Riuscire a mantenere il livello visto con Skyfall e Spectre era una missione gigantesca anche per 007, ma Fukunaga è riuscito a farci emozionare altrettanto anche con No Time to Die

Il viaggio che ci ha portato alla scoperta dello 007 di Daniel Craig è stato lungo e tortuoso. Fatto di emozionanti inseguimenti, femmes fatales, iconici villain e un Bond in costante evoluzione. L’estetica dell’attore che si scontrava con i mostri sacri del passato. La sua natura costruita e fortemente influenzata dal tessuto sociale odierno. La sua costante capacità di sbagliare, ma saper rimediare.
In questi anni James Bond è cambiato tantissimo, ma l’atto finale di questa sua missione ha saputo porci davanti agli occhi un ulteriore tassello da aggiungere all’intricato puzzle (No Time to Die dal 30 Settembre al cinema).


Scordatevi il tipico superomismo dell’agente segreto più letale del Regno Unito. Il Bond di Craig, in No Time to Die, è un uomo capace di piegarsi e spezzarsi, un eroe che sanguina, ma che resta fedele al proprio credo. Un pilastro che oscilla al vento, ma mantiene intatta la propria anima. Un’evoluzione costante che ha avuto inizio in uno splendido viaggio verso Venezia nel 2006 e che ci ha portato per le strade di Matera e Cuba.

Durante la proiezione di 2 ore e 40, il sali e scendi di emozioni che ha sempre contraddistinto gli 007 degli anni precedenti, viene sostituito da una narrazione in crescendo, ma costantemente in tensione. I momenti “esplosivi” sono numerosissimi, ma il filo della trama è così teso da riuscirci a farci comprendere che la storia ha ben altro da poterci mostrare.

Tralasciando la bravura di Craig che, in questi anni, ha sempre più tirato le redini di un personaggio che ha costruito personalmente pezzo dopo pezzo, è da sottolineare la sua figura magnetica ed accentratrice nei confronti del resto del cast. Malek si difende degnamente, seppur non riesca a raggiungere i picchi di Waltz e, soprattutto, di Bardem. Il suo Safin è una figura che intriga soprattutto per una costruzione a cavallo tra più influenze. Il giusto punto di fusione tra eleganza e durezza. Un uomo che, contrariamente a quanto visto negli anni passati, non ha un reale desiderio di potere o di forza. Non agogna la vendetta o brama la ricchezza. Safin vuole vedere il mondo bruciare perché mosso da qualcosa di ancora più elevato. Una caratterizzazione che si discosta dalle recenti narrazioni, ma che abbraccia il passato riproponendoci un villain che, nella saga di Bond, mancava da molto.

Rivedibile la presenza della tanto discussa Lashana Lynch, la quale viene sacrificata ad uno script più volto a lanciare un messaggio in No Time to Die, piuttosto che ad elevare il singolo personaggio. Un peccato, soprattutto pensando all’incredibile performance di Ana De Armas nei panni di Paloma.
L’attrice cubana è una delle esperienze visive più forti, dinamiche e dirompenti che si siano mai viste nella storia di James Bond e non vederla in altre opere simili sarebbe uno spreco immane che non potremmo perdonare.

No Time to die

Il viaggio continua, gli inseguimenti si susseguono, le sparatorie incalzano e ci fanno accelerare il battito. La minaccia incombe e strizza l’occhio alla quotidianità, dove legami, affetti e cari sono il vero pericolo. Ci mostra quanto possa essere facile la distruzione del singolo basandosi sulla noncuranza dei molti. Fukunaga ci manda dei messaggi, ci vuole vicino al suo fianco mentre, con voce concitata, ci narra le vicissitudini di un uomo che deve fare delle scelte più grandi di lui. Il racconto arriva alle nostre orecchie e tramite la memoria possiamo incastonarlo nella storia. I virtuosismi di regia, già mostrati con sapiente gusto e numerosi ricami in Maniac e True Detective, ci  portano al cuore del film, ma è il contesto che ci inebria ancora di più.
La pellicola ha l’annoso problema di doversi confrontare con la potenza di Spectre e la letale eleganza di Skyfall, ma riesce a costruirsi un vestito tutto suo che, inaspettatamente, riesce a distaccarsi dalle altre opere e a creare qualcosa di nuovo.

D’altronde già con la scelta di affidare la colonna sonora alla splendida e gotica voce di Billie Eilish avevamo compreso che in questo capitolo ci saremmo trovati davanti a qualcosa che voleva mostrarsi in tutt’altra veste. Missione compiuta? Assolutamente sì, nonostante moltissimi fedeli di 007 potranno storcere il naso, per poi finalmente ricredersi.

No Time to Die è un film che eleva, trasforma, matura, onora e omaggia la figura titanica di James Bond. E se in tutti i viaggi con una certa profondità è necessario un accompagnatore, questa volta Virgilio si fonde a Beatrice donandoci una Léa Seydoux meravigliosa che ci perfora l’anima e ci strugge il cuore. Un personaggio potente che con il solo sguardo riesce a combattere il magnetismo di Craig e diventare, per la prima volta, la vera e totale protagonista di un mondo che si sgretola mentre lei costruisce.

Fukunaga e Craig ci lasciano un’eredità enorme che dovremo saper cogliere e riadattare,  dimostrandoci che 007 non è solo un numero. Un valzer mortale che tra proiettili e amore ci porta su un piano diverso in costante evoluzione, nel rispetto della tradizione, ma con uno sguardo verso il futuro.
Perché per un personaggio così iconico e importante, non c’è mai tempo per morire.

Leonardo Diofebo
Classe '95, nato a Roma dove si laurea in scienze della comunicazione. Cresciuto tra le pellicole di Tim Burton e Martin Scorsese, passa la vita recensendo serie TV e film, sia sul web che dietro un microfono. Dopo la magistrale in giornalismo proverà a evocare un Grande Antico per incontrare uno dei suoi idoli: H. P. Lovecraft.