritratto eroico ma al tempo stesso disilluso della grandezza perduta del Giappone.

E, lo stesso anno, un altro registra consegna alle sale un film che diverrà una pietra miliare in un genere di film, i monster movie, ancora giovane. Il 1954 è l’anno in cui Ishirō Honda dirige Godzilla.

Kaijū

Vero, c’erano già stati mostri giganti al cinema, come King Kong, che dopo il suo esordio nel 1933 era diventato un’icona del cinema dell’epoca, ottenendo poi un importante successo proprio in Giappone. E già nel successo di Kong si avvertiva qualcosa di quella che sarebbe stata l’impronta dei kaijū eiga nel Sol Levante: la paura dell’invasione, dello straniero che giunge nell’arcipelago per distruggere tutto ciò che di buono esiste per il popolo del Giappone.

Nel momento in cui Godzilla arriva nelle sale giapponesi le cose però sono cambiate. C’era stata la guerra e l’occupazione alleata era formalmente finita solo due anni prima. I mostri, non più relegati al folklore, avevano smesso i panni degli yōkai per indossare quelli dei gaijin, in particolare degli statunitensi, responsabili dello sgancio delle bombe atomiche. Ai vecchi mostri, quelli raccontati dagli anziani ai nipoti, si erano sostituite nuove mostruosità.

Godzilla (o Gojira) è proprio l’incarnazione di queste paure: del terrore atomico, colpevole di aver risvegliato il mostro dal suo letargo millenario e di avergli donato poteri incommensurabili; dell’essere indifesi di fronte alla minaccia, privi di un esercito che possa proteggere la popolazione; ma, soprattutto, la creatura era la rappresentazione di una natura desiderosa di vendicarsi dell’essere umano, colpevole di aver destato la forza dell’atomo per uccidere i propri fratelli.

Nel primo film Godzilla viene risvegliato proprio a causa di alcuni esperimenti nucleari che lo rendono quasi indistruttibile. Di fronte all’impotenza dell’esercito a trovare la soluzione sarà uno scienziato, Daisuke Serizawa, il quale costruirà una bomba capace di dissolvere le ossa del kaijū sfruttando l’ossigeno, poco prima di lasciarsi morire sul fondo dell’oceano e portare con sé il segreto della sua nuova arma, in modo che gli umani non possano usarla per distruggersi ancora una volta. Una vittoria che porta con sé una consapevolezza: Godzilla è solo il primo di una nuova dinastia di mostri, destinata a terrorizzare gli esseri umani.

Kaijū

Le tematiche mostrate nel film attecchirono facilmente nella mente degli spettatori giapponesi, segnando il successo del mostro di Honda, il quale dirigerà anche i primi film di un’altra creatura iconica, Mothra. Neppure l’occidente resterà immune al fascino di Godzilla, visto che due anni dopo il suo debutto verrà realizzata fuori dal Giappone una pellicola con protagonista il feroce mostro preistorico. Nel mentre in patria gli altri studi di produzione iniziarono a portare sullo schermo le proprie versioni di questo orrore, per poter competere sul mercato con la Toho.

Il più noto dei fratelli di Godzilla è senza dubbio Gamera, il mostro tartaruga comparso per la prima volta sugli schermi nel 1965. Ispirato alla figura del Genbu, una delle quattro bestie guardiane della mitologia giapponese, rappresenta un diverso modo di vedere il fenomeno dei kaijū. Qualcosa di buono e venerato diventa mostruoso e assume una forma terribile ancora una volta per colpa dell’atomo. Gamera in effetti, per quanto mostruoso e nonostante la scia di devastazione che lascia dietro di sé, sembra essere a modo suo un mostro “onorevole”, in grado di di riconoscere la bontà quando la vede. Non a caso sono spesso i bambini al centro delle vicende di Gamera, i quali compaiono quasi come coprotagonisti del kaijū, capaci di indirizzarne la furia contro nemici peggiori e impedire la fine del genere umano.

Il cambiamento in Gamera rappresenza anche il cambiamento nell’epopea dei kaijū. Sono gli anni ‘60 e’70, anni in cui il Giappone ricomincia ad aprirsi al mondo esterno. Anni in cui la cultura del Sol Levante, poco alla volta, riprende a diffondersi.

Il Giappone cambia e i kaijū cambiano con esso, spesso diventandone i difensori contro minacce aliene. Resta il terrore dello straniero, la sensazione di essere indifesi di fronte a qualcosa proveniente dall’esterno, ma il fatto stesso che i kaijū siano diventati protettori del Giappone sembra assumere un significato. Un modo per dire che attraverso il cinema il Giappone si sente meno indifeso, più capace di proteggere se stesso di fronte a quei gaijin che lo volevano annientato solo vent’anni prima.

Sono gli anni in cui le produzioni sui film di kaijū, in Giappone come nel resto del mondo, aumentano in maniera esponenziale. Non solo nel cinema, ma anche in televisione, dove diventano spesso antagonisti dei “Super Sentai” (ricordate i Power Rangers?), o negli anime, come avversari dei giganteschi mecha che hanno popolato la nostra infanzia. Ma è anche il periodo in cui l’enorme aumento delle produzioni porta con sé un repentino calo della qualità, con la nascita di tantissimi kaijū da parte degli studi di produzione cinematografica e televisiva che difficilmente riescono a raggiungere uno standard qualitativo accettabile e a replicare i contenuti dei primi film.

Il fenomeno dei film sui kaijū eiga dovrà aspettare gli anni ‘80 e ‘90 per riproporre spettacoli interessanti, senza farsi mai mancare produzioni dal gusto più trash, come l’incontro tra i kaijū e il puroresu, il wrestling giapponese, creando elementi di intrattenimento fine a se stesso a loro modo divertenti e unici.

A tutto questo si aggiunge anche un nuovo sfruttamento del filone in ambito cinematografico, con nuove produzioni che mostrano una versione originale di questo genere, come nel caso di Pacific Rim, film del 2013 diretto da Guillermo Del Toro.

Kaijū

Salvo rare eccezioni ciò che sembra mancare a questa rinnovata dimensione dei kaijū eiga non è tanto la qualità visiva, quanto il contenuto, il messaggio. Nella nuova era dell’intrattenimento, in cui milioni di persone possono avere facile accesso a contenuti in streaming, mentre il mondo sembra avviarsi sempre più verso un baratro dovuto alle nuove realtà politiche e ai cambiamenti climatici, appare strano pensare che dei film nati con lo scopo di denunciare le devastazioni portate nel mondo dall’essere umano abbiano smesso di parlarne, imbrigliati nella pura logica dello spettacolo.

A costituire una vera e propria rinascita del genere, andando a riprendere le sue tematiche originarie è stato Shin Godzilla, uscito nel 2016 e diretto da Hideaki Anno. Il regista aveva già sfruttato il tema dei kaijū a modo suo, con la realizzazione di Neon Genesis Evangelion, anime iconico ed entrato nell’immaginario di tutti gli appassionati del genere per la complessità e il fascino delle sue tematiche.

Con la verve creativa che lo ha sempre contraddistinto Anno riesce a prendere Godzilla e realizzare un’impresa a prima vista contraddittoria. Il kaijū non è più il gaijin, non è più qualcosa di alieno: il kaijū è dentro di noi, così come è dentro di noi quello che può permetterci di sconfiggerlo.

Da un lato il mostro torna alle sue origini, quella di una calamità vivente, nata ancora una volta dalla minaccia dell’atomo. Che lo tsunami del 2011 con la conseguente tragedia di Fukushima siano ancora una ferita aperta nella mente del regista e del suo popolo è qualcosa di evidente. Per contro la vera minaccia trasposta in questa nuova incarnazione di Godzilla pare non essere quella dello straniero invasore. Il vero pericolo sembra essere diventato l’impasse politica del paese, causata da una burocrazia avida e senza volto, a cui si oppone una popolazione laboriosa, con la volontà di lavorare per il bene di tutti.

Anno riesce a portare così sullo schermo un nuovo mostro, quello della politica volta solo alla perpetrazione del privilegio, imbrigliata in una burocrazia obsoleta e distante dal cittadino, in cui possono ancora una volta trovare spazio valori e ideali. Quello che il regista sembra suggerire in effetti è che i mostri non siano mai stati sconfitti: hanno solo trovato un nuovo volto che, a ben vedere, forse non è altro che il vero aspetto di quello stesso kaijū che, ottanta anni fa, portò il mondo in guerra e a scoprire il terrore nella potenza dell’atomo.

Federico Galdi
Genovese, classe 1988. Laureato in Scienze Storiche, Archivistiche e Librarie, Federico dedica la maggior parte del suo tempo a leggere cose che vanno dal fantastico estremo all'intellettuale frustrato. Autore di quattro romanzi scritti mentre cercava di diventare docente di storia, al momento è il primo nella lista di quelli da mettere al muro quando arriverà la rivoluzione letteraria e il fantasy verrà (giustamente) bandito.