Viaggio nei mondi senza uomini della speculative fiction, tra separatismo femminista e nuove forme di empatia

Che cosa fareste se gli uomini non esistessero per ventiquattr’ore?

Forse vi è capitato di imbattervi in questa domanda sui social, negli ultimi mesi del 2020; si tratta di uno di quei trend che per alcune settimane ha polarizzato l’attenzione delle e degli utenti su molte delle piattaforme che frequentiamo quotidianamente. Molte delle risposte riportavano il desiderio di uscire di casa senza sentirsi in pericolo, di approfittare della temporanea assenza delle più alte cariche mondiali per cambiare le cose, di essere libere di indossare o dire o fare ciò che in presenza di uomini sarebbe stato giudicato e travisato. Per molte donne, insomma, ventiquattr’ore senza uomini sarebbero una pausa da un mondo che non permette mai loro di dimenticare che la società le considera cose altre rispetto alla (percepita) maggioranza maschile.

Mondi di uomini, terre di donne

Che il mondo sia percepito come un posto da uomini è una tesi ampiamente esaminata anche usando il metodo scientifico: Invisibili di Caroline Criado (Einaudi) e Per soli uomini di Emanuela Griglié e Guido Romeo (Codice Edizioni) si occupano proprio dei data bias – o maschilismo dei dati, che ha portato il mondo a essere costruito a misura d’uomo (a misura, cioè, di meno della metà della sua popolazione), e forse per sfuggire a questo senso di inadeguatezza instillato nelle donne dal mondo intorno a loro, nel mondo della fiction autrici (ma anche autori, di cui però qua non ci occuperemo) hanno iniziato a immaginare mondi in cui quelle ventiquattro ore diventassero eterne, mondi senza uomini.

mondi senza uomini

Uno dei primi esempi di speculative fiction che descrive un mondo di sole donne è Herland (Terradilei) del 1915, scritto dalla sociologa e scrittrice statunitense Charlotte Perkins Gilman. Femminista utopista, l’autrice descrive una società ginocentrica in cui le donne – dopo la scomparsa della popolazione maschile in seguito a un cataclisma ambientale che le ha isolate dal resto del mondo – si riproducono per partogenesi e incontrano degli uomini per la prima volta dopo duemila anni. A questo gendericidio (termine coniato nel 1985 dalla filosofa statunitense Mary Anne Warren nel titolo di un saggio dedicato agli aspetti morali della selezione del sesso del nascituro prima, dopo, o durante la gravidanza) ne sono seguiti altri, soprattutto a partire dagli anni settanta del secolo scorso. Il mondo senza uomini è infatti diventato spesso, soprattutto in quegli anni, un escamotage narrativo per indagare tematiche legate al genere e per scrivere di donne in un periodo in cui la narrativa speculativa continuava a essere prevalentemente un territorio di maschi scritti da maschi per altri maschi.

Femminile come Hemingway

Esempio lampante del testosterone che permeava l’ambiente: nel 1975 lo scrittore Robert Silverberg si lancia in una dimostrazione scritta della tesi che vuole la persona nascosta sotto l’alias James Tiptree Jr. appartenente alla metà di cielo maschile: “c’è qualcosa per me, nella scrittura di Tiptree, di inevitabilmente mascolino” scriverà, paragonando le storie “scarne e duttili” dell’autore a quelle del simbolo stesso della virilità letteraria, Ernest Hemingway, per affermare: “non penso che i romanzi di Jane Austen avrebbero potuto essere scritti da un uomo, o i racconti di Ernest Hemingway da una donna, e nello stesso modo credo che l’autore dei racconti di James Tiptree sia un uomo”. Un anno dopo, nel 1976, l’identità dello scrittore precedentemente conosciuto come James Tiptree Jr. viene svelata e il mondo della letteratura fa la conoscenza di “una donna di sessantuno anni, di nome Alice Sheldon, solitaria per natura” come si presenterà all’amica di penna di lunga data Ursula K. Le Guin.

mondi senza uomini

Sempre nel 1976 Tiptree/Sheldon dà alle stampe Houston, Houston, Do You Read? (Houston, Houston, ci sentite?), romanzo breve vincitore di Nebula e Hugo Award, in cui tre astronauti sbalzati fuori dal loro spazio-tempo scoprono che nel futuro del pianeta Terra solo le donne sono sopravvissute a una pandemia, creando una società pacifica libera dalla frenesia dell’accelerazione tecnologica e dai dogmi religiosi (“we have faith in ourselves” risponderà una delle astronaute alle domande poste da uno dei tre astronauti). Gli uomini, compresi nel loro ruolo di salvatori, tenteranno di convincere le donne dell’assoluta essenzialità dell’individuo maschile nelle loro vite sfoderando argomentazioni teologiche e scientifiche e rifugiandosi, in ultima istanza, in una violenza sessuale che è sopraffazione, che è rabbia per la mancata sottomissione della donna all’uomo. Come scrive Nicoletta Vallorani nel suo saggio dedicato all’autrice contenuto in Corpi magici: “In una intervista del ‘77 riportata da Pamela Sargent e poi da Evans, Tip aveva ammesso che le sue storie femministe sono imbevute di pessimismo. La scrittrice non ritiene che vi sia speranza se uomini e donne continuano a vivere sullo stesso pianeta, o meglio, ce ne può essere una solo se un qualche tipo di peste spazza via 999 uomini su 1000.”

Mondi senza uomini dal separatismo all’intersezionalità

Un’altra delle autrici che ha tenuto in quegli anni una fitta corrispondenza con Tiptree e che si è occupata di mondi senza uomini, o meglio, di mondi di sole donne da un punto di vista particolarmente pessimista è Joanna Russ, che nello stesso decennio ambienta su Whileaway – una colonia spaziale esclusivamente femminile – il suo racconto When It Changed (1972, Quando cambiò) e una parte della narrazione del suo romanzo più famoso, The Female Man (1975). Il punto di vista femminista sulle relazioni tra i generi, nel 1970, sembra essere molto rigido e come già espresso da Perkins Gilman nel 1915, le donne possono prosperare solo lontano dall’influenza maschile – una posizione ideologica, quella del separatismo femminista, frequente nel femminismo della seconda ondata e che persisterà nella speculative fiction almeno fino al 1996, con la vittoria proprio al Tiptree Award ( ma anche al Premio Italia, una volta tradotto – più di dieci anni dopo – anche in Italia) di Ammonite, dell’autrice britannica naturalizzata americana Nicola Griffith.

Il separatismo femminista è l’antitesi del femminismo intersezionale che caratterizza la quarta ondata e che vede un’apertura nei confronti di gruppi precedentemente marginalizzati come (ma non solo) le donne nere, le persone trans, le persone con corpi non conformi o non neurotipiche. I femminismi della quarta ondata, i femminismi social, sono inclusivi e non escludenti, lontani dalla visione separatista degli anni ‘70 (sebbene attiviste della seconda ondata come Carla Lonzi avessero sottolineato che le donne separatiste non escludessero, bensì si sottraessero) e anche le narrazione dei mondi senza uomini riflettono questa rinnovata empatia femminista.

Nelle scarpe delle donne

In Y: The Last Man, il fumetto scritto da Brian K. Vaughan e illustrato da Pia Guerra, Yorick Brown e la sua scimmia Ampersand sono gli ultimi individui di sesso maschile sopravvissuti a un’apocalisse mistico-scientifica, ma anziché assistere alle avventure di un protagonista intento ad ammorbare le donne con paternalistiche lezioni sulla giusta visione del mondo o ad assumere erroneamente di dover ingravidare anche in maniera coatta più donne possibili per permettere la sopravvivenza del genere umano, in Y – L’ultimo uomo vediamo un ribaltamento delle aspettative di genere. Yorick è spesso braccato, ricercato, costretto a non attirare l’attenzione per sfuggire a gruppi di donne che vorrebbero amarlo (carnalmente, per lo più), sfruttarlo, ucciderlo (le Amazzoni, versione estrema ed estremizzata delle separatiste).

Stessa sorte per Miles, dodicenne figlio della protagonista di Afterland (appena portato in Italia da Fanucci con il titolo Un mondo di donne), della scrittrice sudafricana Lauren Beukes: gli uomini di questi mondi di sole donne non sono più virili figli del patriarcato pronti a ristabilire il naturale ordine delle cose, ma spaesati esseri umani che si trovano improvvisamente ad affrontare delle dinamiche relazionali che, nel mondo reale, vedono gli uomini in posizione di vantaggio e sfavoriscono sempre le donne. Yorick e Miles provano sulla loro pelle la paura di essere prede, di non potersi fidare delle altre persone, di aver bisogno di qualcuno che li protegga e il tenga al sicuro; provano le stesse emozioni che provano le donne da sempre, in tutto il mondo, di non essere libere di essere loro stesse. Un ribaltamento della narrazione che si allontana dalle visioni utopiche dei decenni scorsi per abbracciare una più realistica visione del male come elemento agenere e che cerca di raggiungere l’empatia del lettore maschile, messo per una volta nei panni della minoranza. Storie che rivisitano i vecchi tropi allontanandosi dalla Temiscira delle Amazzoni per auspicare una presa di coscienza da parte di uomini e donne. Perché la paura e la rabbia diventino armonia e comprensione. Perché uguaglianza non sia più soltanto una parola da usare una volta all’anno, intorno all’otto marzo. Perché nessuna donna debba mai più sognare un mondo senza uomini.

Angela Bernardoni
Toscana emigrata a Torino, impara l'uso della locuzione "solo più" e si diploma in storytelling, realizzando il suo antico sogno di diventare una freelancer come il pifferaio di Hamelin. Si trova a suo agio ovunque ci sia qualcosa da leggere o da scrivere, o un cane da accarezzare. Amante dei dinosauri, divoratrice di mondi immaginari, resta in attesa dello sbarco su Marte, anche se ha paura di volare. Al momento vive a Parma, dove si lamenta del prosciutto troppo dolce e del pane troppo salato.