Quando un modello culturale ha radici nella produzione popolare, l’identità di tale modello sarà sempre più veritiera di qualsiasi altra teoria sociale


Durante gli anni di evoluzione e sviluppo della sociologia nel mondo, siamo incappati in numerosissimi fenomeni culturali nati, ancor di più in questi anni, da quell’unicum primordiale rappresentato dalla cultura pop. Una delle sue massime manifestazioni nacque, in Italia, ma anche nel resto del mondo, tramite gli Ultras, uno dei movimenti di aggregazione culturale più criptici e affascinanti della storia. Il modello che venne portato in curva da questi ragazzi venne rinominato:
Modello del Bricolage.

modello bricolage

Alessandro Dal Lago, uno dei più importanti sociologi del nostro paese, nonché grandissimo studioso del movimento Ultras italiano, nel suo Descrizione di una battaglia –  I rituali del calcio (Mulino, 2001) affermò, riguardo al Modello del Bricolage che: “Tutto ciò che può contribuire all’identità della tifoseria viene adottato, senza fare forzatamente riferimento al significato originario del simbolo”.

Banalmente, quindi, è quando una sottocultura e/o un gruppo di aggregazione spontanea con finalità socio-culturali, si manifesta adoperando simboli, slogan, frasi o immagini provenienti da altre realtà.
Per semplificare ulteriormente ciò basta un esempio: I tifosi del Milan che si uniscono in un sottogruppo della Sud, rinominandosi “Nativi” con tanto di bandierone con il volto di William Cutting, lo spietato macellaio antagonista del capolavoro di Scorsese, Gangs of New York.

In questo caso, gli Ultras, ci tengono a ricordare che sono loro i veri tifosi della città di Milano, a dispetto della controparte interista. E così oltre all’indescrivibile mole di immagini, soprattutto provenienti dall’Inghilterra (su tutte Andy Capp), viste a partire dagli anni ’70, siamo arrivati in un punto di svolta della nostra società.
Il fenomeno culturale del pop scende in piazza attraverso il Modello del Bricolage.

È di qualche giorno fa, infatti, la notizia che riporta i pompieri parigini, scesi in piazza per manifestare contro le nuove politiche economiche del governo Macron, in particolar modo sulla riforma delle pensioni, truccati come il Joker.

modello bricolage

In questo caso, l’influenza culturale di riferimento non è quella del Joker di Heath Ledger (riportata in alcune curve italiane, come, nuovamente il Milan), simbolo ai limiti dell’anarchia e massima rappresentazione dell’odio verso le strutture e la pace sociale, ma la maschera indossata dall’incredibile Joaquin Phoenix.

Nella pellicola pluri candidata agli Oscar, Arthur Fleck è un reietto, uno degli ultimi, una figura borderline che è divenuta tale per l’ostracismo forzato perpetrato dalla società ai suoi danni. Un uomo incapace di vivere, privato persino nell’animo della voglia di sopravvivere. La sua rottura con le istituzioni magistralmente riassumibili in “Chi mi darà le mie medicine?”, porta l’inetto a diventare un cannibale.
I pompieri francesi sono gli ultimi, e il simbolismo culturale riportato per merito del Modello del Bricolage, ha un chiaro riferimento pop di primissimo impatto. Io sono un pompiere e posso diventare Joker. Non lo voglio io, siete voi (intese come le strutture politiche nazionali) a volerlo e sono pronto allo scontro.

In una realtà dove tutti vogliono tutto e subito, dove l’immediatezza viene percepita ancora di più tramite i maggiori social in auge quali Twitter e Instagram, caratterizzati da contenuti smart riassunti in poche battute e immagini, le iconografie sono tutto e valgono più di ogni altro discorso.

Le persone tramite questi simboli hanno la possibilità di far arrivare immediatamente il proprio messaggio

Ed ecco così che gli studenti e gli attivisti autorganizzati scendono in piazza e nelle strade con il viso coperto dalla celebre maschera di Guy Fawkes, adoperata nel cult V per Vendetta dal protagonista V. Il gruppo di hacker più famoso al mondo, Anonymous, adopera a sua volta il volto stilizzato con i baffi in bella mostra per ricordare al mondo che la congiura delle polveri, nell’era del digitale, può arrivare anche tramite il web. Ma questi gruppi, queste realtà sociali, a loro volta applicano questo processo nei confronti di un prodotto culturale come Mr. Robot, influenzando la serie e permettendole di avere una maschera a sua volta. Un intreccio che non finisce mai e che è inconsciamente presente nella nostra cultura.

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Non ultimo, parlando di fenomeni “masherati”, è La Casa di Carta, serie originale di Netflix che ha fatto il boom di ascolti in questi tempi. Ovviamente non potevano mancare anche manifestazioni con le maschere di Dalì in bella mostra, ed infatti, durante le manifestazioni femministe di San Juan sono comparse ragazze in tuta rossa pronte a mostrare i valori di resistenza e antagonismo ripresi più e più volte nella serie spagnola.

In questa situazione pirandelliana, dove l’Io sottomesso si cela dietro una creatura idealistica che permette l’espressione e la manifestazione della propria reale identità, gli attori in scena sono numerosi e sono permeati nella società, vero palcoscenico di questo spettacolo tragicomico.
Un mondo dove un trucco da Joker, una maschera di un eroe che combatte per i diritti sociali del popolo, un losco figuro baffuto che rivendica le proprie appartenenze territoriali, sono l’unico vero modo di espressione del singolo, in una realtà che ha privato i singoli della propria immagine, ma non della propria creatività.

Un mondo che forse non andrà a fuoco.

Leonardo Diofebo
Classe '95, nato a Roma dove si laurea in scienze della comunicazione. Cresciuto tra le pellicole di Tim Burton e Martin Scorsese, passa la vita recensendo serie TV e film, sia sul web che dietro un microfono. Dopo la magistrale in giornalismo proverà a evocare un Grande Antico per incontrare uno dei suoi idoli: H. P. Lovecraft.