Alla scoperta di Xavier Dolan

L’enfant prodige del cinema canadese (e internazionale) si chiama Xavier Dolan. Con una carriera da regista iniziata prestissimo, ad appena vent’anni, Dolan è un caso più unico che raro di autore che si è saputo imporre senza praticamente alcuna gavetta. Ha colpito, sin dalle prime esperienze da regista, per la consapevolezza profonda del mezzo cinematografico e per l’innegabile ambizione autoriale. Il suo è un cinema personale che – nonostante si sia espanso negli ultimi dieci anni verso produzioni sempre più grandi – continua a mantenere un carattere intimo.

Con La mia vita con John F. Donovan, Xavier Dolan sbarca in America e scrive il suo primo film in lingua inglese. Il passaggio al vero cinema mainstream dopo la nicchia, per quanto ampia e risonante nei festival più importanti del mondo, ha edulcorato decisamente il suo stile che risulta – nel complesso – meno incisivo. Abbiamo a che fare comunque con una pellicola di notevole profondità e spessore, in grado di raccontare con delicatezza (e con tutte le note glamour di cui Xavier Dolan è capace) la gloria e la distruzione di un essere umano.

Un’operazione per certi versi decisamente pop, a incominciare dalla scelta di Kit Harington – il Jon Snow  de Il Trono di Spade – come protagonista. Da un lato si cavalca il successo travolgente dello show che ha consacrato Harington come Re oltre la Barriera, dall’altro si offre all’attore inglese – recentemente oggetto di cronaca per la sua rehab post-set – un’opportunità per mostrare le proprie doti interpretative con un personaggio del tutto diverso. Il risultato di questa sfida non è sorprendente, ma nemmeno delude. Circondato da mostri sacri come Kathy Bates, Susan Sarandon e Natalie Portman (e dal giovanissimo talento Jacob Tremblay), Harington cerca di difendersi come meglio riesce.

Xavier Dolan e l’estetica queer

Xavier Dolan ha dichiarato sin dal primo film, J’ai tué ma mère, la propria omosessualità. In effetti, praticamente ogni sua opera ha come protagonista un maschio bianco omosessuale, suggerendo il carattere pseudo – autobiografico delle sue storie. Le numerose declinazioni del tema hanno portato i suoi personaggi a confrontarsi spesso e volentieri con una difficile accettazione della propria omosessualità, soprattutto da parte degli altri. Dolan racconta, dunque, quanto sia difficile essere omosessuali oggi, all’inizio del XXI secolo – nonostante tutte le battaglie e le innegabili conquiste.

A sua volta giovane e bellissimo, si propone come voce dell’estetica e della tematica queer che da un lato sottolinea una gioiosa e coraggiosa scoperta di sé (come in Laurence Anyways) dall’altra la difficoltà a vivere in pace la propria natura. Ricorrente la violenza, anche fisica oltre che psicologica, che i personaggi di Xavier Dolan devono subire da parte di chi li circonda, una violenza dalla quale però non smettono di difendersi, nell’alzarsi e nel reagire. Sicuramente Dolan sa di che parla ed è chiara la partecipazione emotiva in ognuna delle vicende personali dei suoi protagonisti, come se rappresentassero tutti frammenti di specchio che riflettono un’unica immagine: la sua.

xavier dolan

 

Ne La mia vita con John F. Donovan, il regista affronta l’omosessualità nel particolare contesto di Hollywood. In questo caso la vita privata della star diventa oggetto di mercato, tanto quanto il suo lavoro sul set. Non c’è privacy, non c’è libertà, non c’è lo spazio per esplorarsi, capirsi e decidere. Senz’altro un pericolo a cui Dolan è scampato, avendo messo in chiaro la sua vita sentimentale con ammirevole determinazione, ma che tanti uomini e tante donne del mondo dello spettacolo continuano a dover subire.

Mommy

Altro elemento ricorrente, che torna in una triplice veste ne La mia vita con John F. Donovan, è la figura materna. È piuttosto indicativo, infatti, come ogni protagonista dei suoi film abbia un rapporto molto forte con una figura femminile dominante e come questa quasi sempre sia la madre. Apprendiamo dalla biografia del regista, inoltre, che ha scelto di usare il cognome materno piuttosto che quello paterno, probabile indice di un rapporto particolarmente intenso.

xavier dolan

 

Nell’ultima fatica di Dolan, la figura materna si fa molteplice e avvolgente, come spire di un serpente sinuoso e ambiguo. Abbiamo la manager di Donovan interpretata da Katy Bathes che indossa la maschera della donna di polso, in grado di far fronte a ogni situazione senza mai perdere di vista la retta via. Poi, la fragile, frustrata, nevrotica e multi – sfaccettata Natalie Portman (che interpreta la madre del piccolo fan Rupert Turner) che conquista la corona di personaggio meglio riuscito di tutto il film. Irresistibile come sempre, Susan Sarandon è la madre umana, troppo umana, colei che ha appeso le armi al chiodo e che passa il suo tempo ad alzare il gomito e a recriminare l’assenza del figlio. È la figura più dolce e rappresenta la maternità più squisitamente protettiva, un’arma a doppio taglio che allo stesso tempo accoglie e ferisce.

Esemplare nel racconto del rapporto madre figlio è Mommy del 2014, forse uno dei suoi film più riusciti. Il rapporto tra Diane (Anne Dorval) e Steve (Antoine Olivier Pilon) è intenso, conflittuale, ai limiti del legame amoroso. Analogamente complesso il legame madre/figlio del film d’esordio di Dolan, J’ai tué ma mère del 2009, dove a interpretare il ruolo del protagonista è proprio lui, Xavier Dolan.

Anche in questo caso, il tormento del figlio nei confronti della madre giace in una profonda difficoltà di comunicazione, che si traduce in un’impossibilità ad esprimere il proprio amore. Perché di amore si tratta, sempre, quando Dolan parla di sua madre, in tutte le madri che racconta al cinema: proprio perché imperfette, proprio perché i loro gesti non sono immediatamente accettabili, è tanto più forte la comprensione del Figlio nei confronti della Madre. Le due figure diventano archetipi dell’amore, di chi – nonostante tutto – ci sarà sempre, oltre gli amanti, oltre i fan, oltre gli svaghi di una vita sotto i riflettori. 

La mia vita con John F. Donovan sarà nelle sale italiane a partire dal 27 giugno.

Francesca Torre
Storica dell'arte, giornalista e appassionata di film e fumetti. Si forma come critica tra Bari, Bologna, Parigi e Roma e - soprattutto - al cinema, dove cerca di passare quanto più tempo possibile. Grande sostenitrice della cultura pop, segue con interesse ogni forma d'arte, nella speranza di individuare nuovi capolavori.